Propedeutica musicale e disabilità: voci e percussioni per l’inclusione

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«La propedeutica musicale mi è piaciuta da subito, forse più che suonare! Pochi vincoli, tanta creatività e desiderio di esplorare suoni alternativi». Esordisce così Giacomo Barbari, batterista, percussionista e operatore musicale, che oggi theWise Magazine ha incontrato per voi.

Il suo lavoro si svolge prevalentemente con bambini e con utenti che presentano disabilità cognitiva. Non rimane che sedersi in cerchio, scaldare la voce e preparare le mani, che suoneranno svariati strumenti a percussione!

Come mai la scelta di fare propedeutica musicale con la disabilità?

«La mia è una didattica per non musicisti, possiamo dire “informale”. Insieme all’associazione Il Flauto Magico di Modena, con la quale collaboro da anni, mi è capitato di fare progetti di propedeutica musicale con ragazzi disabili e da subito mi è piaciuto. La musica in questi progetti, come in quelli di musicoterapia, è più un mezzo che un fine, essendo un linguaggio universale. Non formiamo musicisti ma utilizziamo la musica per progettare e attuare esperienze divertenti e inclusive».

Quali sono gli strumenti e i generi musicali che funzionano meglio?

«L’operatore deve fare una scelta calibrando quelle che sono le sue conoscenze e attitudini con quello che pensa potrebbe essere meglio per i fruitori. Da batterista e percussionista, non potevo non usare strumenti a percussione! Inoltre la percussione corporea, in inglese body percussion, è un po’ la spina dorsale di queste tipologie di interventi. La percussione riesce a dare suggestioni molto profonde. Si può utilizzare poi la voce, accompagnandola a strumenti melodici come la chitarra o il pianoforte. Quest’ultimo caso è più scomodo, bisogna sempre tener conto degli spazi in cui si vanno a realizzare le attività».

Giacomo Barbari. Foto per gentile concessione dell’intervistato.

Come organizzi lo spazio in cui lavori?

«Sicuramente non in uno spazio frontale! La maggior parte del tempo è spesa in cerchio, dove tutti si guardano. Il cerchio può rompersi e ricostruirsi a seconda delle attività e delle necessità, ad esempio ci possono essere momenti in cui si balla e si canta muovendosi liberamente nello spazio. Però è importantissimo che ci sia scambio fra i partecipanti. Solamente la disposizione circolare può consentire questa reciprocità».

In che senso la musica può essere un linguaggio e un mezzo inclusivo?

«La propedeutica musicale con la disabilità agisce su vari livelli. Da un lato la musica può fornire un buono stimolo a livello cognitivo: le regole della musica, anche se applicate in un ambiente ludico e informale, danno supporto alla concentrazione, all’attenzione, alla memoria e all’ascolto di sé e degli altri.

Durante queste attività la musica assume anche un ruolo quasi “sociale”, poiché muovendosi nello spazio si entra in relazione, ci si tocca e ci si scambiano messaggi verbali e non verbali. Si impara a creare e a colorare il proprio spazio con i proprio suoni. Personalmente, credo che questi principi valgano non solo in relazione alla disabilità ma verso ciascuno e tutti. Si tratta solo di calibrarli in base alle capacità e ai bisogni di chi si ha davanti, osservando attentamente e continuamente ciò che accade».

Come si potrebbero implementare nel mondo della scuola queste attività?

«La scuola ha i suoi ritmi serrati e i suoi tempi sempre stretti. Penso però che sarebbero utili se realizzati in orario scolastico, creando una commistione tra formale e informale. Le ragazze e i ragazzi sarebbero stimolati nella creatività e nell’essere sé stessi anche dentro le mura scolastiche. Bisogna però avere spazi adeguati, che non è sempre facile! Credo sia importante anche dare continuità: le esperienze di gruppo devono coinvolgere tutto il personale scolastico e devono essere collegate fra di loro in un circolo virtuoso. La vita della classe migliorerebbe!».

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Domanda di rito che poniamo a tutti gli operatori nel campo della disabilità. Qual è il tuo concetto di inclusione?

«Voglio essere pragmatico: prima di tutto bisogna avere un’idea condivisa sul progetto, verso chi lo si debba rivolgere e con quali obiettivi. Sicuramente è necessaria poi una grande disponibilità di mezzi. Inclusione vuol dire lavorare con persone diverse che hanno bisogni diversi, che devono essere accolti. La mia personale idea di inclusione è un insieme di energie, dialogo e ascolto che coinvolge sia chi attua il progetto sia chi lo riceve. Certamente non deve mancare il coraggio di proporre idee nuove e di mettersi in gioco!».

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Marco Capriglio

Nato nel 1996 a Scandiano (RE), terra di Lazzaro Spallanzani e dell'Orlando Innamorato, sono docente di sostegno nella scuola secondaria di secondo grado. Ex vicepresidente della casa editrice theWise APS che pubblica il mensile PRISMAG, mi divido tra il mondo della disabilità e quello della storia locale, soprattutto in ambito militare: ho l'onore di aver pubblicato, tra i vari, per il "Notiziario Storico dell'Arma dei Carabinieri". Nel tempo libero sono addetto stampa dell'Associazione Nazionale Carabinieri Sez. Scandiano e faccio parte del Comitato di redazione de "L'Alpino Modenese", periodico della Sezione Alpini di Modena. Ho una seconda identità di batterista punk rock. Sono un fermo sostenitore della Repubblica, delle sue Istituzioni democratiche e del dialogo fra i Popoli.