Falsificare la Storia: l’alternazione dei fatti e il caso ucraino
Con il suo Putin storico in capo (Einaudi 2023) Nicolas Werth racconta di come l’intenzione di Vladimir Putin nell’ambito della sua invasione dell’Ucraina sia stata anzitutto quella di falsificare la Storia. Raccontare cioè gli eventi rielaborati secondo la narrativa che si attaglia ai motivi dell’«operazione militare speciale». E soprattutto all’interno dell’orientamento generale del grande storytelling nazionale che Putin ha costruito e promosso negli anni. Il volume si apre con una prefazione di Andrea Gullotta, presidente di Memorial Italia, che parte dalla procedura della Federazione Russa nei confronti della Ong Memorial International, chiusa nel dicembre 2021 in concomitanza con l’inasprirsi della repressione della società civile russa. «Ho preso la decisione di condurre un’operazione militare speciale. L’obiettivo è proteggere le persone che da otto anni sono oggetto di violenza e di un genocidio da parte del regime di Kiev e a questo scopo cercheremo di demilitarizzare e denazificare l’Ucraina», disse Putin.
Una classica accusa dello specchio, sostiene Werth. Ovvero, la proiezione sulla vittima di un atto che l’aggressore sta perpetrando o si prepara a compiere. Il falsificare la Storia da parte di Putin prevede che la guerra di aggressione sia in realtà un’operazione per liberare l’Ucraina. Werth dedica molto spazio a Memorial e alla sua attività. Eliminata dal dibattito pubblico russo, l’organizzazione aveva condannato senza mezzi termini l’annessione russa della Crimea nel 2014. Rappresentava un ostacolo ingombrante nei confronti di Putin per il controllo della memoria storica, l’interpretazione del passato e la falsificazione della Storia. L’ossessione di Putin per la Storia in sé non è nata nel 2022. Sono anni che la strumentalizza per i suoi fini politici. Nel luglio del 2021 il suo testo L’unità storica di russi e ucraini si inseriva in questo disegno. Cioè la presentazione di una nuova Storia ufficiale per giustificare l’aggressione dell’Ucraina.
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Negli anni Putin ha condotto la sua politica estromettendo i punti di vista diversi, rendendo difficile a storici, pubblicisti, giornalisti e attori della società civile la ricostruzione della Storia post-sovietica. Antoon de Baets, dell’università di Groninga, ha coniato il concetto di crimine contro la Storia. Che prevede l’assassinio, la sparizione di produttori di Storia, la distruzione intenzionale del patrimonio culturale. Soprattutto la disinformazione e la censura in materia storica tramite la promulgazione di leggi repressive per sopprimere la libertà di espressione su questioni storiche. Ma anche il diniego di accesso agli archivi e azioni giudiziarie e campagne di intimidazione nei confronti di chi si occupa di Storia. Da anni il Cremlino ha optato per un nuovo racconto nazionale costruito dall’alto, a seguito del crollo del sistema sovietico che ha consegnato una società disorientata e che ha perso la sua identità.
Un tempo il racconto della Storia lo faceva il Partito Comunista. Dopo il crollo dell’Urss e i caotici anni Novanta, Putin si è messo all’opera per falsificare la Storia per ottenere il controllo maggiore nel Paese, dunque nello spazio post-sovietico, promuovendo la glorificazione di una grande Russia eterna, di una Russia che conduce grandi guerre patriottiche. La sua (non malcelata) missione è unire il Paese attorno a «valori essenziali» del patriottismo. Per questo si sono susseguite diverse operazioni revisionistiche. Nel 2012 l’istituzione della Società russa di Storia militare contrastò le iniziative che discreditavano la storia militare Russia. Nel 2014 la commissione interministeriale per la protezione dei segreti di Stato ha promulgato fino al 2044 la classificazione dei documenti dei servizi di sicurezza dal 1917 al 1991. Falsificare la Storia vuol dire mentire su tutto il proprio passato e a reinterpretarlo in chiave delle necessità del presente.