Guerra e pace: in aula con Norberto Bobbio
Leggendo Lezioni sulla guerra e sulla pace (Laterza 2024) di Norberto Bobbio si ha l’impressione di tornare ai banchi universitari per l’approccio scientifico del professore torinese. Ma pure per la tecnicità della tematica, le fonti curate, l’eloquio forbito. Le lezioni tenute tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta sono dedicate alla “Teoria della norma giuridica” e alla “Teoria dell’ordinamento giuridico”. Bobbio offre un’analisi completa dei rapporti tra guerra e diritto, sottolineando le varie strategie di giustificazione della guerra, sia i diversi modi di intendere la pace e il pacifismo. Ricostruisce la storia teorica della “guerra giusta” rifacendosi ai grandi classici. Tocca le ragioni sull’avvio di una guerra (“ius ad bellum”) e le modalità con cui essa è condotta (“ius in bello”). L’autore inizia discutendo il giusnaturalismo moderno, attingendo a Thomas Hobbes, da sempre un punto di riferimento nella riflessione politica e giuridica di Bobbio.
Ma anche Immanuel Kant, la guida nella riflessione internazionalistica bobbiana centrata sul trinomio pace-democrazia-diritti umani. Già negli anni Sessanta, Bobbio affermava che «l’uomo non sembra più in grado di risolvere i suoi problemi mediante la guerra». Quindi, definisce la guerra come «conflitto violento tra gruppi sociali attraverso forze organizzate». I legami tra guerra e diritto sono esplorati da Hans Kelsen, che nella sua Teoria generale del diritto e dello Stato propone il diritto come una tecnica di organizzazione sociale volta a raggiungere la pace. La guerra è considerata un male; la pace è vista come un bene. Dal momento che gli uomini sono intrinsecamente inclini a un rapporto di ostilità (“homo homini lupus”), emerge lo stato di “bellum omnium contra omnes”, in cui gli uomini istituiscono lo status civile con l’obiettivo di eliminare il “bellum”.
Nel suo De Cive, Hobbes elenca le leggi naturali fondamentali della condotta umana, tra cui la prima, “pax est quaerenda”, che costituisce l’etica dell’uomo. John Locke, d’altro canto, presenta l’antitesi tra guerra e diritto. Jean–Jacques Rousseau (Contrat social), sostiene che la pace costituisce la finalità del diritto. Bobbio argomenta che la violenza dell’uomo contro l’uomo può essere giudicata in quattro modi. 1) Come illecito. 2) Come lecito a seconda delle ideologie. 3) Come permesso. 4) Come obbligatorio. Il diritto rappresenta contemporaneamente un contrasto e un complemento contro la forza. Regola l’uso della forza, stabilendo chi, come, quando e in che misura può esercitarla. La guerra, oltre ad essere un fenomeno sociale, è anche un fenomeno psicologico. Affrontare il problema filosofico della guerra significa interrogarsi. La guerra ha un significato?
Norberto Bobbio afferma che «quando l’uomo non riesce a giustificare la realtà in cui vive, cerca di agire su di essa per trasformarla. La via della razionalizzazione è quella che porta l’uomo a adattarsi al mondo; la via della trasformazione è quella che lo porta a adattare il mondo a sé». Di fronte alla guerra, si delineano due approcci. O la giustificazione della guerra attraverso una concezione del mondo in cui essa acquisisca un significato. Oppure la trasformazione della società per rendere la guerra impossibile, seguendo il pacifismo. Si può infatti giustificare la guerra, non giustificarla, o distinguere tra vari tipi di guerra. Bobbio esamina la guerra come rivoluzione e la crisi della legalità della guerra. Sostiene che la guerra non conosce più limiti giuridici, né in termini di legittimità, né di legalità.
Personalità come Cicerone, che delinea i limiti legali della guerra in De Officiis, San Tommaso d’Aquino, Francisco de Vitoria, Ugo Grozio, Voltaire (che definisce la guerra “follia dei principi”), Joseph de Maistre e Kant sono esaminati per comprendere le loro prospettive sulla guerra. Il filosofo di Königsberg ha una concezione liberale della storia. Sostiene che la libertà è il motore dell’evoluzione umana. Questo significa che la libertà è l’unico modo attraverso il quale gli esseri umani possono esprimere le loro divergenze. Secondo Kant la pace perpetua sarà possibile solo dopo che la società avrà raggiunto un punto di perfezione, anche se il tempo di tale perfezione è incerto. Interessante è il collegamento tra progresso e guerra, evidenziato da Kant. Inoltre, la guerra è vista come strumento di progresso civile, poiché là dove non c’è guerra può insorgere il despotismo.
La guerra è anche considerata un mezzo per il progresso sociale, poiché può dividere per poi unificare. Georg Wilhelm Friedrich Hegel, il fondatore dello storicismo, affronta ampiamente la questione della guerra. Che non solo è possibile, ma è necessaria. La celebre espressione usata dal filosofo di Stoccarda è: «La guerra mantiene la salute morale dei popoli come l’agitarsi dei venti preserva dalla putredine i mari». Hegel sostiene che la guerra è essenziale per l’autoconservazione e la inserisce in un contesto hobbesiano, dove lo Stato è il soggetto principale della storia, attraverso il quale gli individui agiscono. Per Hegel, la guerra è considerata un mezzo e non un fine; il suo scopo dovrebbe essere la realizzazione della pace. Nel contesto delle analisi di Bobbio, sono inclusi anche Victor Cousin, filosofo della monarchia di luglio, insieme con Auguste Comte, fondatore del positivismo e Saint-Simon, precursore del socialismo e ispiratore di Comte.
Pierre-Joseph Proudhon, uno dei fondatori del socialismo nuovo (o scientifico) sostiene che la guerra non può essere riformata, ma deve essere trasformata al fine di porre fine ad essa e instaurare la pace universale. Karl Marx, con la sua visione della società come teatro di una lotta incessante, contribuisce a delineare un’analisi critica della guerra. Herbert Spencer, d’altra parte, sottolinea alcune caratteristiche della società militare ancora oggi rilevanti, tra cui la prevalenza dell’azione collettiva sull’individuale, la considerazione dell’individuo come parte di una grande macchina statale, l’accentramento del potere. Félix Le Dantec, Friedrich Nietzsche, Michelangelo Vaccaro, i federalisti Carlo Cattaneo e Jacques Novikov contribuiscono con le loro riflessioni sulla guerra e sulla società. Norman Angell, in La grande illusione, spiega che la convinzione che la guerra possa risolvere i problemi internazionali è, appunto, un’illusione.
Un’altra parte del volume di Norberto Bobbio è dedicata al concetto di pace. Raymond Aron fa tre distinzioni sul concetto di pace fra nazioni. 1) Pace di equilibrio, quella delle grandi potenze in senso moderno, come la conclusione del trattato di Westfalia. 2) Pace di egemonia, si attua a dipendenza della situazione cioè quando c’è una nazione più potente ed altre meno. 3) Pace di impero, ovvero la pax romana, attraverso la sottomissione. Max Scheler (L’idea di pace e di pacifismo) delinea: 1) Pacifismo eroico o individuale, che anima la non violenza. 2) Pacifismo economico, di cui Spencer era assertore. 3) Pacifismo giuridico, per la trasformazione delle istituzioni giuridiche. 4) Pacifismo socialista, sui rapporti di classe che si trasformano. 5) Pacifismo imperialista, nella sottomissione degli Stati ad uno solo. 6) Pacifismo borghese, capitalistico sui grandi interessi capitalistici. 7) Pacifismo culturale, per la diffusione dei lumini.
In altre parole, scrive Scheler, «Dicono di no alla guerra il teorico della non violenza, il cristiano, il libero scambista, il giurista, il socialista, l’imperialista; il grande capitalista, l’intellettuale illuminista». Ma sussistono altri tipi di pacifismo. Attivo e passivo, sociale (socialdemocratico), socialista (di Marx), istituzionale (per il disarmo dello Stato), religioso, liberale (Richard Cobden), democratico (Giuseppe Mazzini), finalistico (che mira alle radici della violenza), politico (quello kantiano). Si fa chiarezza, inoltre, anche su alcune figure che erano per la pace, ma non per il pacifismo, come Richard Coubenhove-Kalergi e Aristide Briand, entrambi di influsso kantiano. Kant non è un pacifista: «Kant non è un utopista, non si illude dell’immediata realizzazione del suo progetto. La pace perpetua è per lui un morale, una meta a cui l’uomo morale deve ideale tendere: insomma un dovere morale», ricorda Norberto Bobbio.