Fabio Armao: ridiscutere il patto con il capitalismo
Il titolo del libro di Fabio Armao Capitalismo di sangue (Laterza 2024) sottolinea come il trionfo del capitalismo dopo il 1989 abbia – a detta dell’autore – significato la ritirata dello stato democratico, l’abbandono delle lotte per i diritti, la crescita delle diseguaglianze, la finanziarizzazione dell’economia. Oggi il nazionalismo è un lusso che non ci si può permettere, esordisce Armao. Che delinea il termine oikocrazia, da “oikos”, cioè la casa, la famiglia, il clan. Si tratta del modello di una forma di governo che favorisce il clan come struttura di riferimento, privilegiando gli interessi privati dei suoi membri rispetto agli interessi pubblici collettivi. L’oikocrazia si adatta alla globalizzazione creando reti transnazionali basate su aggregazioni di relazioni interpersonali tra individui, capaci di sfruttare combinazioni di risorse politiche ed economico-finanziarie fuori controllo. Secondo Armao, l’oikocrazia permette al neoliberismo di trasformarsi in totalitarismo e avrebbe pure contribuito al conflitto in Ucraina.
Armao denuncia l’industrializzazione dei massacri, le dimensioni economiche della guerra, le sue motivazioni. Nel mirino anche i contractors, i signori della guerra, i bambini-soldato, le reti terroristiche – tutti elementi condannabili, secondo l’autore. «Da decenni la guerra genera un’intera filiera globale ad alta redditività dotata di una propria autonomia, capace di coinvolgere tutte le sfere del capitalismo: da quella industriale della produzione degli armamenti, a quella commerciale del traffico […] delle armi stesse, fino alla sfera finanziaria delle quotazioni in borsa». Questa è la tesi principale di Armao. In ogni guerra, anche coloro che non sono direttamente coinvolti, sono costretti a schierarsi, semplificando il dibattito in una dicotomia amico-nemico. Successivamente, emerge una logica disfattista dell’autore: «Per sottrarsi a questo dilemma, l’unica soluzione sembra essere “abbandonare il campo”, adottando la prospettiva pacifista di chi afferma che la guerra è sempre un male, a prescindere dalle cause e dal contesto».
Se non altro, l’autore riconoscere limiti e deficienze del pacifismo, che «rischia di rivelarsi inefficace o […] controproducente a meno di non adottarne una visione attiva e militante basata sull’adozione di tecniche non violente di resistenza civile». Armao sostiene che è diverso rimanere equidistanti, pretendere di rimanere neutrali, equiparare le motivazioni dei belligeranti e cercare scusanti nelle guerre precedenti. Questo approccio, infatti, favorisce chi dispone di maggiori risorse, dunque l’aggressore. Nel volume, viene posta attenzione anche sui nemici interni della democrazia. Fabio Armao riporta il Democracy Report 2022, ricordando che il numero delle liberaldemocrazie è tornato al 1989 – 13 per cento della popolazione mondiale. Le autocrazie elettorali contano per il 44 per cento e le autocrazie in senso stretto per il 26. Il declino della democrazia riguarda soprattutto l’America Latina e l’Asia.
Il volume suggerisce un collegamento sfumato tra totalitarismo e globalizzazione neoliberista. L’ascesa del “totalitarismo neoliberista” – termine ridicolmente improprio – governato dall’uno per cento della popolazione mondiale sarebbe in contraddizione con l’universalità dei diritti. Ma secondo Armao, è destinato a portare a un ritorno a privilegi di ceto. L’autore sostiene che la globalizzazione ha alimentato i processi di deindustrializzazione nei paesi più sviluppati e la delocalizzazione della produzione in regioni a più basso costo. Contemporaneamente, si osserva una mercificazione della politica. 1) Emergono partiti sempre più leggeri. 2) Si evidenzia la presenza di leader carismatici. 3) Si fa un uso massiccio della pubblicità. 4) Si adotta il populismo. 5) Le masse sono oggetto di mercificazione. 6) C’è uno spostamento frequente delle preferenze da un partito all’altro. Il risultato è che le democrazie odierne diventano sempre più ingovernabili. Nonostante ciò, la democrazia sembra impantanata nel riproporre stereotipi novecenteschi di matrice eurocentrica.
Fabio Armao conclude che la democrazia rimane la via più sicura, sebbene sia la più difficile da percorrere, poiché richiede maggior cura. Ma anche più educazione, ricerca, cultura. Bisognerebbe rivedere il patto con il capitalismo. Le democrazie dovrebbero anche impegnarsi ad abolire la concorrenza fiscale tra stati affidando alle istituzioni internazionali, a partire dall’UE, il compito di fissare delle aliquote uniformi di prelievo, da applicare anche alle corporation multinazionali, propone Armao. Investire nella democrazia vuol investire sui diritti economici e il lavoro, senza cui non si può progredire sul piano socioculturale. «Un capitalismo dal volto umano dovrebbe oggi destinare le proprie energie a concepire e a produrre beni e servizi a basso costo per i miliardi di meno abbienti e di poveri assoluti, invece di continuare a investire tutte le proprie risorse e a sprecare la propria inventiva per soddisfare la domanda sempre più esigente e ridotta dei megaricchi».