Giorgia Serughetti all’attacco di Thatcher sulla società
Il libro di Giorgia Serughetti, La società esiste (Laterza 2023), si basa su una famosa dichiarazione di Margaret Thatcher del 1987, «La società non esiste». L’ex Primo Ministro intendeva sottolineare che la società non può essere usata come scusa per le proprie mancanze o sfortune. Tuttavia, l’autrice, in linea con i critici di Thatcher degli ultimi quarant’anni, offre un’interpretazione maliziosa di questa affermazione volutamente decontestualizzata. Partendo da queste premesse, costruisce la sua tesi. Che la società è un concetto importante, contrastando la presunta opinione di Thatcher. Boris Johnson, nel marzo 2020, ha invertito l’affermazione di Thatcher dicendo: «Penso che la crisi del coronavirus abbia già dimostrato una cosa, che la società esiste davvero». Questo messaggio sembra essere anche una prova di una possibile evoluzione di Johnson in risposta all’emergenza, commenta Serughetti.
I fatti, anzitutto: Thatcher disse che: «abbiamo attraversato un periodo in cui a troppi bambini e persone è stato dato da intendere “Ho un problema, è compito del governo affrontarlo!” o “Ho un problema, andrò a prendere un sussidio per affrontarlo!”, “Sono un senzatetto, il governo deve darmi un alloggio!” e avanti così a scaricare i propri problemi sulla società. E chi è la società? Non esiste! Ci sono gli individui, uomini e donne, e ci sono famiglie, e nessun governo può fare nulla se non attraverso le persone e le persone guardano prima di tutto a se stesse». Serughetti sostiene che la società esiste eccome. E il Covid-19 ha evidenziato quanto sia importante. La crisi sanitaria ha portato a un ribaltamento delle priorità, mettendo l’individuale sopra il collettivo. Il privato sopra il pubblico. Il lavoro immateriale sopra quello materiale.
«Con la fiducia nella promessa neoliberista di crescita e benessere è entrata in crisi anche la visione antropologica […]. Non solo la condizione pandemica ha stimolato la consapevolezza dell’interdipendenza tra tutti gli esseri umani, […] ma la risposta collettiva alla minaccia del virus ha mostrato la forza che gli obblighi di reciprocità possono esercitare», scrive Serughetti. Che invita ad una riflessione approfondita sull’idea stessa di capitalismo, coinvolgendo esponenti della sinistra radicale e anticapitalista. Menziona autori come Nancy Fraser, Thomas Piketty, Gerard Duménil e Dominique Lévy sulla questione delle disuguaglianze. Scomoda anche il gotha del “criticism” ossessivo e anti-mercato. Da Colin Crouch con la sua post-democrazia, a Wendy Brown e il “disfacimento del demos”, fino a Chantal Mouffe (“post-politica”), Nadia Urbinati, Donatella Di Cesare, Michael Sandel. Serughetti riconosce a Thatcher la forza di costruire un nuovo senso comune della politica occidentale, che si è sviluppato sulle rovine del consenso del welfare del Dopoguerra.
L’autrice critica la fede nel libero mercato come meccanismo sovrano. E smonta il mito dell’efficienza e della razionalità dello stesso. Serughetti fa riferimento a Roberto Escobar, che ha descritto gli anni di Thatcher come “spietati”. Inoltre, menziona le scontate critiche di David Harvey e Stuart Hall contro la Lady di Ferro. Che demonizzò certamente il socialismo – «ovvero la visione manichea di una società divisa: da una parte un “popolo” di individui produttori e proprietari, uniti dalla condivisione di valori morali, che la leader si propone di costruire prima ancora che rappresentare; dall’altra i “nemici” del popolo, ovvero i politici socialisti e i sindacati». Il volume di Serughetti non si preoccupa dell’altra parte dell’intervista a Thatcher. Che disse: «È nostro dovere prenderci cura di noi stessi e poi anche aiutare a prendersi cura del nostro prossimo».
Ancora: «La società non esiste. C’è un arazzo vivente di uomini e donne e persone e la bellezza di quell’arazzo, e la qualità delle nostre vite dipenderanno da quanto ognuno di noi è disposto ad assumersi la responsabilità di se stesso e da quanto ognuno di noi è disposto a voltarsi e ad aiutare con i propri sforzi chi è sfortunato». Ma non importa; a Serughetti piace confermare le tesi della Thatcher-strega. Rimastica le critiche di Brown nei confronti di Friedrich von Hayek. Secondo l’economista austriaco, «il socialismo, la socialdemocrazia, e ogni modo di pensare che si ponga l’obiettivo di modellare la società secondo disegni di giustizia sociale, contengono in sé un errore fatale: la pericolosa illusione di poter modellare i rapporti umani in base a una costruzione deliberata». Tutto è il risultato di processi endogeni. Hayek impiega due termini greci: taxis, ordine artificiale (Stato) e cosmos, ordine spontaneo (mercato).
Nel secondo capitolo l’autrice torna l’attacco al capitalismo. «Negli ultimi vent’anni è stata combattuta una guerra di classe, e la mia classe l’ha vinta. Siamo quelli che hanno ottenuto una riduzione drastica delle aliquote fiscali». Così parlava Warren Buffett alla CNN nel 2011. «I nostri leader hanno chiesto di fare un sacrificio condiviso. Ma quando l’hanno chiesto, mi hanno risparmiato». Paradossi e frasi ad effetto tipiche di Buffett. Serughetti afferma che l’abdicazione della politica democratica dal compito di difendere l’interesse generale attraverso l’applicazione dei principi di uguaglianza e solidarietà ha portato a una rottura della coesione sociale. Non manca l’attacco alla meritocrazia. «L’etica meritocratica celebra la libertà, la capacità di controllare il proprio destino», scrive Serughetti. «La retorica del “se vuoi, allora puoi” diventa particolarmente tossica in condizioni di diseguaglianza dilagante […]. L’enfasi sulla responsabilità individuale finisce per demoralizzare quanti sono lasciati indietro».
Negli ultimi anni, si è verificata una rottura del legame sociale, generando una “a-società”. Il fondamento di questo fenomeno è spesso individuato nell’individualismo democratico, che si basa sul principio di uguaglianza. Come spiegato da Norberto Bobbio, questo principio collega l’individuo agli altri che ritiene simili a sé. Bobbio scriveva che l’individualismo della tradizione liberale-libertaria separa l’individuo dal corpo organico della società, conducendolo al di fuori del grembo materno. Ancora Serughetti: «Nella visione inaugurata da Thatcher, non è più la politica a dover realizzare le aspirazioni delle persone. La politica ridà ai cittadini il potere e il controllo della propria vita, restituendogli la proprietà dei beni dei quali sono stati spogliati da decenni di interventismo dello Stato in economia. L’aumento di potere dei singoli non si misura, quindi, nella maggiore partecipazione ai processi decisionali, alla formazione delle scelte politiche».
Secondo Hannah Arendt, il mondo comune è ciò che sta tra le persone, «come un tavolo è posto tra quelli che vi siedono intorno». Esiste un bisogno di ridefinizione in risposta alla tendenza disgregante e atomizzante dell’individualismo contemporaneo. Questo si accompagna a un senso di insoddisfazione e sfiducia nell’orizzonte comune, generando risentimento verso gli altri. Scrive Serughetti: «La visione neoliberista di individui indipendenti ed isolati, chiamati a competere per il proprio utile e ad assumersi la responsabilità per i propri fallimenti, ha decretato la crisi dell’idea di cittadinanza fondata sui diritti fondamentali, la delegittimazione del welfare come prestazione universalistica, la demolizione del pubblico e del comune, e del sociale come spazio di conflitti collettivi ispirati da ideali di giustizia». Sussiste l’abbandono dell’idea di società, sostiene l’autrice, che «ha coinciso in sostanza con il declino della sinistra, perché ha comportato la piegatura individualista e la frammentazione identitaria anche delle lotte “progressiste”».
Si vive una stagione ideologica in cui l’equità sociale viene dipinta come incompatibile con l’efficienza economica, accentuando la divisione tra le richieste di giustizia e quelle di libertà. Secondo Iris Young, l’oppressione assume cinque forme. Ovvero, sfruttamento, marginalizzazione, mancanza di potere, imperialismo culturale e violenza. Questa situazione può portare al ricorso allo Stato per l’implementazione di misure penali. Serughetti: «Però se a destra l’“identità” […] rappresenta una risposta coerente con la cancellazione dell’idea di società, per il mondo progressista […] il rischio è quello di depoliticizzare le rivendicazioni e di depotenziare l’impegno collettivo per combattere le molte facce dell’oppressione». Le identità collettive rappresentano una risorsa cui è difficile rinunciare. La ricetta vaga di Serughetti: «Ricostruire il “noi” e lottare per la “vita”: “Ma “vita” significa anche giustizia sociale, welfare universale, redistribuzione della ricchezza, lavori e salari dignitosi».