Dal 1848 al 1989: Winkler gli anni delle rivoluzioni tedesche
I tedeschi e la rivoluzione (Donzelli 2024) di Heinrich August Winkler è una breve, ma approfondita analisi sulla relazione tra la Germania e le rivoluzioni che hanno segnato la storia europea e mondiale dal XVIII secolo in avanti. Il volume si inserisce in una tradizione storiografica che cerca di comprendere le peculiarità del percorso storico tedesco, spesso descritto come “sui generis” rispetto ad altre nazioni europee. Winkler inizia la sua analisi collocando la Germania in un contesto delle grandi rivoluzioni europee, partendo da quella francese del 1789. Un punto di partenza non casuale. La Rivoluzione Francese è una pietra miliare per l’intero continente. Eppure, in Germania ebbe un impatto diverso. La diffusione delle idee rivoluzionarie trovò qui forti resistenze nella società tedesca, divisa in stati e principati, ciascuno con una propria politica e cultura, spesso legata a tradizioni autoritarie e feudali.
Winkler sottolinea come la Germania abbia vissuto queste trasformazioni più come un processo d’importazione che come un movimento endogeno. La Rivoluzione Francese non portò in Germania la stessa ondata di cambiamenti sociali e politici immediati che si videro in Francia o in altre parti d’Europa. Questo differenziale tra la Germania e il resto del continente è cruciale per comprendere il ruolo della nazione nelle successive ondate rivoluzionarie, come quelle del 1848. E, più tardi, quelle del 1918 e 1989. Un punto centrale del libro è l’analisi della Rivoluzione del 1848. In Germania, questa rivoluzione fu un tentativo di unire le forze liberali e nazionaliste contro il sistema degli stati assolutisti. Tuttavia, come evidenzia Winkler, la rivoluzione fallì a causa della debolezza intrinseca del liberalismo tedesco, incapace di unire le diverse forze sociali sotto un’unica bandiera e di includere le istanze delle classi popolari.
I liberali tedeschi, spesso provenienti dalla borghesia, erano più interessati a ottenere riforme che favorissero i loro interessi economici e politici piuttosto che affrontare le questioni sociali più profonde, come la distribuzione della terra e i diritti dei lavoratori. Il che si concluse con la restaurazione dell’ordine conservatore. Winkler racconta come il desiderio di unificazione nazionale si scontrasse con le realtà di un paese frammentato. La divisione interna della Germania rese impossibile una risposta unitaria e coesa ai movimenti rivoluzionari. La rivoluzione liberale del 1848 ha contribuito all’ascesa del nazionalismo tedesco, che culminò con la proclamazione dell’Impero nel 1871. Winkler discute il ruolo di Otto von Bismarck, il “Cancelliere di ferro”, che riuscì a unificare la Germania sotto la guida prussiana non attraverso un movimento popolare rivoluzionario. Ma mediante una serie di guerre e abili manovre diplomatiche. Ovvero, un’unificazione “dall’alto”.
Il che pose le basi per un sistema politico che, pur garantendo un certo grado di unità nazionale, rimase autoritario e militarista. L’autore suggerisce che la mancata rivoluzione liberale abbia privato la Germania di un’esperienza fondamentale nel processo di democratizzazione che altri paesi europei avevano già vissuto. Invece di svilupparsi come una nazione democratica e liberale, la Germania seguì un percorso che la portò a diventare una potenza autoritaria e aggressiva, culminando nella Prima Guerra Mondiale. La sconfitta tedesca portò ad una nuova fase rivoluzionaria. Si susseguirono l’abdicazione di Guglielmo II, la fine dell’Impero e la fondazione della Repubblica di Weimar. Che fu instabile fin dal principio. Winkler evidenzia come i compromessi fatti dai leader socialdemocratici con l’élite conservatrice, inclusi militari e burocrati imperiali, abbiano minato la stabilità della nuova repubblica.
In questo contesto, il nazionalsocialismo trovò terreno fertile per prosperare, promettendo ordine, stabilità e una rinnovata grandezza nazionale. Winkler definisce il nazionalsocialismo come una “rivoluzione contro l’Illuminismo” e non solo una reazione alle condizioni economiche e politiche della Germania del tempo. In altri termini, Winkler suggerisce che il Nazionalsocialismo abbia radici più profonde nella cultura tedesca, che aveva già mostrato segni di resistenza all’Illuminismo. Il Nazionalsocialismo cercò di costruire un ordine nuovo, basato su principi opposti a quelli che avevano ispirato le rivoluzioni liberali in Europa. La creazione di uno stato totalitario, il culto del Führer e l’ideologia razzista rappresentarono un completo rifiuto dei principi di libertà, uguaglianza e fraternità. Una “controrivoluzione” vera e propria – tesa in parte a rovesciare non solo l’ordine politico del tempo, ma anche i valori fondamentali della civiltà occidentale.
Con la caduta del Muro di Berlino e la fine del regime comunista nella Germania dell’Est, ci si è avviati verso una riconciliazione della Germania con la democrazia e i valori dell’Illuminismo. Winkler evidenzia come questa rivoluzione sia stata diversa da quelle precedenti. In primo luogo, fu una rivoluzione pacifica, caratterizzata da proteste di massa non violente che chiesero la fine del regime e la restaurazione della democrazia. In secondo luogo, riuscì a creare un nuovo ordine politico stabile e democratico, integrando la Germania dell’Est nel contesto della Repubblica Federale Tedesca. L’autore riflette anche sul significato simbolico della riunificazione tedesca, che segnò la fine definitiva delle divisioni create dalla Guerra Fredda. Ma non manca di sottolineare le sfide che la Germania ha dovuto affrontare dopo la riunificazione, in particolare le difficoltà economiche e sociali.