Mission impossible: fare le foto con gli artisti ai concerti
Chi non sogna una foto con il proprio artista musicale preferito? Risposta semplice: tutti vorrebbero quella foto! In Emilia Romagna c’è un ragazzo che ha avverato il suo sogno, anzi, tutti i suoi sogni.
Enrico Tallarini, ex critico musicale, ora docente di sostegno di giorno e fotografo scatenato di notte, ha realizzato centinaia di selfie con i suoi idoli musicali. La sua collezione, tra quelle pubblicate e quelle “private”, vanta più di tremila foto con band, musicisti e cantanti, realizzata in giro per Italia e per l’Europa.
Oggi theWise Magazine ha incontrato Enrico per farsi svelare qualche suo utile trucchetto.
Da dove nasce la tua passione per queste foto?
«Dalla passione per la musica. Sono venticinque anni che non faccio altro che andare a concerti in giro per l’Italia e per l’Europa. All’inizio vivevo i concerti in maniera “normale”, poi è scattato qualcosa. Ho avvertito l’esigenza di rendere più personale l’esperienza del live, portandomi a casa un ricordo che fosse solo mio.
Stringere la mano e vedere la mia faccia accanto a quella di artisti che mi hanno letteralmente stravolto la vita continua a essere una delle cose che mi fanno stare meglio al mondo. Per un terzo è un’ossessione, per un terzo è collezionismo e per un terzo è un modo per esprimere la mia gratitudine. Credo sia una roba del genere [sorride, ndr]».
Come funziona la tua routine fotografica?
«A volte prendo e parto, a volte “studio” la data giorni o settimane prima. Dipende dal tipo di evento o concerto e dal livello di popolarità dell’artista. Le sole cose che non cambiano mai sono la mia macchina fotografica (non scatto mai foto con il cellulare) e tanta, tanta pazienza. Anche se ormai mi oriento bene tra gli spazi e i tempi del mondo della musica live.
So che per molti è una faccenda piuttosto futile e incomprensibile, ma in questo “sport” di caccia all’artista sono un maestro. Ho un talento innato e naturale».
Hai mai ricevuto un no? E confessacelo… hai mai rischiato la pelle per una foto?
«La pelle onestamente no, anche perché mi sento più uno stratega che un tipo irruento. Penso che con calma, pazienza, educazione e rispetto si possano ottenere risultati migliori.
I “no” invece in questi anni sono stati diversi, ma devo dire non troppi. Parlo di artisti notoriamente inavvicinabili e non proprio simpaticissimi come Morrissey degli Smiths, o Billy Corgan degli Smashing Pumpkins, oppure Robert Smith dei Cure o Thom Yorke dei Radiohead».
Come ti senti dopo aver ottenuto il tuo cimelio?
«Da Dio. Mi assale una botta di adrenalina che cancella immediatamente fatica, sforzi e si porta dietro una scia di soddisfazione che dura per giorni. Mi rendo conto che è una faccenda che per molti è difficile da comprendere, ma dopo tutti questi anni ci ho fatto la pace. È una cosa che mi fa stare bene, e amen… “a culo tutto il resto”, tanto per tirare in ballo il buon Guccini».
Hai qualche aneddoto simpatico da condividere con noi?
«Ne ho un miliardo e li tengo per un colossale libro di memorie che prima o poi scriverò [ride, ndr]. Ti posso raccontare di quella volta che ho pranzato con Patti Smith o di quando ho aiutato David Byrne dei Talking Heads a ritrovare il lucchetto della sua bici. Ricordo poi una coppetta gelato in compagnia di Elvis Costello e una nottata ad alto tasso alcolico con Nick Cave e tutti i suoi Bad Seeds. Direi che non mi posso lamentare [sorride, ndr]».
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Qual è il tuo grande segreto?
«Dovrei risponderti che bisogna conoscere le dinamiche del mondo della musica, dell’organizzazione dei live e avere tanta pazienza. Tutte cose indispensabili, ma la verità è che sono un talento naturale [ride, ndr]».
C’é qualcuno che desideri fotografare?
«Sì, l’Inarrivabile: Bob Dylan! Poi Neil Young, Bruce Springsteen e altre centinaia. Ma prima o poi li troverò tutti».
Qual è il futuro della musica dal vivo, secondo te?
«Non la vedo bene. A parte i soliti fenomeni stagionali di tendenza e gonfi di hype, continuo ad assistere a concerti di artisti internazionali incredibili dove siamo sì e no qualche decina di persone, di solito neanche più giovanissime.
I live club chiudono o sopravvivono a fatica, molti artisti stranieri non includono l’Italia nei loro tour o comunque da noi fanno numeri irrilevanti rispetto a quelli che fanno in altre nazioni del mondo.
La musica live in Italia è un corpo in agonia. Cerco di non pensarci, altrimenti sto male. Tutti suonano e nessuno va ai concerti degli altri. Ecco, credo che a mancare sia proprio questo: il pubblico. Ed è proprio questo che faccio e che continuerò a fare».