Il Giornale di Montanelli compie cinquant’anni
In occasione dei cinquant’anni de il Giornale, Come un vascello pirata (Rizzoli 2024) propone alcuni dei pezzi più significativi di Indro Montanelli e dei suoi “Controcorrente”. L’introduzione, un ritratto di una quarantina di pagine a cura di Luigi Mascheroni sulla storia del Giornale e del suo fondatore, ripercorre l’idea di un giornalismo senza bandiera. Eppure, sempre schierato, libero per istinto, controverso, conservatore, anticonformista, anarchico, corsaro. «Mai stato montanelliano. Mai conosciuto Montanelli», dichiara Mascheroni, «mai avuto il mito di Montanelli, troppo inafferrabile, troppo sprezzante, troppo unico, troppo bravo: ne invidio l’altezza della scrittura, mi spaventano le penombre della vita. Ammiro lo stile, mi sfugge il carattere». Come lui, tantissimi giovani e meno giovani leggono e ricordano il mito, la leggenda Montanelli, con la sua scrittura chiara, limpida e diretta. Anzitutto, perché Montanelli è uno che è stato sempre in prima fila e ci ha messo la faccia.
Insofferente e burbero, talentuoso e geniale, furbissimo e teatrale, vanitoso e solitario, generoso e umorale Eccellente narratore, “capricciosa primadonna”, ma anche un giornalista che ha commesso errori, naturalmente, pur non facendo mai tiri mancini o meschinità. Il suo giornale nacque il 25 giugno 1974 dopo la sua fuoriuscita dal Corriere della Sera, che era diventato fiancheggiatore della contestazione comunista. Fu dunque così che Montanelli decise di portarsi via, come si sarebbe detto in seguito, l’argenteria di Via Solferino. Guido Piovene ed Enzo Bettiza anzitutto. Ma anche Gian Galeazzo Biazzi Vergani, Renzo Trionfera, Leopoldo Sofisti, Cesare Zappulli, quindi Egisto Corradi e Mario Cervi. All’inizio il Giornale stava in piazza Cavour a Milano, poi si spostò in Via Negri. E sin dai primi attimi non ebbe vita facile. Veniva boicottato nelle edicole, tant’è vero che gli edicolanti lo tenevano nascosto e chi lo comprava lo nascondeva nel cappotto per paura delle calunnie.
È l’insulto di “fascista” non era neppure il peggiore, ricorda Mascheroni. Conservatore, talvolta di destra, talvolta più di centro, il Giornale era un calderone di diverse correnti. Dal lib-lab di Bettiza, ai vecchi repubblichini, fino al rigido mondo conservatore di Egidio Sterpa, Salvatore Scarpino e Marcello Staglieno. Uno dei settori in cui il quotidiano brillava era lo sport, dove lavoravano Carlo Grandini, Alfio Caruso, Oscar Eleni ed Enrico Benzing, Franco Ordine, Tony Damascelli. Importante era pure il settore della cultura: Giovanni Arpino, Geno Pampaloni, Giorgio Zampa, Mario Praz e Manlio Cancogni. Per le scienze politiche il Giornale vantava Nicola Matteucci e Domenico Settembrini. Per l’economia Sergio Ricossa e Marco Vitale. Dall’estero collaboravano Gregor von Rezzori, John Kenneth Galbraith, Paul Samuelson, François Furet, Eugène Ionesco, François Fejtő, Frane Barbieri. Il Giornale di Montanelli era dunque un mondo. Il suo direttore era invece umorale, perfido, volatile.
Lo si è detto tante volte e lo conferma anche Mascheroni: Montanelli non fu un grande direttore. Scrisse in una lettera a Bettiza nel 1983: «Io so benissimo di non essere un gran direttore. Ma credo che nessun direttore abbia servito il proprio giornale con la dedizione e la passione e l’umiltà con cui lo servo io». Al Giornale il lettore era al primo posto. Non è infatti un caso che l’articolo di apertura il 25 giugno di cinquant’anni fa Montanelli ricordava che «questo giornale non ha padroni, perché nemmeno noi lo siamo. Tu solo, lettore, puoi esserlo, se lo vuoi. Noi te l’offriamo». Mascheroni ripercorre anche la nota vicenda del divorzio dall’editore Silvio Berlusconi. Antiitaliano contro arci-italiano. Incompatibili, amici-nemici. Pessimista esistenziale il primo, ottimista sfavillante il secondo. Ma il volume non spende molto spazio su questo. Ed è anche un bene per non alimentare polemiche.
«Questo quotidiano nasce da una rivolta e da una sfida», dunque, scriveva Montanelli (25 giugno 1974). «I più benevoli ci definiscono sognatori. I più malevoli, pazzi. Noi ci consideriamo soltanto sensati». Il lettore al primo posto: «Chi sarà questo lettore noi non sappiamo perché non siamo un giornale di parte, e tanto meno di partito». La selezione degli articoli procede nell’arco dei vent’anni in cui Montanelli è stato direttore. Il volume ricorda sì i cinquant’anni di Giornale, ma il vero Giornale è il Giornale di Montanelli. Quello dal 1994 in poi è un’altra cosa. Negli articoli selezionati da Mascheroni si trovano i commenti di Montanelli sulla DC e la classe politica. «Con lo zoo politico abbiamo scarsa dimestichezza, ma […] l’attuale classe dirigente, quella che costantemente si richiama […] ai “valori della Resistenza”, ha fallito» (7 luglio 1974). Montanelli parla anche di allarmi di fascismo e del clima da caccia alle streghe.
«Per sfuggire a questo terrorismo non c’è che un’arma: il coraggio» (7 settembre 1974). Coraggio che non mancava a Montanelli. «Siamo letteralmente bersagliati da lettere e telefonate di lettori che ci accusano di “favoreggiamento” del centrosinistra» (22 giugno 1975). Poi un ricordo dei cento anni del Corriere della Sera e il ricordo affettuoso di Aldo Borelli. Montanelli fece anche alcune battaglie scomode, come difendere il presidente Giovanni Leone (scandalo Lockheed) – «gli schizzi di fango non fanno macchia e non reggono all’unico detersivo che conta: il tempo» (29 aprile 1976). I commenti sulla sua partecipazione a “Bontà loro” di Maurizio Costanzo. Il breve articolo dopo la gambizzazionne – «Se questi aggressori credono di tappare la bocca al “Giornale” si sbagliano proprio di grosso» (3 giugno 1977). Poi un ricordo di Leo Longanesi, uno dei suoi due maestri: «Frondista sotto il fascismo, ribelle sotto la democrazia» (27 settembre 1977).
Dunque, l’attentato contro Carlo Casalegno e Aldo Moro. L’uso dell’energia nucleare, la strage di Bologna, i duelli con Giorgio Bocca e le risposte a Ciriaco De Mita – che lo portò in tribunale. Un ritratto ironico di Giulio Andreotti per festeggiare i suoi quarant’anni al potere, un ricordo al “carissimo nemico” Enrico Berlinguer con un giudizio posato e sincero. E che vale la pena di essere riprodotto (12 giugno 1984) come testimonianza di onestà intellettuale. «Lasciamo volentieri la ricostruzione di queste vicende agli esperti delle Botteghe Oscure, anche se non ne hanno mai azzeccata una. Noi vogliamo solo rendere l’onore delle armi a un uomo che può anche aver commesso degli errori: ma mai disonestà o bassezze. Se è vero – com’è vero – che un buon nemico è ancora più prezioso di un buon amico, dovremo piangere e rimpiangere Enrico Berlinguer: un nemico come lui, su quella sponda, non lo troveremo più».
Poi una pacca sulla spalla per i dieci anni di Giornale, con un pensiero ai lettori. «È a questi lettori, rimastici sempre fedeli nella buona e nella cattiva sorte, che va il merito del nostro successo» (25 giugno 1984). Ancora ritratti: Marco Pannella: «il fiuto, il coraggio, il tempismo, l’intangibilità morale, e quella miscela di genialità e di ciarlataneria» (31 luglio 1986). Maria José del Belgio: «moglie negletta e madre negligente, aveva però altissimo il concetto della sua professionalità di regina» (11 dicembre 1987). Enzo Ferrari: «uomo disincantato e amaro» (17 agosto 1988). Leonardo Sciascia: «eretico al bando di tutte le Chiese» (21 novembre 1989). Alberto Moravia: «confessava di trovarsi antipatico e di non stare volentieri in compagnia di se stesso» (27 settembre 1990). Bettino Craxi: «m’infastidiva quel suo modo di guardare, parlando, a destra e a manca, mai negli occhi dell’interlocutore che aveva di fronte» (23 settembre 1992).
Quindi la caduta del Muro di Berlino, quando a cadere non fu solo una struttura, ma l’ideologia che ne fa da fondamenta. Infine, la crisi con Berlusconi: «Non abbiamo mai contestato il diritto di Berlusconi a fare politica in proprio. Ciò che contestiamo è l’opportunità, per lui, di esercitare questo diritto […]. Uno di quegli eterni giovani che, quando si appassionano ad un’idea, non amano sentirsela criticare […]. La sua foga è trascinante, il suo entusiasmo contagioso, perfetto il dosaggio fra pathos e humour […]. Il gioco politico, gli dissi, richiede due qualità di cui lui è totalmente sprovvisto: la doppiezza e il cinismo» (12 dicembre 1993). Ed infine, l’ultimo editoriale, “Vent’anni dopo” (12 gennaio 1994): semplicemente commuovente. L’ultimo Montanelli, padre ferito, che ricorda il suo Giornale come passione, orgoglio e tormento. «Nessuno mi ha scacciato. Sono io che mi ritiro».