Enrico Franceschini si racconta: giornalista con la valigia

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Come girare il mondo gratis (Baldini & Castoldi, 2023) di Enrico Franceschini potrebbe trarre in inganno: il volume non è una sequenza di consigli per viaggiare, davvero, il mondo gratis. Ripercorre, invece, la vita del suo autore. Il privilegio di viaggiare il mondo gratis lo si ha solo quando c’è un giornale che paga. Franceschini ha vissuto in tre continenti, cinque capitali e ha fatto venti traslochi. Non si è mai annoiato: in Italia è sempre tornato solo per le ferie. Animo da nomade – «zingaro della carta stampata» – presenta la figura del corrispondente estero come una scelta di vita – «se amate viaggiare, il corrispondente dall’estero è il lavoro che fa per voi. Se amate scrivere di un po’ di tutto, pure. Se amate viaggiare e scrivere, non ne troverete uno migliore».

Ancora oggi, il giornalismo è una professione necessaria. «Oggi ci pare di sapere tutto con un clic, ma abbiamo ancora bisogno di qualcuno che vada a vedere cosa accade, vicino e lontano da casa, da un capo all’altro del mondo, possibilmente cercando di spiegare in modo chiaro e succinto perché succede e cosa significa». Già Thomas Jefferson disse: «Se dovessi scegliere fra un governo senza giornali e giornali senza governo, non avrei esitazione a scegliere i secondi». Enrico Franceschini riconosce che il rischio del corrispondente estero è di scrivere di tutto senza sapere nulla. Il libro è articolato in quattro capitoli. Il primo parla dell’America: è il più lungo. Il grande amore, il primo amore. A Hell’s Kitchen Franceschini arrivò da ragazzo. Henry Miller, Jack Kerouac, Ernst Hemingway, Charles Bukowsky erano gli scrittori preferiti; Robert De Niro, Al Pacino, Woody Allen e Martin Scorsese i divi del tempo.

New York attraeva come una lampada le mosche. All’inizio, Enrico Franceschini aveva un pessimo inglese scolastico, mille dollari di risparmio e tanta voglia di scrivere. Iniziò a inviare le prime corrispondenze non richieste. Comprava tre quotidiani al giorno e, tra corse della metro, vitto e cancelleria, assieme con l’affitto i conti tornavano a stento alla fine del mese. Superbasket, Male e il Corriere del Ticino ospitavano i primi articoli, che venivano dettati da una cabin call a Manhattan. Erano gli anni di Ronald Reagan, che Franceschini sottovalutò pesantemente a livello politico. I primi anni Ottanta coincisero con i primi successi del giovane romagnolo. Talvolta andava alla Rizzoli sulla Quinta Strada nel club italiano e rubacchiava da Macy’s. Poi il grande salto con l’Espresso, per cui fece anche servizi anche dal Centro America. Intervista a Sergio Leone, poi l’incontro con Bettino Craxi e Federico Fellini alla Trump Tower.

Enrico Franceschini. Foto: Wikimedia Commons.

A New York i maestri non mancavano: in primis Ugo Stille e Vittorio Zucconi. Dalla Grande Mela Enrico Franceschini si fece tutti gli anni Ottanta. Poi si spostò a Washington e in Unione Sovietica. Zucconi lo avvertì: l’America è facile da raccontare, l’URSS meno. Il capitolo due del libro e della vita di Franceschini è scomodo: a Mosca poteva accadere di tutto, specialmente dopo la fine del Comunismo. Poche le parole che si potevano scambiare con i vicini, ma meno male che c’era Paolo Valentino, corrispondente del Corriere della Sera e poi grande amico. Con il crollo dell’URSS, il Nostro ha viaggiato ovunque per l’ex impero comunista. Vilnius, Riga, Tallin, Tbilisi, Erevan, Samarcanda, Leningrado. «Ovunque scoppia un focolaio di rivolta, seguito da un sussulto di repressione dell’Armata Rossa, con sangue, morti, barricate». In Russia era difficile verificare le notizie. Occorreva fidarsi delle agenzie locali, degli interpreti, delle fonti.

Con Giulietto Chiesa Franceschini andò a Kabul per assistere alla caduta della città nelle mani dei mujaheddin e a Grozny, in concomitanza con l’inizio della guerra in Cecenia. «Ho visto la fine del comunismo e l’inizio del caos più o meno democratico che ne è seguito, ho imparato il russo, sulla Russia ho perfino pubblicato qualche libro, due saggi e un romanzo, continuando nella tradizione secondo cui un giornalista ha sempre un manoscritto nel cassetto». Altro trasloco, capitolo terzo. Ezio Mauro, neodirettore di Repubblica, lo mandò a Gerusalemme a seguire il Medio Oriente. Di Israele Enrico Franceschini apprezzò anche la cucina; seguì anche la visita storica di papa Giovanni Paolo II. Ma la sorpresa fu con i leader e i politici israeliani: accessibili, alla mano, spicci. Poi finalmente Londra: il quarto capitolo, la quarta vita.

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Qui seguì l’attacco terroristico alla metropolitana, il collasso finanziario del 2008, la Brexit e la telenovela dei reali. Una volta scambiò persino due parole con Elisabetta II. Noleggiò un tight e un’auto con autista per la serata a Buckingham Palace alla presenza del Presidente Carlo Azeglio Ciampi. «Did you enjoy the evening, sir?», gli chiese la sovrana. «Se a 25 anni mi sentivo newyorchese, a 65 mi sento londinese fino al midollo». Ama Londra, la sua capacità di rinnovarsi, di guardare al futuro. Continua con le interviste, proprio come faceva da ragazzo. A J.K. Rowling, Julio Iglesias, Bruce Springsteen, Usain Bolt, Roger Waters, Renzo Piano, Ennio Morricone, Amal Clooney, Nicole Kidman, Stephen Hawking, Pelé. Una volta rivide anche Mikhail Gorbaciov che si ricordava di lui dai tempi di Mosca – l’intervista più importante della sua carriera.

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Amedeo Gasparini

Amedeo Gasparini, classe 1997, MA in Relazioni Internazionali, BSc in Comunicazione, giornalista freelance, gestisce “Blackstar”, www.amedeogasparini.com