Fabrizio Di Marzio: la domanda di Kafka è una domanda sul diritto

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Fabrizio Di Marzio, autore di Kafka. Il mistero della legge (Donzelli Editore, 2024), analizza lo scrittore boemo attraverso il prisma della legge. L’opera di Franz Kafka è stata esplorata da innumerevoli punti di vista: letterario, teologico, filosofico, esistenziale, psicologico, psicoanalitico, sociologico, politico e, non da ultimo, giuridico, con particolare attenzione al tema del potere. Elementi come colpa, responsabilità e giudizio, si intrecciano con la dimensione del diritto, sostiene l’autore. In fondo, la domanda centrale di Kafka può essere letta come una riflessione sul diritto stesso. Di Marzio, in qualità di lettore, scrittore e giurista, si addentra nel mondo kafkiano per interrogarsi sulla natura del diritto. L’opera dello scrittore non può essere ricondotta a un’unica interpretazione definitiva. Tuttavia, le letture di matrice teologica continuano a prevalere, costituendo il punto di partenza per altre analisi.

Negli scritti di Kafka si intrecciano diversi livelli di significato: un fondamento filosofico legato all’impossibilità della conoscenza, una dimensione psicologica segnata dalla pervasività del senso di colpa, una prospettiva politica che evoca la minaccia del totalitarismo e un livello giuridico che denuncia il fallimento della giustizia. «Potremmo scorgere che nell’opera di Kafka il diritto non compare mai come un’acquisizione e nemmeno come una perdita, ma sempre come una possibilità». Di Marzio analizza tutti e tre i romanzi incompiuti di Kafka, individuando in ciascuno una diversa declinazione del tema dell’ingiustizia. Ne Il Processo, emerge una legislazione insensata e un tribunale che, applicandola, compromette ogni possibilità di giustizia. Ne Il Castello, il focus si sposta su un apparato burocratico metafisico e indecifrabile, che si oppone al diritto dell’agrimensore. In America, soggiace un’ingiustizia diffusa che permea le strade della città e travolge il protagonista.

Secondo Fabrizio Di Marzio, le pagine kafkiane si prestano a una critica del diritto. In particolare, del positivismo giuridico nelle sue forme più estreme. In Kafka, la perdita di senso della legge sembra operare come un meccanismo che annulla ogni tentativo di affermare la razionalità nel giudizio. Nel diritto stanno insieme speranza e disperazione. Kafka deforma per constatare, afferma l’autore. Distorce un dato della realtà, lo allontana dal senso comune, per sottoporlo a verifica. Scrive Di Marzio: «I testi kafkiani sono molto adatti per interrogarci sul diritto. Non si sviluppano in veri e propri romanzi o racconti forniti di una trama; anche quando assumono la forma esteriore di storie si espandono invece in arcipelaghi di considerazioni intorno a talune questioni. Le stesse vicende narrate si allontanano da una possibile quotidianità per svolgersi nella dimensione astratta della teoria». I testi sono spesso incompiuti, ma ciò non ne compromette il valore.

Dopo aver considerato il testo, è essenziale riflettere sul contesto, ovvero sull’universo testuale entro cui ciascuno scritto si inserisce. Come osserva Albert Camus, un elemento cruciale di Kafka è la sua capacità di costringere il lettore a tornare sulla sua opera, a rileggerla continuamente. Questo processo, soprattutto se orientato a una riflessione che possiamo definire “giuridica”, permette anche di sottoporre la nostra esperienza esistenziale a un’analisi critica. Fabrizio Di Marzio sottolinea come, nell’intera opera di Kafka, emerga l’incertezza intrinseca di ogni viaggio. Per comprendere appieno questo aspetto, vale la pena partire da lontano e considerare alcuni aforismi kafkiani. «La vera via passa per una corda che non è tesa in alto, ma appena al di sopra del suolo. Sembra destinata a far inciampare più che a essere percorsa». L’incertezza del viaggio è ribadita. Un lungo viaggio è difficile da progettare. E il viaggiatore si perde lungo il tragitto.

Di Marzio sottolinea come l’uomo, nella visione di Kafka, sia convinto che la Legge risieda in un luogo preciso, collocato lontano, in un altrove rispetto al proprio villaggio natio. Tuttavia, l’errore risiede sempre nell’uomo stesso: nel contadino, nel sacerdote, negli interpreti. La Legge, invece, rimane immutabile e priva di colpa. Pietro Citati osserva che «la categoria dell’attesa è il cuore del mondo di Kafka»; tuttavia, in quel mondo, l’attesa si rivela fatale. Al centro della questione si trova la conoscenza progressiva: la ricerca incessante verso una verità che pare irraggiungibile. Di Marzio evidenzia come nei testi kafkiani il viaggio sia visto con profondo pessimismo, rappresentando un’impresa destinata al fallimento. Nonostante l’elevata probabilità di insuccesso, rimanere immobili non è una soluzione possibile, sottolinea Di Marzio. È necessario prendere una decisione, come dimostra il protagonista di “La passeggiata improvvisa”, che sceglie di agire, malgrado le difficoltà del percorso.

In Kafka, la disobbedienza, al pari dell’obbedienza, si rivela sterile e persino più grave. Giorgio Agamben osserva che l’autocalunnia potrebbe rendere impossibile la confessione, che rappresenta il fine ultimo del processo. Tuttavia, anche l’autocalunnia è confessabile, perché confessandola ci si accusa non solo del primo delitto, ma anche di aver falsamente attribuito a sé quel crimine. L’imputato, nel mondo di Kafka, non è giudicato per le sue azioni, ma per le sue convinzioni. Come osserva Friedrich Dürrenmatt, «se la grazia fosse meritata, non sarebbe più grazia, ma una ricompensa». Nella riflessione conclusiva riemerge il giurista Fabrizio Di Marzio, che analizza il ruolo ambiguo della grazia nel sistema kafkiano, dove il diritto e la giustizia si intrecciano, ma restano separati. «La ricerca delle leggi non risponde a un sentimento di sottomissione; è invece una condizione di sopravvivenza dell’idea stessa di comunità».

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Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, classe 1997, MA in Relazioni Internazionali, BSc in Comunicazione, giornalista freelance, gestisce “Blackstar”, www.amedeogasparini.com