Quando le Officine Meccaniche Reggiane costruivano aerei da caccia

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Fondate a Reggio Emilia nel 1901 con il nome Officina Meccanica e Fonderia Ing. Romano Righi e C., le Officine Meccaniche Reggiane sono state una grande azienda conosciuta per la produzione ferroviaria, di macchine alimentari e, sul finire degli anni Trenta, di aerei da caccia. L’unico ramo ancora attivo è quello dei dissalatori.

«Nel 1904 arriva una grande commessa alle Reggiane: la costruzione di carri da bestiame per il trasporto ferroviario. Poi nel 1907 sono nate le prime locomotive», ci racconta l’ingegnere Cristian Morlini, uno dei fondatori dell’associazione culturale BM2, dedita alla divulgazione della grande storia delle Reggiane attraverso il web e non solo. «Il destino ha voluto che il mio attuale ufficio nell’azienda in cui lavoro si trovi nel capannone 18, la cui inaugurazione è avvenuta nel 2018, chiamato caldareria, dove costruivano le caldaie dei treni», continua l’ingegnere.

Locomotiva FS R.402 costruita dalla Reggiane in esposizione presso il Museo nazionale della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci di Milano. Foto: Wikimedia Commons.

Fu proprio la prima guerra mondiale a favorire l’attività militare e il mondo aeronautico: «Nel 1914 le Reggiane espandevano la loro attività e venivano notate dalla Caproni, azienda che già operava nel settore aeronautico. Negli anni Trenta alle Reggiane c’erano trentaduemila dipendenti. Ancora oggi non riusciamo a spiegarci come una piccola città sia riuscita a ospitare la terza azienda meccanica a livello nazionale».

La grande crisi del 1920 non risparmia le Officine Meccaniche Reggiane: «Le attività belliche erano cessate e si cercavano altri settori. Le Reggiane si espansero a livello globale e divennero leader nella produzione di impianti per zuccherifici e pastifici. Addirittura ricevettero la più grande commessa a livello nazionale nel settore: lo zuccherificio di Haiti, tutt’ora attivo», continua a raccontare l’ingegner Morlini.

Negli anni successivi, sull’onda del conflitto e del riarmo voluto dal Regime, a Reggio Emilia venne brevettato nel 1936 il primo velivolo dell’azienda, il bombardiere bimotore Piaggio P.32bis: «Caproni aveva capito cosa stava per succedere e investì nel settore aeronautico. Qui a Reggio Emilia si iniziarono a costruire pezzi di ricambio e a fare i primi test top secret con l’aereo Re.2000 (e successivi), che fu progettato in collaborazione con Fidia Piattelli, ingegnere israeliano che sarà poi padre dell’aeronautica militare israeliana. Nel 1941 arriva poi il famoso prototipo Re.2003: le Reggiane progettavano, costruivano e testavano tutto in casa. Per un’azienda non è così scontato».

Immagine pubblicitaria di un Re.2000. Foto: Wikimedia Commons.

Dopo anni di ricerche, bevetti e velivoli nel cielo, nel 1942 nasce il primo motore completamente “targato” Reggiane, ma nell’autunno 1943 l’occupazione tedesca mise fine all’attività nel settore aeronautico. Addirittura, nel gennaio 1944 gli stabilimenti delle Officine Meccaniche Reggiane vengono rasi al suolo dai bombardamenti alleati.

Le Reggiane furono anche teatro di un triste caso di cronaca e di violenza: «Il 28 luglio 1943 è il giorno dell’Eccidio delle Reggiane. Furono uccisi nove operai, fra i quali una donna incinta. La legge impediva assembramenti di più di tre persone, per paura delle manifestazioni e dissenso alla guerra. Nonostante ciò, nella fabbrica si tenne una piccola manifestazione e l’epilogo è quello tristemente descritto prima».

Nel dopoguerra, dagli anni Sessanta, la produzione si concentrò su locomotive, treni e impianti per zuccherifici. Oggi la sede storica è abbandonata ed è in corso da parte del Comune di Reggio Emilia un processo di recupero dell’area.

«Il settore aeronautico delle Reggiane ha dato vita allo studio e allo sviluppo dell’ingegneria dei motori. Non è mai stato trattato approfonditamente questo aspetto, come associazione vorremmo farlo. Viviamo nella terra dei motori: Ferrari, Lamborghini, Dallara, Maserati, Ducati… il fondamento è tutto delle Reggiane!», conclude l’ingegner Morlini.

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Nello Sforacchi, dalle Officine al Giro d’Italia

Massimo Tassi, giornalista e ricercatore di archeologia bellica e industriale, ci racconta una storia che va dal lavoro in fabbrica allo sport professionistico: «La storia che vado a raccontare è stata raccolta grazie alla collaborazione dell’associazione Famiglie Lavoratori Officine Reggiane, ed è quella del tornitore Nello Sforacchi.

Classe 1922, era originario di una frazione nelle prime colline. Orfano di padre, per cercare lavoro si recò in città, e trovò occupazione nel settore aereo delle Officine Meccaniche Reggiane. Ben presto iniziò a lavorare ai progetti del Re.2000».

Un Re.2000 Catapultabile mentre decolla dalla catapulta posta sulla nave da battaglia Vittorio Veneto. Foto: Wikimedia Commons.

Il fratello aveva regalato a Nello una bicicletta Umberto Dei, il sogno di un’adolescente dell’epoca: «Soprattutto nella bella stagione, Nello si muoveva dalle colline alla fabbrica in bicicletta e si appassionò al ciclismo proprio in quei tempi di ciclismo avventuroso e di strade polverose. Inoltre in fabbrica c’era il gruppo sportivo dove il giovane conobbe altri ciclisti, dedicato all’aviatore Lodesani, scomparso durante il primo conflitto mondiale».

Arrivarono così le prime gare: «Intanto in fabbrica, Pietro Scapinelli, aviatore, collaudatore di aerei e grande appassionato di ciclismo, introdusse Nello nel mondo delle gare. Arrivò però la seconda guerra mondiale e il giovane Sforacchi venne chiamato alle armi. Al rientro continuò a gareggiare in vari gruppi, tra cui il Veloclub dedicato a Scapinelli, che nel frattempo aveva perso la vita in un volo di collaudo».

Quella che per lui era una passione, diventò un lavoro: «Arrivò a correre le stesse gare che vedevano in strada Coppi e Bartali. Il suo anno fu il 1950, quando corse il Giro d’Italia, rientrando più volte nella top ten. Lui era un corsaro del ciclismo, correva sempre all’attacco! Nello stesso anno partecipò ai mondiali di ciclocross, dove rientrò ancora nei primi dieci».

Nel frattempo, Nello Sforacchi si era trasferito in Francia, dove aveva messo su famiglia, ma continuò sempre a mantenere i rapporti con l’Italia e con Reggio Emilia. Prima di concludere la carriera venne apostrofato dai giornali come “la furia di Algeri”, parafrasando un romanzo di Salgari, poiché corse anche il Giro d’ Algeria, dove vinse alcune tappe.

Nello Sforacchi si spense nel 2016, ma il suo lavoro in fabbrica è stato recentemente ricordato dell’associazione Famiglie Lavoratori Officine Reggiane e dal gruppo sportivo Ciclisti Polverosi con un progetto molto particolare: «Gli è stata dedicata, nel centenario della sua nascita, una biciletta con il suo nome. Questa bici è stata portata sulle strade del Giro D’Italia d’Epoca».

Con questo aspetto lavorativo, sociale e sportivo Nello Sforacchi è tornato ad essere “il corsaro” sulle strade del Giro d’Italia: «La sua è una delle tante storie che la vecchia fabbrica riserva per chi le cerca e le sa ascoltare», conclude Massimo Tassi.

La testimonianza

Per questioni anagrafiche, avere le testimonianze dirette di chi ha lavorato durante la seconda guerra mondiale nelle Officine Meccaniche Reggiane è difficile. Siamo però riusciti a metterci in contatto con la signora Natalina Bassani, il cui padre, Nadir, classe 1913, per più di quarant’anni ha lavorato negli stabilimenti dell’azienda di Reggio Emilia.

«Mio padre ha cominciato a lavorare in quella fabbrica che aveva quattordici anni – ci dice la signora Natalina – ed è stato lì fino alla pensione. Non è mai stato licenziato, nemmeno dopo la riapertura della fabbrica post conflitto».

Nadir era un attrezzista e trasfertista: «Quando l’azienda comprava un nuovo macchinario, lui preparava tutti gli attrezzi necessari per svolgere il lavoro. Lavorava su aerei, treni e impianti idrici per le stalle. Inoltre, ha viaggiato tanto per lavoro: ricordo trasferte a Porto Marghera e in una vetreria in provincia di Chieti».

Natalina e la sua famiglia abitavano nel quartiere operaio, costruito proprio per ospitare le famiglie dei lavoratori, che è stato raggiunto dai bombardamenti alleati: «L’8 settembre le Reggiane sono state bombardate. Era ora di pranzo e mio padre era in casa: ha sentito la sirena, ha finito in fretta di mangiare ed è uscito. Appena in tempo, prima che gli crollasse la casa alle spalle.

Nadir Bassani. Foto per gentile concessione della figlia.

Io e mia mamma, intanto, eravamo sfollate nella campagna vicina. Per non finire sotto le bombe, molte persone scappavano dalla città, che era più soggetta ai bombardamenti rispetto alla campagna. Avevamo trovato una camera in casa del campanaro del paesino, Cacciola.

Papà non sempre riusciva a raggiungerci e restava a dormire in fabbrica. Se finiva presto, prendeva la sua bicicletta e faceva quasi quindici chilometri per tornare a casa. Se finiva tardi, restava alle Reggiane, dove c’erano alloggi per gli operai, che non potevano assolutamente uscire dopo il coprifuoco. A volte gli è stato anche offerto un passaggio a casa dai tedeschi stessi, ma non lo ha mai accettato! Faceva quello che poteva, insomma».

Dopo la guerra, la fabbrica continuò la produzione: «Durante la guerra la fabbrica contava circa quattordicimila lavoratori. Dopo il conflitto erano rimasti in cinque o seimila. La fabbrica, in quegli anni, era anche un luogo di aggregazione e cultura: di fronte alla portineria, c’era la biblioteca, un cinema, un piccolo teatro, addirittura una pista da pattinaggio su rotelle. Era il dopolavoro. E ci andavano anche i figli dei lavoratori. Mio papà era il bibliotecario delle Reggiane. Ricordo tanti pomeriggi con lui passati a leggere e riordinare i libri! Purtroppo, dopo la ristrutturazione, tutti i libri sono andati buttati via.

Si organizzavano poi anche gite per i lavoratori. Andavano via con i camion, adattati con delle panche per caricare tutti. E poi via, ché si andava in montagna o al mare!».

«Mio padre non ha fatto la guerra al fronte, ma l’ha vissuta a casa sua, con i tedeschi costantemente alle spalle», conclude la signora Natalina.

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Marco Capriglio

Nato nel 1996 a Scandiano (RE), terra di Lazzaro Spallanzani e dell'Orlando Innamorato, sono docente di sostegno nella scuola secondaria di secondo grado. Ex vicepresidente della casa editrice theWise APS che pubblica il mensile PRISMAG, mi divido tra il mondo della disabilità e quello della storia locale, soprattutto in ambito militare: ho l'onore di aver pubblicato, tra i vari, per il "Notiziario Storico dell'Arma dei Carabinieri". Nel tempo libero sono addetto stampa dell'Associazione Nazionale Carabinieri Sez. Scandiano e faccio parte del Comitato di redazione de "L'Alpino Modenese", periodico della Sezione Alpini di Modena. Ho una seconda identità di batterista punk rock. Sono un fermo sostenitore della Repubblica, delle sue Istituzioni democratiche e del dialogo fra i Popoli.