Da Mao a oggi: la storia del Partito Comunista Cinese

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Guido Samarani e Sofia Graziani sono gli autori di La Cina rossa (Laterza 2023), che ripercorre la storia del Partito Comunista Cinese dalle origini a oggi. Organizzato in tredici capitoli, racconta la storia di un’entità che non è solo partito, ma anche Stato. Dal primo Congresso alla rivoluzione sociale, dalla presa al potere dopo la Seconda guerra mondiale all’egemonia maoista. Poi le relazioni con il Comintern, l’ideologia della nuova Cina, la rivoluzione culturale, l’evolversi dell’economia e della società, nonché tutti i congressi del Pcc nell’arco dei decenni. Non si può prescindere dalla figura di Mao Zedong, che è il protagonista dell’intero volume. Egli sottolineava la centralità del Pcc, nonché la sua capacità di tenere assieme la Cina attraverso ideologia e organizzazione. Per Mao, il partito doveva essere il centro di tutto e affermare la propria influenza nella società cinese e a livello internazionale.

La prima parte del libro tratta gli anni della lotta rivoluzionaria (1921-1949). Il fervore patriottico e le centinaia di riunioni finalizzate a coinvolgere la gente comune confluirono nell’intenzione di una piccola élite di creare un partito comunista. Tra i primi a emergere fu Zhou Enlai. Il primo Congresso si aprì l’1 luglio 1921, ma in realtà era il 23. Mao non fu subito il punto di riferimento incontrastato sul piano ideologico; lo divenne dal 1945 in poi. Sin dall’esordio, il Partito Comunista Cinese identificò nel proletariato il motore di un possibile rovesciamento del sistema capitalistico, sottolineano gli autori. La questione operaia era ed è ancora centrale rispetto al partito, che sin dai primi anni Venti si concentrò sulle insurrezioni popolari e sul problema della disoccupazione. La lunga marcia (1934-1936) e la guerra contro il Giappone (1937-1945) rafforzarono la struttura e l’organizzazione del partito.

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Nella seconda parte del libro si parla del Pcc al potere, con gli anni del maoismo (1949-1978). Il Grande Timoniere identificò immediatamente la necessità di una strategia di sviluppo economico e sociale. La presa del potere dei comunisti nel 1949 inaugurò una nuova fase del Partito Comunista Cinese, il cui focus si spostò dal lavoro delle campagne a quello delle città. La necessità fondamentale era il mantenimento di mobilità nazionale e la riaffermazione della sovranità sui territori periferici come lo Xinjiang e il Tibet, nonché la ricostruzione economica. Nel 1953 venne inaugurato il primo piano quinquennale che portò a un’industrializzazione di tipo sovietico, nonché alla creazione di una democrazia basata sul socialismo. Ovvero una dittatura. Sono gli anni delle elaborazioni di una via cinese al socialismo, ma soprattutto dello studio di misure economiche e sociali per lo sviluppo.

Gli autori sottolineano come il sistema organizzativo comunista causasse una crescente burocratizzazione dello Stato e della società. Il Grande balzo in avanti portò la costituzione delle comuni popolari, ovvero comunità collettive sul formato delle cooperative. Nelle campagne si avverava un disastro economico sociale, dal momento che la lotta di classe nell’ottica dell’unità socialista non veniva abbandonata dalla classe dirigente del partito. Il grande disordine era avvertito da Mao come una necessità per fare pulizia nei quadri stessi del Pcc. Mao aveva fiducia nelle nuove generazioni, che aizzò contro i genitori. La sua decisione di inviare giovani istruiti nelle campagne rifletteva il suo rapporto con la terra e con la necessità di far capire loro l’importanza del sacrificio e del lavoro duro. Dopo la sua morte, il 9 settembre 1976, Deng Xiaoping iniziò riforme e apertura, presentando al mondo una nuova Cina.

In passato aveva criticato alcuni eccessi del maoismo e dalla destra del partito auspicava politiche più moderate che permettessero elementi di mercato. Certo, il pensiero di Mao rimaneva centrale, ma la rivoluzione permanente venne messa da parte. La terza parte del libro tratta il dopo-Mao. Deng aveva capito che la Cina non poteva continuare a rimanere isolata tra l’imperialismo americano e il social-imperialismo sovietico. La sua strategia riformista fu dunque una risposta alla crescente marginalizzazione del Paese. Nel 1979, Deng enunciò i quattro principi cardinali: dittatura del proletariato, ruolo guida del partito, via socialista e marxismo-leninismo e pensiero di Mao. In seguito, all’espressione “dittatura del proletariato” si sostituì “dittatura democratica del popolo”. Ma la democrazia continuava a mancare. Le dimostrazioni di Piazza Tienanmen e il crollo del Muro di Berlino non scalfirono il potere del Partito né del sistema politico cinese.

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Deng credeva che solo premendo l’accelerazione economica e le riforme di mercato e soddisfacendo le aspirazioni materiali del popolo si potesse salvare il Comunismo, nonché la legittimità del Pcc. Non aveva torto, visto che il sistema comunista è ancora oggi vivo e vegeto. Gli autori dedicano pochissimo spazio agli anni di Jiang Zemin e Hu Jintao, caratterizzati essenzialmente dal mantenimento dello status quo del tempo. Le rivolte in Tibet (2008) e nello Xinjiang (2009) hanno preoccupato il Pcc non meno delle rivoluzioni colorate e delle primavere arabe. Si arriva poi all’era di Xi Jinping, la figura più potente in Cina dai tempi di Mao. Nel 2018 il limite dei suoi mandati da presidente venne rimosso dalla Costituzione. Per Xi, il Partito è tutto. La sua lotta alla corruzione in seno al partito è uno strumento che da una parte rinvigorisce il Pcc, dall’altra elimina potenziali avversari.

Il “sogno cinese dalla grande rinascita nazionale” è la sua bussola. Entro il 2049, il centenario della fondazione della Repubblica, Xi vorrebbe raggiungere uno stato di moderata prosperità generale. La Via della Seta e il Made in China 2025 sono tra gli strumenti per fare della Cina il Paese egemone in Asia. Certo, anche Xi ha le sue grane “interne”: i moti di Hong Kong, il deterioramento in Xinjiang, il post-Covid-19, il rallentamento dell’economia, Taiwan. In tutte queste sfide, secondo Xi, sarà il Pcc ad avere un ruolo centrale per riprendersi dal “secolo delle umiliazioni”. L’attuale statuto del Partito Comunista Cinese approvato al XX Congresso nazionale nel 2022 prevede la guida della propria azione formata da quattro cardini: il marxismo-leninismo, il pensiero di Mao, la teoria di Deng e il pensiero di Xi.

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Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, classe 1997, MA in Relazioni Internazionali, BSc in Comunicazione, giornalista freelance, gestisce “Blackstar”, www.amedeogasparini.com