Bullismo e cyberbullismo: theWise incontra la psicoterapeuta Chiara Lepri
Il bullismo è una problematica che affligge da sempre l’età dell’adolescenza, in particolar modo nel mondo scolastico. Le nuove tecnologie hanno poi portato un cambiamento nell’attuazione di questi comportamenti antisociali, dando vita al cyberbullismo. Secondo un rapporto dell’ISTAT del 2019, più del 50% degli intervistati, aventi tra gli undici e i diciassette anni, è stato vittima di un episodio violento o offensivo nei dodici mesi precedenti. Ancora, quasi uno su cinque ha dichiarato di subire questi atti regolarmente, almeno una volta al mese.
Oggi theWise Magazine ha incontrato la psicoterapeuta Chiara Lepri che fa parte dell’Associazione Psicologi Sinodia. Questa realtà è nata come gruppo di lavoro nel 2015, per promuovere un nuovo progetto di psicologia scolastica all’interno delle scuole di Firenze e provincia.
Quali sono le altre forme di bullismo, oltre la più tristemente conosciuta violenza fisica?
«Sicuramente la parte più complessa del bullismo moderno è tutta la parte del cyberbullismo, ovvero quella legata all’identità virtuale dell’adolescente. Parlo di adolescente perché questa è l’età in cui tali fenomeni si riscontrano più frequentemente e con le conseguenze più gravi. Il fatto che i social siano usati in maniera continuativa fa sì che si crei una realtà parallela, dove però i ragazzi e le ragazze hanno una loro identità ben definita: postano, chattano e raccontano qualcosa di sé».
Quali sono le conseguenze?
«Il bullismo non si ferma ai banchi di scuola, con le azioni vessatorie e le violenze sia psicologiche che fisiche. Queste dinamiche vengono trasferite alla vita social, quindi messaggi minatori su WhatsApp o frasi diffamatorie su Facebook. Allo sportello psicologico che offriamo, spesso ci viene riferita dalle vittime la loro frustrazione data dal fatto che non sanno cosa i compagni dicano di loro, ad esempio nelle chat di gruppo. Il fenomeno del bullismo (e ora del cyberbullismo) è complesso, con una parte sommersa che è di difficile controllo. Prima la violenza era fatta “in presenza”, l’offesa era diretta e il “bullizzato” poteva tentare di difendersi. Ora è virtuale, nascosta e meno controllabile».
Come si sono evoluti bullismo e cyberbullismo in relazione alla pandemia?
«Negli interventi a scuola, abbiamo vissuto la difficoltà nello sperimentare il gruppo classe, a causa delle restrizioni e del distanziamento. Siamo comunque riusciti a portare avanti lo sportello online. Più che casi di bullismo, come noto, si sono verificati più casi di ansia, depressione e solitudine. È come se, in un certo senso, il fenomeno del bullismo si fosse “congelato”».
Per quanto riguarda il post-pandemia?
«Gli sportelli stanno riprendendo in presenza in questi giorni: fare una previsione su come riprenderà il fenomeno è difficile. Quello che abbiamo visto influenzare maggiormente la crescita o meno del bullismo è il modo in cui la dirigenza gestisce l’istituto scolastico e le sue problematiche».
Cosa dovrei fare se mio figlio fosse vittima di bullismo?
«Il bullismo non nasce mai per caso. Vi sono fattori comportamentali che fungono da predittori nell’assumere un ruolo di dominanza o di sottomissione. Le vittime più plausibili, per esempio, sono quelle che tendono ad apparire più deboli, a essere più isolate, fragili, con interessi diversi dai pari.
Se dovessi scoprire che mio figlio fosse vittima di episodi di bullismo o di cyberbullismo, la prima cosa che farei sarebbe andarne a parlare con il coordinatore di classe. Questo potrebbe essere utile per capire se il vissuto che il figlio riporta sia rispecchiabile su un piano di realtà rispetto alle dinamiche del gruppo classe. Valuterei poi come procedere. Questo nel caso sia il figlio a parlare direttamente della problematica».
E se non dovesse dire nulla?
«Ci sono importanti campanelli d’allarme: scuse per non andare a scuola, calo del rendimento scolastico, isolamento rispetto agli amici e ai compagni, ansia e tristezza. Non andrei direttamente dal coordinatore in questo caso. Mi rivolgerei, se presente, allo psicologo scolastico per comprendere come la scuola si rapporta alla problematica del bullismo».
Se invece fosse il bullo?
«Vi sono interessanti studi sull’argomento. Innanzi tutto, se mio figlio fosse il bullo, vorrei farmi un esame di coscienza. Quello che è emerso dalle ricerche è che il modo in cui il genitore ha affrontato e rielaborato il proprio vissuto scolastico influisce sulla personalità genitoriale. Se io sono stata remissiva e mio figlio è arrogante e bullo, è importante che io gestisca quella parte di me, per aiutarlo a comprendere e modificare i suoi comportamenti disfunzionali. È fondamentale rinarrare la propria storia di vita e gestire i propri irrisolti.
Detto questo, è importante comprendere se la percezione che ho della situazione di mio figlio sia reale o meno. Anche in questo caso, andrei dal coordinatore di classe. Se non vi dovessero essere note o un cattivo voto in condotta, la mia percezione potrebbe essere errata».
Cosa dovrebbero fare la scuola per arginare questi fenomeni?
«Il contesto primario in cui i ragazzi e le ragazze si esprimono è la scuola: questo deve essere il primo ambito di intervento. Quello che fa la differenza, come già detto, è lo stile della dirigenza. Con una serie di regole contro il bullismo si può prevenire il problema. La presenza di uno psicologo scolastico aiuta in questo senso.
Dopo un fenomeno di presunto bullismo, generalmente segnalato dalla vittima, si fa un primo colloquio con il presunto bullo. Si cerca di far presente le norme della scuola e di “spaventarlo” in modo “sano”, ricordandogli come funzionano le cose nel tessuto scolastico. Spesso il comportamento antisociale sparisce. Se dovesse continuare o aumentare, sarà necessario parlarne con la vittima, per capire come si stia evolvendo la situazione e se l’aiuto offerto possa essere voluto o meno. Per ultimo si parlerà con il dirigente. È sempre meglio cercare di gestire il fenomeno in maniera informale, fra pari. Solo nei casi estremi si coinvolgerà la dirigenza della scuola e la famiglia».
Quale è la tua visione dello psicologo scolastico?
«Lo psicologo scolastico è una figura importantissima nel tessuto scolastico. Non deve stare nel suo ufficio ad aspettare i ragazzi, ma deve essere uno “psicologo di strada”, che se li va a prendere nei corridoi! È necessario che si faccia vedere, si faccia dare del tu, giri per la scuola durante la ricreazione, faccia merenda con i ragazzi. Senza conoscere la figura e soprattutto il suo volto, i ragazzi non andranno allo sportello!
Il bullismo è una realtà presente e difficilmente si arriva a violenze estreme. È un fenomeno sottile e sfumato, nel quale capire la linea di demarcazione tra la “sana” presa in giro e la strumentalizzazione dell’altro è molto complicato. La scuola deve sempre avere una posizione chiara di prevenzione al bullismo, con obiettivi pedagogici ben definiti. Possibilmente sarebbe meglio avere un gruppo di psicologi (e non un singolo) che tramite la relazione possano prevenire le problematiche presenti, al di là del fenomeno stesso. Il focus deve essere sulla relazione».