Sabalenka-Svitolina e la guerra in una stretta di mano
L’incontro è appena giunto al termine. Le tenniste si sono date battaglia in una cornice da sogno, gli spettatori paganti hanno esultato durante i loro scambi più concitati. Il campo è uno dei più prestigiosi al mondo, il Philippe-Chatrier di Parigi. Il torneo uno dei più blasonati. Si tratta infatti di uno dei tornei del Grande Slam, il Rolland Garros, con una storia ultracentenaria. Dopo l’ultimo colpo, è consuetudine per i tennisti avvicinarsi a rete per scambiarsi una stretta di mano e congratularsi con l’avversario per la battaglia sportiva appena trascorsa. Una rottura di questa consuetudine è molto rara, vista il più delle volte come una mancanza di spirito sportivo. Eppure, questa volta la situazione sembra essere diversa. Negli ultimi mesi, infatti, la mancata stretta di mano è un evento che è accaduto con una frequenza inusuale.
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La vicenda: una guerra nella guerra
Una delle due tenniste nello scenario in questione è la bielorussa Aryna Sabalenka, numero 2 della classifica WTA. La sua avversaria, dall’altra parte della rete, è l’ucraina Elina Svitolina, ex numero 4 della stessa classifica, ora scivolata nelle retrovie in seguito alla sua prima gravidanza. Al termine dell’incontro, la bielorussa si è avvicinata a rete, attendendo l’avversaria per complimentarsi per l’incontro da lei appena vinto con il punteggio di 6-4 6-4. L’ucraina, però, ha deciso di dirigersi direttamente verso la postazione dell’arbitro, per potergli stringere la mano. Per spiegare in maniera completa l’accaduto, è necessario svelare tutti i retroscena.
Della guerra in atto tra Russia e Ucraina non è necessario parlare nei dettagli. A seguito dell’invasione russa del febbraio 2022, i due Paesi sono entrati in un conflitto bellico che non sta risparmiando nessuno, dai militari ai civili. A seguito di ciò, il mondo dello sport, e del tennis in questo caso, ha reagito decidendo di prendere una posizione forte e chiara. Non può non essere citata la decisione presa dagli organizzatore del prestigioso torneo inglese di Wimbledon, che l’anno scorso hanno deciso di escludere dalla competizione tutti i tennisti e le tenniste russi e bielorussi. Per quanto riguarda quest’anno, invece, è stato deciso di ammettere questi ultimi come tennisti neutrali, a patto che non manifestino sostegno all’invasione ucraina e non ricevano finanziamenti dai loro Stati. Inoltre, i tennisti e le tenniste ucraine in più occasioni si sono rifiutati di stringere la mano ai colleghi originari del Paese invasore, o di Paesi a supporto dell’invasione, come nel caso dello Stato bielorusso.
Le polemiche: il tennis come fronte personale
Non è quindi una novità quanto accaduto sui campi della città francese. Quel che è probabile è che, vista la cornice e vista la fase finale e concitata del torneo, la notizia abbia avuto più risalto. Risalto dovuto anche alle affermazioni rilasciate in conferenza stampa da parte di Svitolina, che ha espresso chiaramente la sua intenzione riguardo la possibilità di una stretta di mano nel caso di un incontro con colleghe russe o bielorusse. Va anche notato che le due tenniste hanno da sempre avuto un atteggiamento agli antipodi rispetto alla guerra. Mentre la tennista ucraina, attraverso le dichiarazioni in conferenza stampa e i propri canali social, ha da sempre espresso la sua vicinanza al popolo ucraino considerando inoltre il tennis come «il suo fronte personale», Sabalenka ha sempre voluto evitare qualsiasi domanda riguardo alla guerra, disertando persino le ultime due conferenze stampa per paura di domande scomode da parte dei giornalisti ucraini. La tennista bielorussa ritiene infatti che lo sport poco abbia a che fare con quanto sta accadendo sul fronte ucraino. Nella conferenza stampa dopo il match, a cui si è presentata dopo le due assenze di sciopero sopracitate, Sabalenka ha affermato chiaramente di non supportare la guerra, aggiungendo però che è una tennista di venticinque anni e che se avesse voluto fare politica non si sarebbe trovata in quel posto.
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Le due posizioni hanno scatenato molte polemiche. Da una parte, il pubblico ha fischiato la decisione di Svitolina di non stringere la mano. La motivazione principale è che si vede in quella scelta uno strascico della guerra, che nell’inconscio dello spettatore si vorrebbe mantenere il più distante possibile. Molti, invece, hanno supportato la tennista ucraina, convinti che la guerra non si combatta soltanto con armi atte a offendere, ma anche con gesti politici come questo.
La questione è assai spinosa. Risulta molto complesso giudicare il comportamento dell’una e dell’altra. Hanno entrambe le loro ragioni e si trovano in una situazione particolare, nella quale poche persone possono immedesimarsi. La guerra, nel mondo di oggi, per le persone privilegiate che non hanno mai dovuto averci a che fare, sembra estremamente assurda e lontana, una dinamica difficilmente spiegabile.
L’analisi: chi ha ragione?
Eppure, alcune considerazioni è importante farle. In primis, decidere di non stringere la mano è a tutti gli effetti un atto politico. Essendo in questo caso giudicabile come una politica bellica, può essere visto a livello concettuale come un vero e proprio atto di guerra. In un’epoca nella quale si è sempre più portati a considerare i confini vetusti e superabili, discriminare una persona per il suo Paese d’origine sembra essere un passo indietro. Per quanto sia vero che la guerra non si fa con i fiori e con i gesti d’amore, decidere di non stringere la mano appare una scelta che va nella direzione opposta alla pace.
Seconda considerazione. Come da lei detto in conferenza stampa, Aryna Sabalenka di professione è tennista. Non militare, non politica, non giornalista. Tennista. E in quanto tennista, il suo ruolo è quello di giocare a tennis. Sono molti gli esempi di sportivi che hanno, attraverso i loro gesti, portato a cambiamenti importanti. L’istantanea dei guanti neri alzati dagli atleti a Messico 1968, come protesta per i diritti civili delle persone di colore, rappresenta una delle foto più famose del secolo scorso. Quel che è importante ricordare, però, è che questi gesti sono una possibilità, non un dovere. Nella società odierna appare sempre più importante schierarsi, prendere una posizione. Una posizione che, il più delle volte, si rivela essere uno stare contro qualcosa più che un sostegno per una causa vera e propria. Sabalenka ha espresso di non essere a favore del conflitto, al contempo però non se ne vuole occupare. E questa è una scelta che va rispettata. La decisione di Svitolina di trovare il simbolo di un’invasione in una tennista è in accordo con la sua dichiarazione di fare del tennis il suo personalissimo fronte. Il problema è che Sabalenka non ne vuole sapere di alcun fronte. Per lei il tennis è la sua passione e lavoro, basta. Nient’altro. Nessuno sceglie dove nascere. Sabalenka non ha scelto nulla se non di prendere una racchetta in mano e di diventare una delle più forti al mondo.
Sarebbe complesso, oltre che inutile, trovare posizioni giuste e sbagliate in questa storia. Quel che forse appare, però, è che il contesto nel quale Svitolina ha deciso di combattere la sua battaglia può non essere quello migliore per i suoi intenti di pace. Non stringendo la mano a una persona che di diverso rispetto a lei ha quasi unicamente il luogo di nascita con ogni probabilità non sposterà alcun equilibrio bellico. Anzi, aiuterà ad accrescere un clima di stigma tra persone comuni, che di questa guerra non ne vorrebbero nemmeno sentire parlare, figuriamoci sostenerla. Le strette di mano non faranno vincere nessuna guerra, però almeno aiuteranno a ricordare che siamo tutti simili, figli di nazioni diverse nati sotto lo stesso cielo. E se c’è un modo pacifico per combattere la bruttura della guerra, quello è forse far uscire la propria umanità.