No al suicidio occidentale: è sbagliato processare la nostra storia
In Suicidio occidentale (Mondadori, 2022) Federico Rampini spiega che è sbagliato processare la Storia e cancellare i valori dell’Occidente secondo le tendenze del momento che mischiano nuovo puritanesimo e caccia alle streghe, antirazzismo e ambientalismo. Il declino occidentale angoscia l’autore perché avviene nel solco di una autodistruzione dell’Occidente stesso. «L’ideologia dominante, quella che le élite diffondono nelle università, nei media, nella cultura di massa e nello spettacolo, ci impone di demolire ogni autostima, colpevolizzarci, flagellarci» spiega Rampini. Secondo queste tesi l’Occidente non ha più nulla da proporre al mondo e alle nuove generazioni, ma solo crimini da espiare. È questa la definizione di suicidio occidentale. «I nemici dell’Occidente sanno che ci sabotiamo da soli, rinunciando alle nostre certezze, cancellando la fiducia in noi stessi». Negli Stati Uniti eccessi di politically correct sono all’ordine del giorno. In molte scuole americane ai bianchi viene insegnato che sono portatori di razzismo.
Nei campus c’è una censura preoccupante: non solo delle idee conservatrici, ma anche centriste. L’America è stanca di avventure imperiali ed è stremata da troppe guerre. L’Europa è senza guida e certezze. Il capitalismo finanziario e Big Tech sono oggi sul banco degli imputati rispetto a chi promuove un nuovo mosaico etnico. Inoltre, a differenza di quanto avveniva in passato, oggi gli estremisti «non hanno bisogno di conquistare un consenso sincero e di massa; hanno imparato a corteggiare l’establishment, a fare incetta di cattedre universitarie». Sul tavolo degli imputati c’è l’abominevole uomo bianco, come lo chiama Rampini. Il grande perpetratore di oppressione e sfruttamento. Il criminale schiavista colpevole di tutti i mali della Storia: l’uomo bianco è autore di tutti i genocidi della Storia e ha distrutto civiltà buone e pacifiche. Oggi il Columbus Day è rimpiazzato dall’Indigenous People’s Day.
Molti intellettuali sostengono che l’America menta spudoratamente sul genocidio che, secondo taluni, sarebbe il vero fondamento della nazione. E che, va da sé, è collegato alle odierne richieste di risarcimenti per presunti danni del passato. Il tutto è finalizzato alla grande espiazione dell’uomo bianco. Ex comunista, Rampini rimprovera ai progressisti di usare e strumentalizzare stereotipi veteromarxisti. Proposte populiste come quella di Alexandria Ocasio-Cortez di abolire la polizia di frontiera e «defund the police» avvengono sulla scorta di un odioso ideologismo. Per la deputata dem è abuso di autorità anche dare la caccia alle bande che delinquono tra Stati Uniti e Messico. In seno a una certa sinistra americana sussiste la tremenda illusione secondo cui in un Paese dove i bianchi saranno minoranza, tutte le altre etnie si coalizzeranno per far vincere il Partito Democratico alle elezioni.
Ciò «ha esasperato la paranoia della destra, ha disseminato paure e sospetti, ha creato una sindrome da accerchiamento e da stato d’assedio in certi ambienti bianchi». Continua Rampini: «Oggi negli Stati Uniti avere la pelle bianca sta diventando un handicap». Una certa retorica della sinistra impone che l’uomo bianco ha colpe storiche in quanto bianco. Deve dunque pagare debiti e risarcimenti, genuflettersi e scusarsi. Particolarmente nociva per il dibattito sociopolitico americano oggi è la nuova egemonia dell’università che sforna giovani di una sinistra illiberale, poi in pole position per assumere ruoli di leadership in tv o giornali. Molte scuole sono diventate laboratori della sinistra illiberale. Il credo è questo: «Poiché gli Stati Uniti dalla loro fondazione sono una società intrinsecamente sessista, razzista, oggi non si può perseguire una parità dei diritti, perché sarebbe fasulla; bisogna invece ridurre i diritti dell’America privilegiata e oppressiva (i bianchi) per riparare le ingiustizie».
Va da sé che così «si instaura una piramide di caste rovesciata, in cui gli ex ultimi devono essere sistematicamente i primi. Il vittimismo diventa il criterio ispiratore della vita sociale. Chiunque dissente è una minaccia per i diritti degli oppressi, va zittito, neutralizzato». Questo pensiero illiberale uccide la creatività e soffoca l’inventiva della società libera. Crea un clima di terrore e caccia alle streghe. Il dominio della cancel culture è l’ingrediente principe di un nuovo pensiero apparentemente progressista, che tuttavia «cancella i disobbedienti privandoli del diritto di parola, denuncia pubblicamente persone accusate di avere offeso qualche valore sacro del politically correct e lancia campagna di boicottaggio contro i reprobi». Una sottile forma di dittatura, la definisce Rampini. Le epurazioni avanzano nei campus e nei media. E le purghe sono tutt’altro che indolori. Molti hanno perso posto di lavoro, reputazione e amici a causa del politically correct.
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Un maccartismo alla rovescia, guidato dalla sinistra radicale che si basa su forme estreme di ecologismo, femminismo e antirazzismo. A prendere piede negli atei americani è oggi la Critical Race Theory. Che vuole purgare l’intera società statunitense e purificarla dal peccato originario dello schiavismo. Questo puritanesimo intransigente, antidemocratico, intollerante e punitivo ed è stato denunciato da Anne Applebaum (The Atlantic, 31 agosto 2021) come un nuovo totalitarismo culturale. La terra delle opportunità si è forse trasformata in un villaggio dell’Inghilterra puritana del XVII secolo, con rogo e caccia alle streghe? In America, scrive Applebaum, «ci sono persone che hanno perso tutto – lavoro, amici, colleghi – senza aver violato alcuna legge, talvolta senza neppure aver violato qualche norma aziendale». Costoro «hanno infranto (o sono accusati di aver infranto) dei codici sociali che riguardano razza, sesso, comportamento personale o perfino l’umorismo accettabile». In questo senso è saltato lo Stato di diritto, sostiene Applebaum.
Oggi non sembra essere di moda la presunzione di innocenza o la libertà di espressione. La canea mediatica schierata con i radicali impone «l’equivalente di una lettera scarlatta perpetua su persone accusate di cose che non assomigliano neppure lontanamente a reati». La rivoluzione intransigente del politically correct investe gli atenei. Si sommi poi che «la burocrazia universitaria è cresciuta numericamente assai più del corpo docente e di quello studentesco; ed è ancora più egemonizzata dalla sinistra illiberale», riprende Rampini. Il rapporto sinistra-destra alla University of California, ad esempio, è 12 ad 1. «La sinistra illiberale domina una burocrazia anonima e potentissima, la “polizia universitaria” dà la caccia ai colpevoli di razzismo, sessismo, discriminazioni etniche o di genere». Oggi «non esistono leggi scritte contro cui si possa tentare un ricorso; non ci sono tribunali d’appello, la mancanza di prove non è mai sufficiente per discolpare l’accusata o l’accusato. La burocrazia trionfa».
La cancel culture «opera al di fuori delle regole dello Stato di diritto». Vive Ramaswamy ha parlato di “Woke Inc.”. Il nesso con i miliardari della Silicon Vallley è evidente. Costoro hanno abbracciato in toto per conformismo e opportunismo tutte le cause della sinistra illiberale. Di fronte a tale scenario è politicamente fruttuoso per le destre puntare il dito verso questi eccessi. Negli Stati del Sud, dove i repubblicani si sentono in trincea, molti si attrezzano per resistere all’assedio di campagne illiberali con altrettante campagne illiberali. In alcune scuole di questi Stati sono state implementate liste nere di libri proibiti dell’antirazzismo. Rampini non dedica molte pagine alla destra e spiega semplicemente che il riflusso neo-puritano è speculare. Occorrerebbe dunque a destra proteggere dai cattivi esempi democratici le giovani generazioni. Questo ha come effetto una vera e propria guerra culturale.
«Il concetto per cui gli individui crescono grazie al confronto tra idee diverse, perfino opposte e conflittuali, è scomparso». Un grave danno per la creatività dei giovani sempre stato uno degli elementi più attraenti degli Stati Uniti. «Il neo puritanesimo ha una miriade di sacerdoti, spesso giovanissimi e ignoranti di tutto, ma sofisticati manipolatori del linguaggio virale dei social». Nel 1987 Allan Bloom (The Closing of the American Mind) aveva avvertito che la chiusura della mente americana sia a destra che a sinistra stava diventando qualcosa di deleterio e simile a una sorta di guerra tribale. Oggi i vari Platone, Aristotele, William Shakespeare sono sostituiti da autori gay e appartenenti a minoranze. E in pochi si rendono conto del fatto che questo non fa che alimentare un radicalismo di senso opposto. Rampini snocciola alcuni esempi che più che gravi appaiono ridicoli, ma anche preoccupanti.
«In un colloquio per l’assunzione, è molto più utile a presentarsi come appartenente a una minoranza oppressa che usare una sintassi corretta». Non solo: «L’adesione fanatica alla woke culture diventa il codice identitario di una generazione, un’arma per farsi strada nel mondo adulto, cacciando i personaggi scomodi». Il “1619 Project” di Nikole Hannah-Jones fa da impalcatura ideologica nell’ambito della messa sotto processo di idee, valori e storie diverse rispetto al nuovo collettivismo. Il progetto «rilegge l’intera storia americana come una derivazione dello schiavismo che condizionerebbe tuttora ogni istituzione». Oggi le frange radicali di Black Lives Matter hanno imposto in diverse città lo slogan del “defund the police”, come se togliree i fondi della polizia fosse una soluzione a problemi radicati nella società. Minneapolis, dove è stato ucciso George Floyd, ha subito un aumento del venticinque per cento di omicidi, stupri, aggressioni e rapine come conseguenza di questa politica.
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Anche in Oregon, a Portland, un centro cittadino si è autoproclamato libero dalla polizia. Una “no men’s land” gestita da anarchici e Antifa, in cui le forze dell’ordine non possono mettere piede – il 2020 è stato dunque segnato dal trenta per cento di aumenti di omicidi. La violenza è cresciuta parecchio in molte città americane, tra cui Baltimora, Austin, Tucson, Louisville, Indianapolis. Le accademie di polizia hanno vuoti incolmabili e hanno subito dimissioni di massa. Nelle nuove ideologie politically correct e di sinistra illiberale e radicale prevede che il criminale non è il colpevole. Il colpevole è da trovare nella società ingiusta e cattiva. A fare da grancassa queste posizioni ci sono la stragrande maggioranza dei media. The New York Times si è trasformato in un organo che si autocensura. A farne le spese è anche il buon giornalismo americano che in passato ha fatto scuola in tutto il mondo.
Oggi la ricerca di equilibrio è considerata una debolezza, considera Rampini. La caccia alle streghe sui media, nelle scuole, negli spazi pubblici ha alienato una gran parte dei moderati che oggi votano a destra e strizzano l’occhio agli ambienti ultraconservatori agevolati dalle narrazioni dell’estrema sinistra. Nel frattempo, la Beyoncé del giornalismo, come è stata soprannominata Jones, ha ottenuto una cattedra alla Howard University; da qui non si curerà del fatto che parecchi elementi del suo “1619 Project” rappresentano palesi forzature. L’importante è portare avanti la propria crociata e il processo all’uomo bianco come male assoluto. Eppure, in questo contesto, «la sinistra grida alla censura, la destra denuncia l’indottrinamento il lavaggio del cervello, CRT è utilizzata dalle frange della sinistra estrema e del Black Power, esaminando istituzioni leggi e rapporti sociali e tra culture sotto una esclusiva angolatura di razzismo». Sembra di essere tornati indietro agli anni Sessanta.
«La campagna d’indottrinamento sulla CRT rappresenta la rivincita di quelle frange estremiste – i musulmani di Malcolm X […] – che osteggiarono il movimento non violento di Martin Luther King. Proprio come gli ex sessantottini dei gruppuscoli extraparlamentari europei che flirtavano con il terrorismo rosso, anche gli ultrà dell’antirazzismo non hanno mai conquistato un consenso di massa, ma in compenso hanno saputo coltivare le élite. […] Il loro bottino di cattedre universitarie è ragguardevole, così come la loro influenza a Hollywood e nelle redazioni dei media». Collegato a queste tematiche, anche un nuovo paganesimo ambientale che vede la minaccia l’ambiente come una nuova. «Non voglio che abbiate speranza, voglio che proviate panico», ha tuonato Greta Thunberg al World Economic Forum di Davos 2019. Spalleggiata dall’esibizionismo patologico di Ocasio-Cortez, l’attivista ha contribuito a un vero e proprio allarmismo scandito da toni apocalittici nei confronti del riscaldamento globale.
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Ancora una volta il grande colpevole è l’Occidente. Rampini si affida agli studi di Steven Koonin, sottosegretario la ricerca scientifica dell’amministrazione di Barack Obama. «Non esiste un legame preciso tra il cambiamento climatico e gli uragani o le siccità». Quanto agli incendi, questi vengono regolarmente attribuiti al cambiamento climatico, ma è un falso secondo Rampini. «La California brucia perché gli incendi vengono appiccati da tralicci elettrici insicuri, che non hanno nulla a che vedere con il cambiamento climatico». Oggi «la produttività agricola della pianeta continua a migliorare, nonostante l’aumento medio delle temperature. Con le tecniche agricole attuali, oggi saremo in grado di sfamare dieci miliardi di persone, cioè più della popolazione terrestre». A preoccupare anche l’approccio oscurantista, irrazionale e dogmatico. «Da una parte c’è una destra che promuove l’ignoranza e il pregiudizio antiscientifico […], ma alla destra oscurantista si contrappone un ultra ambientalismo altrettanto ideologico, settario, fazioso».
Rampini individua una cura per il cambiamento climatico: crescere, svilupparsi e arricchirsi. Le sinistre radicali demonizzano la ricchezza e mostrano ostilità allo sviluppo, idealizzando le società pre-capitaliste. Eolico e solare sono buona cosa, ma non sufficienti. Lo sa la Germania, che ha dovuto riaprire alcune centrali a carbone. In un’epoca di politically correct, non si parli della alternativa nucleare. Il nucleare è il modo più sicuro per garantire emissioni zero e tanta energia, ma le paure emotive travolgono il dibattito sul tema. Il bilancio delle vittime del nucleare è molto inferiore rispetto a quello delle miniere di carbone. Rampini parla anche di una componente religiosa importante che ha effetto nel dibattito ambientale. Secondo la nuova religione ambientalista il benessere materiale è frutto del peccato supremo dell’umanità. Nel frattempo, la Cina guarda con interesse il suicidio occidentale.
E sebbene Xi Jinping faccia belle promesse in sede internazionale a favore della zero emissioni, nella sua Cina vieta proteste per il clima. Oggi le missioni cinesi sfiorano il trenta per cento, ma a finire sotto processo è sempre l’America. L’America bianca. Religiosa. Cattiva. Imperialista. Fascista. Razzista. Omofoba. L’Occidente procede brancolando nel buio degli opposti oscurantismi. Da aggiungersi, una burocrazia soffocante che affligge gli Stati Uniti. Lo Stato avrebbe perso la capacità di fare. «Più il burocrate e scadente più invasivo prepotente ai limiti dei comportamenti sociopatici». Rampini dipinge uno scenario poco edificante degli Stati Uniti come un Paese bloccato nella burocrazia inefficiente e nelle vecchie infrastrutture. Normative sempre più complesse e astruse sono il trionfo della degenerazione burocratica. E alimentano l’industria del parassitismo legale che distrugge la vita del vivere civile. Il collasso delle infrastrutture americane e l’ingorgo burocratico rendono l’America meno competitiva.
E sì che il sodalizio tra Stato e capitalismo ha funzionato abbastanza bene in passato. Rampini ricorda gli anni Cinquanta quando in America venivano lanciate delle grandi autostrade. L’alleanza andò avanti fino agli anni Sessanta. Gli americani furono colpiti dal sorpasso dello shock Sputnik. Tuttavia, poi furono i primi a tagliare il traguardo dell’allunaggio. «L’America, benché appesantita da una burocrazia sempre meno competitiva, resta una terra favorevole al capitalismo, all’iniziativa privata e all’innovazione. Questo potrebbe rilanciare la fortuna dell’Occidente». L’Occidente deve guardare in maniera critica alla sua storia, ma non rinunciare ai propri valori di libertà, multiculturalismo e tolleranza. «La distruzione della fiducia è stata una malattia terminale […]: fu tipica dei sistemi totalitari come l’Unione Sovietica la Germania dell’Est […]. La nostra confidence collettiva sta già toccando livelli di allarme». È sotto minaccia dalle teorie neopagane della sinistra e della destra illiberale.
E nel frattempo l’America si ritira: una politica che accomuna sia Donald Trump che Joe Biden. L’America di oggi è un impero rattrappito; potrebbe continuare la sua ritirata strategica per convogliare le risorse verso teatri più strategici ai propri interessi vitali. Via del Medio Oriente e dall’Atlantico verso il Pacifico. Ma la Seconda Guerra Fredda con la Cina sarà anche una battaglia valoriale. L’Occidente deve concentrarsi sulla propria salute interna in termini di democrazia, liberalismo ed economia. Non è la prima volta che l’Occidente ha vissuto delle crisi politiche economiche e ideali. È la prima volta che c’è un suicidio occidentale collettivo. Nelle due Americhe, quella rossa e quella blu, ognuno vede l’altro come il male assoluto e non sembra intravedere un futuro comune. Oggi gli Stati Uniti sono stanchi dell’impero di un tempo. I dem votarono Obama in risposta alle guerre dei repubblicani.
I repubblicani votarono Trump per l’isolazionismo e il nazionalismo. Ma quello che spaventa è il processo ai nostri valori. Il che rafforza la convinzione delle potenze autoritarie che l’Occidente è in preda ad un suicidio irrazionale e processa i propri valori direttamente a casa propria. Ronald Reagan non si vergognava dei suoi valori, dell’Occidente, della libertà e del capitalismo. «Se c’è una speranza di arrestare la decadenza degli Stati Uniti, è curando i mali interni, non finanziando spedizioni fallimentari per esportare democrazie, diritti […]. Il ventennio delle guerre contro il terrorismo ha regalato tempo e risorse alla Cina per accelerare la corsa». Il processo di ritirata globale degli Stati Uniti continuerà e per dirla con Ian Bremmer, un “mondo G-zero” con la cabina di regia delle relazioni internazionali vuota è uno scenario possibile per il futuro. Nel frattempo, gli autocrati d’Oriente faranno leva sulle debolezze e il suicidio occidentale.
«Per una crudele ironia della sorte, proprio quegli europei che più disprezzano nell’America oggi ne stanno importando i peggiori difetti in casa propria: dalla censura politically correct nell’università inglesi all’odio per l’Occidente di Carola Rackete, all’ambientalismo pauperistico». Rampini però è fiducioso: l’America è ancora paese più ricco del mondo. Il capitalismo è modellabile e saprà innovarsi. Gli americani continuano ad attrarre e l’abbondanza energetica americana la rende autosufficiente. La pax americana c’è ancora in molti paesi e la sua potenza militare è impressionante. L’Occidente deve trovare la forza nei propri valori e non demolirli. No al suicidio occidentale, ma prendere coscienza della propria storia e analizzarla, non distruggerla. L’Occidente non deve optare per una classe dirigente distruttiva e chi vuole distruggere i propri valori. Altrimenti non rimarrà più niente. E le autocrazie trionferanno.