P38: Istigazione a delinquere o libertà d’espressione?
Negli ultimi giorni l’indagine giudiziaria che ha coinvolto la band trap P38 sta facendo discutere. I membri del gruppo, accusati di inneggiare alle Brigate Rosse, sono indagati per istigazione a delinquere e rischiano fino a otto anni di reclusione. La vicenda ha dato il via a un acceso dibattito mediatico che vede fronteggiarsi posizioni di condanna e di difesa. È partito anche un crowfunding, che ad oggi ha superato i settemila euro,per sostenere le spese legali a cui il gruppo andrà incontro.
La vicenda riapre la vecchia questione del rapporto fra arte e contenuti provocatori o violenti. Si tratta di un tema ricorrente nella musica in generale, e nel rap in particolare. Dov’è il confine fra libertà d’espressione e istigazione a delinquere? Nell’arte si può dire tutto? È giusto incriminare delle canzoni?
Che cos’è la P38-La Gang?
La P38 è un gruppo trap nato nel 2020, ma ha iniziato ad attirare l’attenzione soltanto lo scorso inverno. Ciò è avvenuto dopo la pubblicazione del loro ultimo disco Nuove BR. Tanto il nome del gruppo (la P38 è una pistola simbolo degli anni di piombo) quanto i titoli delle canzoni (Nuove BR, Gulag, Bocconibrucia, Renault) lasciano pochi dubbi sull’immaginario di riferimento. I richiami alle Brigate Rosse, al comunismo e all’Unione Sovietica sono frequenti tanto nei testi delle canzoni, quanto nelle scenografie di concerti e video musicali. Tuttavia, a questa estetica la P38 accompagna anche elementi canonici del rap contemporaneo, come i riferimenti alle armi, alle droghe o al denaro. Il verso che apre il brano Nuove BR, «Renato Curcio, maglia di Gucci» riassume al meglio questo dualismo.
I testi sono provocatori e ambigui. Da una parte ci sono l’utilizzo degli audio ufficiali di Mario Moretti (fra i capi delle BR), i riferimenti all’omicidio Moro, ma anche inneggiamenti all’uso di stupefacenti o alle stragi; dall’altra, invece, critiche o analisi sociali più serie e circostanziate come «Capitalismo più equo, è come bollire nel gelo» (Gulag) o «Quante ragazze si suicidano nel porno per far godere uno stronzo come me, come te» (Come me, come te).
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Sui loro profili social e attraverso alcuni comunicati stampa, i componenti della band hanno spesso rivendicato la natura provocatoria delle loro canzoni. Tuttavia, hanno anche sciolto alcuni nodi ambigui. Nella descrizione che accompagna il sopracitato crowfunding, in riferimento alla loro scelta di adoperare i canoni estetici della trap, i membri della P38 definiscono così il loro progetto:
«Cambia il lessico, cambiano i riferimenti, Scarface diventa Mario Moretti, la Lamborghini diventa una Renaut 4. Una rossa iperbole trasforma la prospettiva di successo e arricchimento individuale in una strenua lotta con ogni mezzo per un futuro migliore per tutti»
Le accuse e le indagini
La P38 ha raggiunto gli onori della cronaca a seguito di un’indagine della Digos di Reggio Emilia. Quest’ultima è partita dopo una serie di concerti della band, l’ultimo dei quali tenutosi proprio nel capoluogo di provincia emiliano, presso il circolo Arci Tunnel, lo scorso Primo Maggio. A essere indagato, per concorso nel reato di istigazione a delinquere è stato anche il presidente del circolo Marco Vicini. Questi, dopo un breve interrogatorio in Procura ha parlato con i giornalisti difendendo la band e il diritto d’espressione.
I quattro membri della band, Yung Stalin, Papà Dimitri, Astore e Jimmy Penthotal, che nel corso dei live e nei video musicali si mostrano con indosso dei passamontagna, sono stati identificati e sarebbero indagati per il reato di istigazione a delinquere. Il rapporto, fatto dalla Digos di Reggio Emilia, è passato dalle mani della procura distrettuale competente per le indagini sull’antiterrorismo di Bologna, è infine approdato alla procura di Torino. Stando a quanto riporta Repubblica, nel capoluogo piemontese era già stato aperto, da diverso tempo, un fascicolo sulla band. In particolare, i PM stavano indagando su uno dei primi brani del gruppo, Dana libera Freestyle. Si tratta di un testo contro l’alta velocità e in difesa della portavoce del movimento NO TAV Dana Lauriola. Al centro delle indagini soprattutto il verso «Meglio morto che carabiniere. A Chiomonte lancio bombe nel cantiere».
Le indagini della Digos di Reggio Emilia sono arrivate dopo una serie di denunce, fra le quali anche quella di Bruno D’Alfonso, figlio del carabiniere Giovanni D’Alfonso, ucciso dalle Brigate Rosse il 5 giugno 1975. A seguito della denuncia D’Alfonso ha anche dichiarato di aver ricevuto delle minacce di morte via social. A seguito delle indagini i profili social ufficiali della band sono stati oscurati, ed è stata cancellata la loro partecipazione al festival milanese Mi ami.
P38-La Gang: la polemica fra politica e giornali
Sin dall’inizio delle indagini le condanne sono rimbalzate dalle pagine dei giornali alle aule della politica, producendo un circolo per nulla inedito. Politica e opinione pubblica condizionano, sia pur in maniera indiretta, le scelte delle e nelle indagini delle procure, e viceversa. Da questo punto di vista, la mole di articoli prodotti da testate locali come Il Resto del Carlino e La Gazzetta di Reggio, poi rilanciati da quotidiani nazionali del calibro di Repubblica e Il Corriere della Sera hanno contribuito ad alimentare un’indignazione collettiva che è arrivata fino alle aule dei consigli comunali e regionali.
Nel consiglio comunale di Bologna Fratelli d’Italia e Lega hanno chiesto la revoca dell’affido dell’ex Centrale del latte (in cui la band si era esibita lo scorso aprile) al collettivo Crash. Nel consiglio regionale, invece, la vicepresidente Elly Schlein ha dovuto prendere le distanze dall’accaduto, dichiarando che il circolo Arci Tunnel di Reggio Emilia non ha ricevuto alcun finanziamento regionale. Fra gli altri, si è detto indignato anche il presidente della regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini. Giorgia Meloni, invece, ha denunciato il silenzio del Partito Democratico. Silenzio che, però, non c’è stato, dal momento che diversi esponenti del partito si sono espressi con parole di condanna. Sono intervenuti sull’argomento anche esponenti della società civile. Fra questi alcuni parenti delle vittime, come Lorenzo Biagi e Maria Fida Moro.
Istigazione a delinquere nella musica: i precedenti
Non è la prima volta che la musica finisca sotto processo, in particolare per quanto riguarda il rap. Esistono dei precedenti anche per lo specifico reato di istigazione a delinquere.
Diversi trapper italiani sono incappati in condanne o sanzioni. I giovani rapper milanesi Babygang e Rondo Da Sosa, per esempio, hanno ricevuto la scorsa estate il Daspo Willy (che prende il nome dai tragici eventi che hanno portato alla morte del giovane Willy Montero Duarte), che gli vieta l’ingresso nei bar e nelle discoteche della città metropolitana di Milano per due anni. Come tanti altri rapper i due, nelle loro canzoni, inneggiano a diverse attività criminali, dallo spaccio all’omicidio. Tuttavia, tanto il Daspo in questione, quanto le condanne pregresse che entrambi hanno ricevuto non sono arrivati per i testi delle loro canzoni, bensì per effettivi comportamenti criminali, dalle risse fuori dai locali alla detenzione illegale di armi.
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Diversi i casi di rapper come Mr Rizzus o Fabri Fibra. Entrambi hanno ricevuto, nel corso delle rispettive carriere, delle condanne dovute a frasi contenute nelle loro canzoni. Il primo era stato denunciato da Rebecca Staffelli, figlia dell’inviato di Striscia la notizia, per delle minacce nei suoi confronti. Il secondo invece aveva ricevuto una denuncia da parte del cantante Valerio Scanu. In entrambi i casi, al momento delle indagini figurava come capo d’accusa anche quello di istigazione a delinquere. Ma per tutti e due l’accusa è stata archiviata, e sono stati rimandati a giudizio soltanto per diffamazione.
Tuttavia, nella musica italiana esiste almeno un caso di condanna per il reato di istigazione a delinquere. Si tratta del cantante neomelodico Nello Liberti, condannato a un anno e quattro mesi per la sua canzone “O capoclan”, la quale inneggiava alla figura di un specifico boss camorrista. In quell’occasione erano stati condannati anche alcuni affiliati al clan che avevano partecipato al videoclip della canzone.
Istigazione a delinquere: cosa rischiano in concreto i membri della P38?
Non è detto che i membri della P38 finiranno per ricevere una condanna. Il reato di istigazione a delinquere, è previsto dall’articolo 414 del Codice penale. Nello specifico, i quattro sono accusati di apologia di delitto, normato dal comma 3 del suddetto articolo. Tuttavia, quest’ultimo rischia di entrare in contrasto con gli articoli 11 e 21 della Costituzione, i quali garantiscono libertà d’espressione e pensiero. Questo possibile conflitto è stato già risolto più di cinquant’anni fa. La sentenza n.65/1970 stabilisce infatti che non costituisce reato di apologia il semplice giudizio positivo su un delitto, ma che questo giudizio deve costituire efficace incitamento per un pubblico.
È difficile sostenere che gli incitamenti nelle canzoni della P38 possano essere efficaci, proprio perché sono iperbolici. I reati di cui i membri del gruppo fanno apologia sono omicidi, stragi o altri delitti connessi al terrorismo. Quest’ultimo richiederebbe come requisito intrinseco l’anonimato e la clandestinità. Il fatto che gli appelli a «rifondare le BR» siano invece sbandierati dovrebbe dimostrare che non si tratta di un effettivo incitamento. Come per gli artisti già citati, frasi apologetiche o elogiative nei confronti di alcuni reati sono spesso mezzi e non fini. Servono a costruire un’estetica fatta di provocazioni, iperboli, o linguaggio ironico, per attirare l’attenzione su altri temi e messaggi.
La differenza con il caso dell’ex cantante neomelodico è evidente. Lì era dimostrabile una vicinanza fra il cantante e gli ambienti che elogiava. I membri della P38, invece, elogiano soggetti e gruppi terroristici appartenenti a un periodo storico concluso. Anche il discusso reato di apologia di fascismo, ad esempio, non punisce la mitizzazione del duce o del ventennio, ma la promozione della «riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista». Una condanna per apologia di terrorismo potrebbe raggiungere i membri della P38 soltanto laddove si riesca a dimostrare che questi intendano promuovere la fondazione, in concreto, di una cellula terroristica.
Processare e condannare i membri della P38 rischia di rappresentare un pericoloso precedente politico. Non tanto, e non solo, per i contenuti delle canzoni, quanto per il significato che avrebbe una condanna di questo tipo per la libertà d’espressione nell’arte.