Quei carnefici del Duce impuniti

I carnefici del Duce (Laterza 2023) di Eric Gobetti analizza i crimini commessi dal fascismo nel Ventennio e come questi siano rimasti impuniti. L’autore lamenta il fatto che teoricamente non sarebbe necessario scrivere un libro sui crimini di guerra del Ventennio, ma l’Italia non ha fatto ampiamente i conti con quell’epoca, specialmente per quanto riguarda la responsabilità del fascismo e la brutale violenza perpetrata in nome dell’ideologia. In Italia non c’è stato un processo simile a Norimberga o a Tokyo per condannare i fascisti e i loro crimini. L’inizio della guerra fredda, il mutamento dei rapporti internazionali e il supporto delle potenze occidentali fecero sfumare la punizione dei crimini dei carnefici del Duce. In nome della continuità dello Stato, molte figure del regime si riciclarono nella nuova repubblica e si trovarono a ricoprire incarichi di potere nella magistratura, nell’esercito, nella polizia, nell’amministrazione.
Il contesto internazionale del tempo fece sì che fosse anzi necessario costruire un fronte che includesse alcuni protagonisti della stagione precedente in nome dell’anticomunismo, secondo l’autore. In altri termini, apparve più importante contestare il comunismo internazionale che punire o condannare i fascisti sconfitti. Questo scagionò l’esercito di ogni responsabilità e rafforzò il mito degli “italiani brava gente”; quella narrazione che si sente ancora oggi. Autoconsolatoria e falsa. Gente comune ha commesso dei crimini orrendi, sostiene Eric Gobetti. Eppure, oggi gli italiani in generale conservano una sensazione di innocenza. Autentici criminali, alla fine della guerra, l’hanno fatta franca. L’autore parte dalla vicina ex Jugoslavia, dove i fascisti commisero atti atroci a partire dal 1941. Alessandro Pirzio Biroli entrò in Montenegro dopo l’intervento nazista. Nazionalismo, imperialismo, colonialismo e razzismo s’intrecciarono, come del resto accadde in Africa, la prima vittima delle campagne mussoliniane.
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In Etiopia, ad esempio, si susseguirono internamenti di massa, massacri, eliminazione di specifiche categorie di individui e pratiche genocidarie. Lo stesso maresciallo Pietro Badoglio ordinò le deportazioni della popolazione libica nel giugno del 1930. In Cirenaica e Tripolitania l’Italia aveva combattuto la più lunga guerra della sua Storia giacché invase la Libia nel 1911 e la dichiarò conquistata solo nel 1931. Nell’ultima fase della guerra il vicegovernatore Rodolfo Graziani impiegò ingenti risorse per avere la meglio sui ribelli tramite la politica del terrore. Sostiene Eric Gobetti: «La Germania avrebbe operato nell’Europa dell’Est secondo metodi assimilabili a quelli coloniali in una concezione più ampia di dominio razziale sul mondo. Gli italiani avrebbero invece adottato i metodi repressivi sperimentati nelle colonie, basati su presupposti internazionalisti e razzisti». A questo proposito, la politica estera fascista si era sempre caratterizzata dalla strumentalizzazione delle forze nazionaliste.
Non a caso, gli ustascia si costituirono in Italia. Il gruppo fu supportato dai servizi segreti italiani per diversi crimini in Jugoslavia. Migliaia di ebrei e rom e non meno di trecentomila serbi furono uccisi attraverso i pogrom e le stragi sistemiche delle autorità croate. I carnefici del Duce utilizzarono la Libia come il loro laboratorio personale. Si fecero test con iprite, fosgene e arsina. L’inasprirsi della durezza dell’esercito italiano va attribuita alla resistenza che esso incontrò un po’ ovunque. Dalla Spagna ai Balcani, dalla Libia all’Etiopia. In maniera controversa, Gobetti afferma che non fu solo l’esercito, ma l’intera società italiana dell’epoca a portare su di sé le responsabilità politiche e morali dei crimini compiuti. Basterebbe questo per smentire il mito degli italiani brava gente. Durante il Ventennio sono state internate almeno trecentomila persone, senza contare i confinamenti e le espulsioni politiche, dunque lo sterminio degli ebrei.