Tutto il Kafka degli appunti di Canetti

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Tutto quello che Elias Canetti ha scritto su Franz Kafka – annotazioni, saggi, conferenze, analisi, appunti – è ora raccolto in Processi (Adelphi 2024). Un’opera imprescindibile per adoratori dei due grandi scrittori germanofoni. Canetti raccoglie pensieri ed osservazioni su Kafka negli appunti (1946-1966), nei lavori sui saggi (1967-1968), nelle analisi sul carteggio Kafka-Felice Bauer, dunque nelle elaborazioni su Marcel Proust, James Joyce e Kafka («I tre scrittori più importanti e più influenti», 6 maggio 1965). «Tutto quello che apprendo in Kafka mi allieta e mi inquieta al tempo stesso. Mi allieta la sua superiorità, che è inattaccabile; gli manca veramente ogni vanità di scrittore. Mai che si pavoneggi, non sa pavoneggiarsi. Si vede piccolo e avanza a piccoli passi. […] Egli riduce la presunzione di ogni vita» (25 giugno 1947). Fino ad una vera e propria venerazione. «Non c’è nulla che egli non sappia» (30 dicembre 1946).

«Ogni riga di Kafka mi è più cara di tutta la mia opera. Perché lui, soltanto lui, restò immune dalla pienezza di sé» (14 dicembre 1964). Non è un caso che all’assegnazione del Nobel Canetti lo abbia dedicato a Kafka – «Ho accompagnato Kafka a Stoccolma: davanti al mondo intero l’ho insignito del premio». Non mancano però delle esagerazioni, forse dovute all’entusiasmo dello scrittore per l’autore boemo. «Con Kafka è apparso qualcosa di nuovo del mondo […]. La debolezza di Kafka è […] diventata la debolezza del mondo» (2 luglio 1968). Kafka vuole conoscere tutte le situazioni e tutti i dettagli. «Di Kafka non ho né il dubbio, né la cautela, né il linguaggio, di lui ho solo il timor reverenziale» (14 luglio 1968). «Dopo quelle di Kafka le mie parole mi sembrano insipide» (20 luglio 1968).

«Con Kafka ho in comune una sola qualità: l’orgoglio» (21 settembre 1968). Niente Nobel a Kafka? «Kafka è al di sopra di tutti i premi» (3 febbraio 1982). Kafka aveva un carattere ipocondriaco – «la sua vera attività è il sogno» (6 gennaio 1968). Nella notte Kafka trova pace. La sua inclinazione? Diventare piccolo, silenzioso, leggero. Trova felicità nella solitudine della scrittura. «La vulnerabilità del corpo e della mente sono per Kafka la vera condizione dell’attività letteraria», «la letteratura è il suo regno della libertà» (14 febbraio 1968). La letteratura è la sua vita. Ama scrivere sul diario, leggere biografie, scrivere lettere. Kafka è influenzato dalle novelle chassidiche, ma anche da August Strindberg, Fëdor Dostoevskij, Franz Grillparzer e Gustave Flaubert. E mentre Kafka ha un debito con questi, Canetti sente di avere un debito con Jacob Burckhardt.

E scrive che anche solo una riga di Kafka gli è più cara di tutta la sua opera. L’opera del praghese consta in pochi elementi. Ma mai nessuno ha scritto tanto sempre sugli stessi temi, avverte Canetti. «Kafka ci dà solo le ossa. Ma sono accuratamente rosicchiate» (28 dicembre 1953). L’autore parla anche del giudizio, di Praga – «una città come Kafka» (17 febbraio 1968). Una città però sempre più stretta, insopportabile per Kafka, fino al trasferimento disperato a Berlino con Dora Diamant. Il carattere oppressivo della mentalità borghese, il tribunale, la colpa per il fatto stesso di vivere. Le sue metamorfosi, scrive Canetti, sono metamorfosi della fuga. Canetti non manca di ricordare i paradossi di Kafka e della sua vita. Lo turba il fatto che Max Brod ha vissuto il doppio di Kafka; «che la sua opera non significhi nulla, mentre quella di Kafka significa tutto» (26 febbraio 1968).

Ma emergono anche i tratti della personalità di Kafka, che Canetti osserva attentamente. Freddo d’animo, duro, malinconico, infelice, maniaco. E poi le tematiche di Kafka e quell’eccezionale milieu nel quale si è trovato ad operare. Tra vita ebraica, cristiana, tedesca, ceca, russa, francese, cinese e americana. Tra un posto di lavoro che lo annoia, le scartoffie, l’essenza della gerarchia. E il bordello nel quale impara molto e conosce le donne. Altra questione imprescindibile nell’opera di Kafka. «Non credo che Kafka sarebbe riuscito a rendere davvero felice una donna» (14 dicembre 1964). Il carteggio con Felice, è stato osservato anche da molti, è in effetti un continuo dialogo con se stesso. «Quando si tratta dell’amore, le lettere sono il vero nutrimento» (20 febbraio 1968). Nelle considerazioni di Canetti entrano anche Milena Jesenská – ex moglie di Ernst Pollak, «uomo di una vanità senza eguali» (29 marzo 1971).

«Kafka vede le donne più lucidamente di qualsiasi altro scrittore. Le conosce, come se non avesse mai avuto niente a che fare con loro, non c’è felicità che lo abbia corrotto» (20 luglio 1968). Su Felice: lei si sente contagiata dall’insicurezza di lui, ma è una donna pragmatica. Che non gli scrive per obbligarlo a concludere il fidanzamento. Per Kafka l’importante è che la donna amata sia lontana. Lontana per scriverle. Ma la sua attesa viene spesso delusa. Si incontrano a casa Brod la sera del 13 agosto 1912; Kafka le riscrive il 20 settembre. Nella lettera parla dei progetti per un trasferimento in Palestina che non si sarebbe mai concretizzato. La corrispondenza con Felice evidenzia il tormento di Kafka e gli aggiornamenti sui suoi stati fisici. «È sicuro che le mie condizioni fisiche costituiscono uno dei principali ostacoli al mio progresso» (Diario, 22 novembre 1911).

Le condizioni fisiche sono esplorate da Canetti nel carteggio. Il fisico diventa la vergogna di Kafka. Fortissimo è il suo sentimento di fragilità e ipersensibilità. «La sua stanza è un asilo, si trasforma per lui in un corpo esterno, si può definirla il suo avancorpo». Da quella stanza sono uscite molte lettere. È proprio durante il carteggio con Felice che Kafka sperimenta l’ascesa nella letteratura. E in poco tempo scrive La condanna, il fuochista, La metamorfosi – questa «una delle poche creazioni letterarie veramente grandi e perfette di questo secolo». Canetti riconosce che Felice è una ragazza semplice. «Lui aveva portato alla luce una minima parte del mondo immenso che recava nella propria mente, e come scrittore la voleva tutta per sé». Kafka ha una avversione particolare per il matrimonio. «Il mio modo di vivere è regolato esclusivamente sull’attività letteraria», scrive Kafka nella nona lettera a Felice (1° novembre 1912).

Kafka e il potere. Per Canetti, che ha dedicato un lungo e complesso saggio al potere (Masse und Macht), il boemo rimane uno scrittore imprescindibile. Kafka «non analizza mai ciò che è potente, è troppo potente per lui» (27 dicembre 1953). «Forse è l’esaustività con cui Kafka si occupa del potere che ha indotto a fraintendere la sua opera» (2 marzo 1968). «Non c’è nessuno scrittore che abbia raccontato il potere come lui, i suoi scritti ne racchiudono tutti gli aspetti corporei», scrive Canetti a Rudolf Hartung (22 aprile 1968). Kafka è infatti oggetto di alcune lettere pubblicate in questo volume. Canetti lo definisce «l’unico scrittore cinese per sua stessa natura che l’Occidente possa vantare». Il che è condiviso anche da Arthur Waley, uno dei migliori conoscitori della letteratura orientale e con cui Canetti ha discusso a proposito. Nell’opera, en passant, non mancano i giudizi di Canetti su colleghi scrittori.

L’ammirazione per Karl Kraus e la singolarità di Robert Walser. Paul Valéry lo intrattiene, Thomas Mann lo annoia, André Gide non gli dice nulla, T. S. Eliot lo disgusta, Cesare Pavese è «tra me e Kafka», Franz Werfel sopravvalutato. Robert Musil «ha quella considerazione di sé che Kafka non ha mai conosciuto» (29 gennaio 1969). «Davanti a Kafka qualsiasi scrittore è modesto» (9 settembre 1966). «Gli unici due scrittori che posso leggere in qualsiasi momento in qualsiasi punto della loro opera sono Stendhal e Kafka» (9 settembre 1966). In Kafka è assente l’ovvio, scrive Canetti. Infine, «di individui come lui non ce ne sono stati molti. La maggioranza era piuttosto come me, fanfaroni, gente che esagera, che si sopravvaluta» (30 luglio 1966). Ed infine, «prima di morire devo togliermi di dosso Kafka» (12 luglio 1984). «Quando penso alla morte, mi turba l’idea che dovrò separarmi da Kafka» (9 settembre 1966).

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Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, classe 1997, MA in Relazioni Internazionali, BSc in Comunicazione, giornalista freelance, gestisce “Blackstar”, www.amedeogasparini.com

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