Da leoni ad Agnelli

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Denaro e calcio sono due argomenti che troppo spesso coincidono. Innegabilmente lo spettacolo e il divertimento che il pallone regala al pubblico e ai tifosi hanno fatto in modo e maniera di creare un vero e proprio circo. “Panem et circenses” dicevano i latini, riferendosi a ciò che il pubblico voleva. Si nutriva di quei giochi, così come oggi si nutre di passaggi, tiri, parate, esultanze.

Ma a quanto pare questo non era abbastanza. Si poteva investire non solo sull’emozione degli spettatori, ma anche sulla sua voglia che questi ultimi avevano di provarle. E quindi sono cominciati gli spettacoli a pagamento, i biglietti per gli ingressi, i diritti televisivi, gli abbonamenti. Insomma, tutto si è trasformato in ben poco tempo in una questione di soldi.

E così come siamo (mi metto dentro a questo tendone del circo anche io) malati di spettacolo, non facciamo altro che aderire a questa sdemocratizzazione del calcio (e ben presto, purtroppo, rischiamo anche dello sport in generale), complici con il nostro tifo e la nostra fame di gioco.

Ciò che ha tenuto banco in questi giorni è stata questa fantomatica decisione di “salvare il calcio”, utilizzando le parole di Florentino Perez, creando una nuova lega europea. Analizzare la questione pensando ai pro e ai contro è stato già fatto, quindi non focalizzerò un discorso su quest’argomento.

Piuttosto è interessante indagare il processo d’evoluzione di uno dei firmatari convinti di questo progetto, il presidente della Juventus Andrea Agnelli.

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Vizio di famiglia: dalla Juve alla Juve

Il 19 maggio del 2010 Andrea Agnelli decise di riprendere in mano la società che per tanti anni era stata sotto l’egida della sua famiglia. Prese una squadra orfana di campioni, che aveva sbagliato negli investimenti e nella programmazione organizzata da Cobolli-Gigli e Blanc tra il 2006 e il 2010.

I mezzi per potersi classificare ai primi posti della Serie A, provare a disputare nel minor tempo possibile le competizioni europee, provare a vincere la Coppa Italia: queste furono le parole di quello che, all’epoca, era il neoeletto presidente. Subito dopo il suo insediamento cominciò a testa bassa a impegnarsi per un ritorno in grande stile sulle scene nazionali e internazionali.

Risultato: con il ritorno di un Agnelli a capo della società, i bianconeri hanno trovato un punto di partenza che, a distanza di dieci anni, li ha portati a vincere nove scudetti consecutivi, quattro Coppe Italia e cinque Supercoppe Italiane.

Insomma, le promesse fatte e gli obiettivi prefissati sono stati decisamente raggiunti. Tranne uno. Quello che ormai è diventato l’unico per cui valga la pena giocare: la Champions League.

Andrea Agnelli accanto allo zio Gianni nel 1996. Foto: Aldo Liverani via Wikimedia Commons.

Bilanci europei: due finali e nulla più

Per carità, ci sono squadre che non si affacciano in Europa da molto tempo, altre che non lo hanno mai fatto e altre che non lo faranno mai. La Juventus, per fortuna dei suoi tifosi, non si annovera tra queste. Da quando hanno rimesso piede in Europa, in quella con le grandi orecchie, le zebre torinesi hanno raggiunto la finale in due occasioni: nel 2014-2015, persa contro il Barcellona per 3-1; e nel 2016-2017, anche lì sconfitta per 4-1 ma dal Real Madrid.

Il “nulla più” a cui accennavo riguarda la scarsità di risultati ottenuti da quattro anni a questa parte. Nella mini girandola di cambi in panchina, tra Sarri e Pirlo, non sembra che la Torino bianconera sia riuscita a mostrare un calcio tanto efficace quanto quello messo in mostra da Conte (nel primo periodo Agnelli) e da Allegri (le due finali entrambe con lui in panchina).

Così come erano state tessute le lodi al presidente per essere riuscito a maturare i risultati sperati e prefissati al suo insediamento, si può così parlare di malagestione delle risorse in questi ultimi anni. Il discorso è da vedere in maniera ampia, sia chiaro, con il panorama europeo sullo sfondo.

In Italia la Juventus non ha avuto mai rivali realmente capaci fino a quest’anno, dove sembra ormai definitiva la vittoria dell’Inter. Una squadra, quest’ultima, costruita proprio da due artefici della rinascita juventina. Che sia questo un caso?

L’ultima scelta: la Super League

In queste scelte degli ultimi anni, definibili sbagliate, Agnelli non ha imparato molto, tanto che negli ultimi giorni è uscito allo scoperto con l’ultima, innovativa, visionaria decisione di dare vita, insieme ad altre dieci “super potenze” calcistiche, a qualcosa di surreale: la Super League.

Tanto era decisa la questione che il presidente bianconero, in qualche modo uno dei portacolori del nostro calcio in giro per l’Europa e per il mondo, dato il curriculum sportivo della sua squadra e dei giocatori che la rappresentano, si diceva pronto ad abbandonare la UEFA e la Serie A.

Questa sarebbe stata la conseguenza se la Juventus fosse andata fino in fondo. In questo momento si parla di “come sarebbe andata se”, dato che nell’arco di quarantotto ore è saltato ogni possibile accordo. Ma fa riflettere il fatto che, nel momento in cui è venuto a conoscenza di uno scenario di questo genere, Agnelli si diceva pronto a contromisure per realizzare l’obiettivo senza uscire dalla lega nazionale.

Nel momento in cui il presidente juventino si è dimesso dall’ECA (European Club Association), è partito il trambusto. A quanto dicono le varie testate europee, Ceferin ha provato a contattare il patron bianconero senza avere risposta, e intanto a grappolo uscivano notizie sulle altre squadre invischiate in questo simil-golpe europeo.

Come detto, è stato solo un fuoco di paglia, dal quale però la Juventus si è ritirata più per costrizione che per reale volere. Lasciatemi passare il gioco di parole, ma anziché da leone, con i suoi discorsi e le sue motivazioni secondo lui necessarie affinché la Super League si creasse, il presidente del club torinese ha fatto una figura da agnello sacrificale, forse senza rendersi effettivamente conto delle conseguenze di questa ondata di anarchia.

Leggi anche: Con la Super League muore il calcio. O forse no.

E ora?

Nelle ultime ore se ne sono sentite tante: dimissioni, multe, retrocessioni. E da qui in avanti molte altre idee verranno in mente ai più creativi cacciatori di notizie e di giustizia.

Probabilmente, così come la storia della “lega per ricchi”, anche le indiscrezioni riguardanti una possibile sanzione scivoleranno presto nella sabbia del tempo. Nella quale però resterà sepolta, ancora una volta, una pagina meschina di calcio, che stava per diventare indelebile nel grande e fin troppo colmo libro della vergogna.

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