La non-rivincita dei nerd
Negli ultimi anni, la figura del nerd è diventata oggetto di analisi che provano a decostruirne la figura. Per esempio questo articolo si chiede tra il serio e il faceto se la fine della stigmatizzazione dei nerd, con la popolarizzazione di questa subcultura, non sia in realtà stata più dannosa che d’aiuto (auspicando una implicita esclusività che non è ben chiaro a chi sia diretta). Addirittura, possiamo trovare un intero saggio (La guerra dei meme) che, nell’interrogarsi sull’indirizzo politico della cultura memetica, finisce per estendere la domanda a tutto il mondo nerd, di cui i meme sono diventati una parte integrante.
Sebbene queste analisi possano sembrare molto distanti tra loro, sono accomunate da un errore di fondo piuttosto grossolano: sbagliano il significato stesso della parola nerd. Nel primo caso, l’errore sembra il frutto di un’analisi ingenua che nota solo il cambiamento nella percezione dei nerd e non dello stereotipo stesso. Nel secondo, sembra invece esserci una volontaria cecità: nonostante Lolli, che scrive in italiano e per il pubblico italiano, esponga una serie di tesi valide e recenti di studiosi americani, sembra non rendersi conto che tali analisi non sono adatte al contesto italiano nonostante il prestito linguistico. Non è un caso che, quando prova a fare degli esempi italiani per corroborare la tesi secondo cui i nerd siano una subcultura di destra, si imbatta nell’ambiguità dell’esempio Caparezza, e in generale abbia difficoltà a trovarne altri che siano convincenti.
A loro difesa, va detto che quello di nerd è effettivamente un termine ambiguo e fare ricorso ai dizionari non aiuta, in quanto la voce non appare in quelli online italiani. La voce italiana di Wikipedia ci viene in soccorso, definendo nerd come:
un termine della lingua inglese americana con cui viene definito chi ha una certa predisposizione per la tecnologia e le attività che richiedono un certo impegno ed è al contempo tendenzialmente solitario e con una ridotta propensione alla socializzazione.
Nemmeno i dizionari di lingua inglese ci sono particolarmente d’aiuto, perché negli ultimi anni hanno cominciato a includere altre definizioni o ad aggiornare le precedenti, portando a un discostamento rispetto all’idea che molti hanno di nerd. Se provassimo a intervistare un campione casuale di persone, troveremmo concezioni piuttosto disparate di questa figura. Occorre quindi fare un po’ di chiarezza.
Il termine nasce negli anni Cinquanta del secolo scorso per indicare gli esperti di materie tecnico-scientifiche, in particolare quelli con una predilezione verso le nuove tecnologie, pressoché gli unici a riuscire a padroneggiarle. È solo negli anni Ottanta che il termine diventa popolare e assume un tono dispregiativo, con la nascita e la diffusione dello stereotipo, soprattutto nel cinema.
Il nerd stereotipato diventa solo in questo momento socialmente impacciato e ossessivo, talvolta contrapposto ai più carismatici protagonisti, oppure un anti-eroe ingiustamente bistrattato. A seconda del punto di vista della narrazione, il nerd merita il bullismo oppure ne è vittima fino agli eventi della storia che ne costituiscono un riscatto.
Inoltre, il lato tecnologico si restringe all’informatica e la sua ossessione si unisce ad altri tratti sgradevoli, a volte associati a tutto il mondo informatico. Basta pensare a come la figura dell’hacker fino a non molti anni fa fosse quella di una sorta di genio fuori dal mondo che esprime la sua unica utilità nella figura di deus ex machina, impossibilitato a ricoprire qualunque altro ruolo che richieda interazioni con umani che non siano il protagonista, unico a riconoscerne le virtù.
Una teoria femminista vede proprio in questo periodo l’origine dello stereotipo di genere che relega l’Informatica a materia prettamente maschile; stereotipo duro a morire. Nonostante il mutamento nel significato della parola nerd, le conseguenze sembrano essere ancora visibili.
A parte qualche caso ambiguo, principalmente etichettato come geniale strambo, il nerd nella cultura popolare non è solamente impacciato: spesso è anche poco empatico se non del tutto sgradevole, con poca cura della propria persona.
Il risultato è che la figura del nerd va spesso a sovrapporsi a quella del loser, parola spesso adattata nel cinema e in TV nostrani come “sfigato” oppure “perdente”. Questo concetto, palesemente pregno della cultura americana e del suo substrato protestante, riesce in qualche modo a permeare la cultura di tutto l’Occidente, anche quello tradizionalmente cattolico.
Le varie comunità nerd hanno quindi ambivalentemente cercato da un lato di rivendicare con orgoglio quella che era nel frattempo diventata una sottocultura; dall’altro, hanno coniato termini come geek, che cercano di imporsi come un sinonimo neutro per autodescriversi. Anche i membri della nascente comunità di videogiocatori hanno preso a chiamarsi gamers proprio per prendere le distanze ed evitare lo stigma: perché noi la tecnologia la usiamo per divertirci, mica siamo degli smanettoni!
La genesi di questo orgoglio non è banale da tracciare e non è neanche stata particolarmente indagata dal punto di vista storico nella letteratura scientifica, ma si possono fare delle ragionevoli congetture. Sicuramente a unire i nerd sono stati i fenomeni di omofilia, ben raccontati nella quarta stagione di Stranger Things, in cui un po’ tutti gli emarginati finivano per riunirsi tra di loro, influenzandosi e creando così un substrato culturale unico. Lo status di reietto permetteva ai nerd di dedicarsi a passioni meno modaiole e talvolta vicine a quelle che li definivano come nerd: dalla fantascienza agli scacchi, dai videogiochi ai fumetti, dove questi ultimi non venivano abbandonati durante lo sviluppo, senza stimoli sociali che imponessero loro di farlo a meno di non volersi forzare tra la gente fica.
Va notato che fino a questo punto, per la maggior parte, i nerd sono dipinti come persone colte se non proprio secchione: per cui, appassionarsi anche a forme letterarie meno scientifiche come il fantasy non sembra così assurdo, e da qui altre passioni di nicchia come il gioco di ruolo o i giochi da tavolo spesso basati proprio su questa letteratura.
È sempre a questa cultura che si può ascrivere la formazione di una consapevolezza sull’esistenza di quella che poi è diventata una vera e propria nerd-cultura, che non aveva nulla da dimostrare a forme di cultura più “alta”. Infatti, questa cultura comprendeva non solo arti minori (che nel frattempo venivano rivalutate positivamente) ma anche autori importanti come Tolkien, Asimov o Lovecraft.
Per circa trent’anni le cose restano più o meno stabili, con lo stereotipo del nerd pressoché invariato, fino a quando, a cavallo tra gli anni Duemila e gli anni Dieci, la figura del nerd inizia in modo relativamente rapido a riabilitarsi. Un esempio si ha nello spot di quel periodo di noto gelato.
Nello spot, in linea con lo stile di altri del brand, un capovolgimento comico vede due gruppi di persone che sembrano sfidarsi e invece finiscono per partecipare a una festa che aggrega tutti, ovviamente facilitata dal prodotto. Contrapposti, ci sono un gruppo di nerd e uno di ragazzi convenzionalmente fichi secondo l’estetica di quel periodo.
Più in generale, in quel periodo l’estetica del nerd inizia a mischiarsi con il mainstream, ma anche con la controcultura: da un lato gruppi come gli LMFAO o addirittura Skrillex, dall’altro la il mondo hipster.
A cosa attribuire questo cambiamento? I media non bastano a restituire lo zeitgeist di quel periodo e bisogna tirare in ballo fattori economici. Internet era (e lo sarebbe stato ancora per poco) un virtuale Far West che aveva arricchito principalmente dei nerd: Steve Jobs, Bill Gates, Mark Zuckerberg, e successivamente anche Zeff Bezos ed Elon Musk erano diventati da sfigati a uomini ricchi e potenti. Pregni di ideologia californiana, gli smanettoni e i programmatori erano tutti potenziali geni fondatori della prossima startup unicorno, nel massimo entusiasmo verso un modello economico che stava iniziando a mostrare tutti i suoi limiti. La serie TV Silicon Valley racconta molto bene questa specie di isteria collettiva del mondo tech, i suoi controsensi e la sua degenerazione.
Il passaggio è stato rapido per certi versi, ma graduale sotto altri. Un caso importante che simboleggia questo mutamento dello stereotipo è la serie The Big Bang Theory: non è ben chiaro quanto sia causa e quanto conseguenza della formazione di una nuova identità nerd. La serie è solo il culmine di una crescita del tropo in cui il nerd, in qualche modo, è quello che ottiene la sua rivincita nel lungo termine, cosa che aveva convinto una generazione di giovanissimi che un nuovo modello di fico era possibile.
Non è tutto oro quel che luccica: The Big Bang Theory ha negli anni raccolto numerose critiche e in generale ha lasciato un’eredità piuttosto controversa, non solo per la sua mediocrità in quanto a sit com. La serie, per quanto si venda come inclusiva proprio nelle sue premesse, fallisce clamorosamente nel rappresentare in modo sensibile tutta una serie di categorie, dagli asessuali alle persone neurodivergenti, ridicolizzate con velato sarcasmo. Ma il fallimento più clamoroso è proprio legato agli stessi protagonisti: lo spettatore, che dovrebbe immedesimarsi ed empatizzare con questi, finisce il più delle volte a ridere non con loro, ma di loro. Questi, pure diventando delle persone di relativo successo, non vengono mai percepiti come tali, ma sono ridicolizzati anche nei momenti di gloria.
Se si esclude il personaggio di Howard, nessuno di loro ha un’evoluzione che comporti un’effettiva maturazione in una narrazione che dura più di dieci anni. I protagonisti rimangono dei bambinoni arroganti che incamerano tutti i difetti dello stereotipo del nerd, anche se dipinti come dei bonaccioni, e non arrivano mai a riconoscere la disfunzionalità di tutta una serie di comportamenti. Anche se riescono effettivamente a formare delle relazioni con delle donne, non ottengono mai la vera e propria rivincita promessa dal mondo di Hollywood.
A queste critiche se ne aggiungono anche molteplici per la misoginia, che convincerebbero anche una persona che non si dichiara femminista. Gli anni Dieci sono stati anche gli anni del gamergate, e in generale di un nuovo approccio intersezionale alle tematiche sociali che si è a volte rivolto contro il mondo nerd. Infatti, seppur lo stereotipo fosse stato più o meno riabilitato, essere nerd rimaneva una cosa da maschi benestanti.
Considerando la portata dello show e l’età media, è innegabile che l’impatto della serie abbia in qualche modo reso incompleto il mutamento dello stereotipo del nerd.
C’è un’ulteriore fenomeno, ancora più sfumato: in questi anni emerge una consapevolezza del fatto che tutta una serie di passioni, fino a quel momento associate al mondo geek, una volta de-stigmatizzate possqno essere celebrate e pertanto diventare di massa. La popolarità del cinecomic come genere, la normalizzazione dei videogiochi per il pubblico adulto e l’enorme crescita di mercati come quello dei fumetti e dei giochi da tavolo ne sono una testimonianza.
Dunque, i nerd possono diventare milionari; ma se si toglie la componente da smanettone, cosa resta ai geek da vantare nel riappropriarsi di una nerd-cultura, se non il consumo dei media da geek?
È qui che si completa la transizione del concetto di nerd: in The Big Bang Theory, nell’andare avanti con le stagioni, si passa da dei protagonisti che sono nerd in quanto scienziati e ingegneri a nerd che accade siano anche accademici del settore STEM. L’esempio più forte della compiutezza di questa trasformazione la troviamo in Stranger Things: i protagonisti sono nerd, questa volta nell’accezione più recente. Tuttavia, a parte per il ruolo piuttosto importante attribuito alla radio che ci permette di immedesimarci a dei personaggi che non conoscono gli smartphone, la tecnologia non appare mai se non nei laboratori sovietici.
In sostanza, se fino a pochi anni fa esisteva un concetto di nerd e chi ci si identificava, spesso condivideva tutta una serie di passioni legate al consumo di prodotti cultirali, oggi per molti il nerd è caratterizzato solo dal consumo di questi prodotti ignorando tutto ciò che non fa parte del mainstream.
Se per il caso italiano il discorso si ferma qui, per la lingua inglese va citato un ulteriore uso della parola, ancora più recente, che non va a sostituire quello vecchio ma assume un nuovo significato, più neutrale. La parola nerd, da qualche anno, viene anche utilizzata per indicare una persona ossessionata da un argomento specifico, diventando un sinonimo inglese dalla parola giapponese otaku, che invece veniva usata fuori dal paese del sol levante dagli appassionati dei prodotti culturali nipponici e che volevano distanziarsi dall’etichetta di nerd non riuscendo a identificarsi in quella di geek. Un ottimo esempio è il commentatore musicale Anthony Fantano, che si introduce in ogni video come «the Internet’s busiest music nerd».
Da qui il fermento che la parola ha assunto negli Stati Uniti, che risulta diverso da quello italiano. Sempre in risposta a Lolli, andrebbe sottolineato che mentre la nerd cultura a partire da Tolkien e parte della cultura Internet siano notoriamente apprezzate e orientate a destra, altrove si potrebbe dire il contrario. Infatti, i nerd in Italia sono sempre stati accomunati ad altri emarginati che hanno fatto fronte comune e cercato inclusività, da prima che fossero gli americani a renderlo un atteggiamento controculturale e allo stesso tempo di tendenza.
Il fatto che i portavoce famosi di questo mondo siano personaggi come Immanuel Casto o lo stesso Caparezza dovrebbero renderlo piuttosto lampante. Tra gli ospiti di qualsiasi fiera nerd, ci sono sempre personaggi notoriamente orientati a sinistra. Al contrario, nella destra, specialmente quella estrema, resiste ancora oggi un antiquato ideale di maschio incompatibile con il mondo nerd: fisicamente forte, culturalmente comparabile a un batterio e lontano da qualunque piacere edonistico della cultura di massa. Certo, a noi italiani piace copiare gli americani, e questo significa che gli emulatori dei nerd di oltreoceano e le tesi di Lolli potrebbero avverarsi in un futuro non troppo lontano.
All’articolo citato all’inizio, che si chiede se la riabilitazione dei geek non sia stata più un danno che altro, si risponde che anche tralasciando una visione elitista e anti-poser non è la riabilitazione della figura il problema, quanto il fatto che a essere nobilitata è una figura diversa da quella in cui l’autore si identifica.
Che siano nerd, geek, o in qualunque altra maniera li si voglia chiamare, si fa in realtà riferimento a stereotipi diversi che si portano dietro quasi ottant’anni di storia e hanno una serie di significati e retroscena culturali che convivono tutti insieme. Destreggiarsi in questa complessità non è banale, ma è alla fine dei conti l’unica cosa che possiamo fare.