Biden in Europa: welcome back, America
È appena terminata la prima, intensa missione diplomatica oltreoceano del presidente americano Joe Biden.
Ancora relativamente fresco di investitura dopo la vittoria su Donald Trump, Biden ha assunto con piglio deciso il suo ruolo anche a livello internazionale e dopo quattro anni di isolazionismo statunitense la musica è decisamente cambiata.
La settimana di Biden in Europa
Il presidente americano ha avuto un’agenda fittissima. Incontro G7, vertice NATO, bilaterale con i vertici UE e bilaterale con il presidente russo Putin, nonché uno stuolo di incontri con i singoli alleati, il tutto nell’arco di pochi giorni.
Il filo rosso che unisce questi appuntamenti è il recupero della capacità di proiezione diplomatica statunitense nel mondo, che con Donald Trump si era progressivamente avvitata su sé stessa: il disimpegno da importanti impegni sovranazionali (OMS e accordi di Parigi), l’allontanamento dagli alleati tradizionali (in primis l’Unione Europea) e la semplice inazione sullo scacchiere dei conflitti internazionali (soprattutto in Siria e Ucraina) negli ultimi quattro anni avevano ringalluzzito gli animi di storici avversari come Russia, Cina e Iran, che di fronte alla guerra dei dazi e alle sanzioni di Trump hanno fondamentalmente fatto spallucce, liberi di fare i loro interessi piuttosto allegramente.
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L’incontro del G7
In questa edizione del G7 erano presenti tra gli invitati esterni anche Australia, India e Corea del Sud. Non è un caso.
Tutti e tre questi Paesi hanno avuto screzi con la Cina. L’invito all’incontro è un esplicito tentativo di fare fronte comune, sia sul piano diplomatico che su quello economico. Al di là dei classici temi da G7 il nocciolo di questa edizione è stata infatti la necessità di fare quadrato in ottica anticinese, cosa tutt’altro che semplice data la forte compenetrazione della Cina nelle economie occidentali.
A questo proposito è curiosa la posizione dell’Italia, primo Paese europeo ad aderire alla Belt and Road Initiative cinese sotto il governo Conte, scelta ora messa in discussione dal governo Draghi (presumibilmente non senza pressioni da parte americana).
Ancora più curioso è come la posizione italiana viene vista dalla Cina. Questo è evidente in un’illustrazione sul G7 diventata virale su Sina Weibo (il Twitter cinese) e caricata dall’utente Bantonglaoatang, raffigurante l’Ultima Cena in chiave satirica.
In questa immagine vediamo l’aquila americana al posto di Gesù mentre trasforma della carta igienica in dollari. Alla sua destra l’Italia, rappresentata da un lupo che distoglie lo sguardo e mostra i palmi in un chiaro segnale di allontanamento da quanto sta avvenendo, a differenza ad esempio del leone inglese e del castoro canadese, in evidente atteggiamento sussiegoso. Da notare l’akita inu giapponese che versa nei bicchieri dei commensali del liquido radioattivo, un chiaro riferimento alle acque contaminate sversate nel Pacifico dopo Fukushima.
Il vertice NATO
Se il G7 era incentrato sulla rivalità economica con la Cina, il vertice NATO si è focalizzato più sui problemi con la Russia, di profilo nettamente più militare.
Biden non poteva essere più esplicito. L’obiettivo del vertice è stato il ritorno su una forte posizione atlantista degli Stati Uniti e il recupero dei rapporti con i propri alleati storici in chiave anticinese e, soprattutto, antirussa.
Il focus su Russia e Cina (ma anche Iran) non è un caso. Le operazioni congiunte dei due giganti sono troppo evidenti per essere ignorate. Un esempio è stata Kavkaz-2020, un’esercitazione militare tenutasi lo scorso settembre nel Caucaso, nel Mar Nero e nel Mar Caspio che ha visto la partecipazione di Russia, Cina, Iran e, oltre ai loro vari Paesi satelliti, anche Myanmar, Egitto, Siria.
Evitata all’ultimo secondo, invece, la partecipazione della Turchia, cosa che non è passata inosservata.
Un piede in due scarpe
La partecipazione della Turchia all’esercitazione, data per assodata, è stata ritirata poco prima del suo inizio senza grandi spiegazioni, anche se il riaccendersi del conflitto nel Nagorno Karabakh ha quasi certamente avuto il suo influsso.
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È comunque stato un campanello d’allarme che non è passato inosservato. La Turchia è un importante membro della NATO, il secondo esercito dell’alleanza, collocato strategicamente tra Europa e Medio Oriente. Un asset militare insostituibile.
Eppure negli ultimi anni la politica del suo autocrate, Recep Tayyip Erdogan, non è certo stata quella di un alleato particolarmente affidabile, specialmente nel teatro siriano. Una collaborazione militare con il principale – e dichiarato – avversario della NATO, la Russia, sarebbe stata davvero troppo.
L’ambiguità turca è però a tutto tondo. Se da una parte, da membro della NATO, è arrivata a un soffio dal collaborare militarmente con la Russia, dall’altra è una spina nel fianco per il Cremlino in vari teatri, com’è evidente proprio nel Nagorno Karabakh dove Russia e Turchia se le sono suonate per interposta persona: la Russia a sostegno dell’Armenia e la Turchia dell’Azerbaigian. O in Nordafrica, dove le due potenze sostengono le opposte fazioni che si contendono la Libia.
Un rapporto complesso quello tra Turchia e Russia, basato principalmente sul legame di amore e odio tra i loro due presidenti/autocrati più che su una vera e propria collaborazione strutturale. Quel che è certo è che non è nell’interesse né dell’uno né dell’altro essere nemici, il che dal punto di vista della NATO rappresenta un’ambiguità che va dissipata.
La puntualizzazione di Biden su chi sia il vero avversario per i membri della NATO è stata molto chiara. Della serie: chi ha orecchie per intendere, intenda.
L’importanza della NATO
Mai come ora dalla fine della guerra fredda la NATO ha assunto un’importanza fondamentale in chiave antirussa. L’aggressiva politica estera che il Cremlino sta portando avanti negli ultimi anni – l’annessione della Crimea, la guerra in Donbass e in Siria, le ingerenze in Bielorussia e in Libia – ha reso evidente che l’alleanza nordatlantica è l’unica garanzia possibile per chiunque voglia affrancarsi dal Mosca. Non è un caso che l’Ucraina farebbe carte false per entrarci.
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In tal senso, la Russia pare non essere in grado di mettere in piedi un’alleanza di pari coesione. Al di là di esercitazioni congiunte, non ha successo nel creare una vera comunione di intenti tra i vari Paesi con cui collabora militarmente.
La luna di miele tra Biden e l’Unione Europea
L’atteggiamento di Biden nei confronti dell’Unione Europea non potrebbe essere più diverso da quello avuto da Donald Trump. Se quest’ultimo trattava l’Europa alla stregua della Cina arrivando a imporre dazi doganali ad ogni piè sospinto, Biden è riuscito a spazzare via tutto nel giro di un incontro con Ursula Von Der Leyen.
Tre i punti chiave: la risoluzione della diatriba Airbus-Boeing, la creazione del Trade and Technology Council e la comunione di intenti su ambiente e diritti civili.
L’intesa sulla guerra dei dazi, in particolare quella sulla quasi ventennale disputa Airbus-Boeing, segna un cambio di paradigma nelle relazione Usa-Ue ed evidenzia una rinnovata collaborazione sul piano economico.
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Il fatto di avere un avversario comune, la Cina, ha avuto un ruolo fondamentale e ha portato al concepimento del Trade and Technology Council. Questo organismo avrà l’obiettivo di agevolare la cooperazione tra le due sponde dell’Atlantico, per armonizzare gli standard tecnologici e coordinare ricerca e innovazione, promuovendo al contempo principi democratici nell’ambito della tecnologia al fine di evitare un suo utilizzo manipolatorio da parte delle autocrazie.
Il nodo big tech
Rimangono alcune divergenze inerenti la differente normativa sui dati personali, il regime fiscale applicato alle grandi multinazionali e l’Antitrust, soprattutto per quanto riguarda le big tech.
Su quest’ultimo punto il tempismo con cui Biden ha scelto la nuova responsabile dell’Antitrust americana la dice lunga. Quasi in contemporanea all’incontro con Von Der Leyen ha infatti nominato Lina Khan, una giovane professoressa trentaduenne della Columbia Law School nota per la sua posizione estremamente dura nei confronti proprio delle big tech.
Khan è diventata famosa con un suo imponente studio realizzato a soli ventotto anni mentre frequentava la facoltà di legge a Yale, dal titolo Amazon’s Antitrust Paradox, nel quale ha inquadrato il peculiare e ormai monopolistico ruolo di Amazon, al tempo stesso fornitore di servizi e diretto concorrente di quelle stesse aziende che vendono sulla sua piattaforma.
L’Europa non può certo lamentarsi di questa scelta, impensabile fino a pochi mesi fa.
Il faccia a faccia con Putin
Biden l’ha definito «un incontro costruttivo e diretto», Putin altrettanto «costruttivo, non ostile, concreto». Sul tavolo il ritorno dei rispettivi ambasciatori (precedentemente ritirati) nonché il dossier sul disarmo nucleare, la sicurezza informatica e il rispetto dei diritti umani, in particolare nel caso del dissidente russo Navalny (su cui comunque non c’è stato accordo).
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Insieme ai due presidenti si sono confrontate anche le rispettive delegazioni su temi quali il cambiamento climatico, l’Artico, il nucleare iraniano, il Covid-19, l’Afghanistan, la Siria. Nonché, naturalmente, l’Ucraina, il principale fronte aperto tra le due grandi potenze.
Un incontro cordiale, diplomatico, non particolarmente ricco di sorprese. Tranne, forse, la dichiarazione congiunta che nessuno si aspettava, nella quale i due presidenti hanno affermato «il principio che una guerra nucleare non può essere vinta e non deve mai essere combattuta».
Insomma, nessun grande passo avanti ma, quantomeno, nessun passo indietro.
Intanto Biden torna a Washington dopo aver rinsaldato i legami con i propri partner internazionali, raffreddato gli animi dei principali competitor e riaffermato l’insuperata capacità di proiezione globale della diplomazia statunitense.
Well done, Joe.