Aurora Leone, la Partita del cuore e la (non) parità
Non è la prima volta che ci troviamo a dover raccontare di un episodio di sessismo e misoginia, non sarà – purtroppo – nemmeno l’ultima. Con la speranza che questi episodi, che sono una piccola parte di un problema molto più articolato, non debbano più far parte della nostra quotidianità, veniamo ai fatti.
Beneficienza e discriminazione nella Partita del cuore
La Partita del cuore è un evento calcistico benefico che si svolge ogni anno dall’inizio degli anni Novanta. A ogni edizione si sceglie una causa a cui devolvere i fondi. Quella del 2020 era stata dedicata ai lavoratori del mondo dello spettacolo, mentre quella del 2021 vuole raccogliere fondi per la ricerca sul cancro. Il nostro racconto della Partita del cuore doveva essere focalizzato su questo, sulla beneficienza, ma così non sarà. A prendere il sopravvento, invece, è l’episodio discriminatorio avvenuto ai danni di Aurora Leone attrice e comica appartenente al gruppo dei The Jackal, raccontato nelle storie di Instagram alla vigilia della partita, il 24 maggio scorso.
Ormai sappiamo che Aurora Leone è stata fatta allontanare dal tavolo cui si era accomodata dal direttore generale, Gian Luca Pecchini. Le parole rivolte a Leone sono state queste: «Sei una donna, non puoi stare seduta qui, sono le nostre regole». A questa frase, già sufficientemente discriminatoria, ne sono seguite altre, per affermare che il posto delle donne è nella tribuna, non nel campo.
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La gestione (inadatta) della crisi
A prescindere dai fatti, seppur gravi, quello che fa storcere il naso è la gestione della crisi. La Nazionale Cantanti, infatti, ha fatto un fiasco dopo l’altro. Nazionale Cantanti che, tra l’altro, ha fornito ai suoi giocatori delle mascherine contro la violenza sulle donne e che ha ricevuto parecchie migliaia di euro dal Dipartimento delle Pari Opportunità. Se a questo vi aggiungiamo che la discriminazione ai danni di Aurora Leone è avvenuta durante un evento benefico, il tutto diventa ancora più ironico.
Nazionale Cantanti ha iniziato la gestione di questa crisi tramite un post di Instagram, prontamente cancellato, in cui dichiarava: «Alessandra Amoroso, Madame, Jessica Notaro, Gianna Nannini, Loredana Berté, Rita Levi di Montalcini, sono solo alcuni dei nomi delle tantissime donne che dal 1985 […], hanno partecipato e sostenuto i nostri progetti. Il nostro staff è quasi interamente composto da donne, come quest’anno sono donne le conduttrici e la terna arbitrale della Partita del Cuore. La Nazionale Italiana Cantanti non ha mai fatto discriminazioni di sesso, fama, genere musicali, colore della pelle, tipo di successo e followers. C’è solo una cosa nella quale la Nazionale Cantanti non è mai scesa a compromessi: noi non possiamo accettare arroganza, minacce, maleducazione e violenza verbale dai nostri ospiti». Più che un post di scuse o di chiarimento, come ci si aspetta da un’organizzazione che è stata accusata di una grave discriminazione, sembra quasi un’accusa. Al tono accusatorio si aggiunge la retorica del “abbiamo tante amiche donne” che, tra le altre cose, sono presenti in netta minoranza nell’organigramma della Nazionale Cantanti.
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Poche ore dopo è Enrico Ruggeri, presidente e capitano della Nazionale Cantanti, a prendere parola al TG4. Nell’intervento comunica l’allontanamento di due persone dall’evento a causa dello spiacevole “incidente”. Una scelta di parole sbagliata, in un discorso dove si rivolge anche al pubblico affermando: «Se qualcuno la conosce [Aurora, N.d.R.], ditele che la stiamo aspettando». Ma se fino la sera prima Aurora Leone era con loro e compariva anche nei social della Nazionale, Ruggeri non dovrebbe conoscerla?
In seguito Gian Luca Pecchini, cui è stata conferita un’onorificenza dalla Repubblica Italiana nell’aprile 2021, si è dimesso.
Un’altra costante nella narrativa proposta dalla Nazionale Cantanti è stata quella delle donazioni. È giusto, giustissimo, invitare le persone a donare per la ricerca. Aurora Leone è stata la prima a invitare alla donazione, nonostante i fatti. Meno giusto è insinuare che se le donazioni saranno basse, la colpa sarà di Aurora Leone che ha distolto l’attenzione dalla beneficienza. Siamo certi che le affermazioni fatte in durante i giorni della partita fossero fatte con l’intento di invitare alla donazione, ma il messaggio che è arrivato è (anche) questo.
Viene anche da chiedersi, con un po’ di malizia, se la decisione di far giocare i primi quindici minuti di partita alle Juventus Women fosse già prevista o se è stata, come sembra, una convocazione riparatoria. Quello che è certo è che la Nazionale Cantanti avrebbe potuto, e dovuto, fare di meglio.
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Il complesso discorso della parità
Sui social si è subito creato un forte dibattito. A prendere parola è stato anche Francesco Facchinetti, che ha invitato le donne a non scendere in campo in solidarietà. Perché solo le donne, la parità non interessa anche agli uomini? Purtroppo se affrontare un discorso sulla parità è complesso, affrontarlo nel mondo del calcio lo è ancora di più. Anche le giocatrici della Nazionale Italiana Femminile sono spesso vittime di queste situazioni.
Nella giornata della partita, comunque, sono stati molti i giocatori che hanno espresso il loro dispiacere e la solidarietà a Aurora Leone. Molti hanno deciso di abbandonare lo stadio e di non scendere in campo. Sono anche stati molti a sostenere di non aver partecipato alla cena o di non essere consapevoli di quello che stava succedendo. Ci chiediamo, allora, chi fosse effettivamente presente e come mai nessuno abbia agito. Come sempre, le dimostrazioni di solidarietà e le scuse arrivano sempre a fatti compiuti. Lo abbiamo visto anche con il Sofagate, quando Charles Michel, prima si è seduto, e solo dopo ha chiesto scusa e ha espresso il suo rammarico a Ursula von der Leyen. Perché la scelta della parità è sempre in secondo piano? Non possiamo direttamente evitare che accadano i fatti? Allontanare i responsabili è giusto, ma non è sufficiente se la mentalità non cambia. È inutile dissociarsi oggi per poi commettere lo stesso errore domani. Anche questa volta, purtroppo, non ne usciremo migliori.