“Elbrus”: il futuro apocalittico del pianeta Terra
Elbrus è un romanzo di fantascienza scritto da Giuseppe Di Clemente e Marco Capocasa per Armando Curcio Editore. È stato pubblicato a settembre 2020, ma la sua genesi è stata lunga e ha affrontato diverse fasi.
theWise ha incontrato Marco Capocasa per ripercorrere la nascita, i temi e lo sviluppo narrativo di un romanzo apocalittico, in grado di mescolare scienza e fantasia.
La trama e gli autori di Elbrus
Siamo tra il 2113 e il 2155, tra Tallinn e il monte Elbrus, in un futuro che preannuncia la catastrofe. La Terra sta diventando un pianeta invivibile a causa degli insediamenti umani. L’aria è irrespirabile e il progresso tecnologico sembra aver raggiunto i propri limiti. A causa del riscaldamento globale, le migrazioni verso l’emisfero boreale sono incrementate a dismisura; nel frattempo l’EASA, l’agenzia spaziale dell’Europa e dell’Asia, crede di avere la possibilità di salvare l’umanità creando colonie su altri pianeti e sfruttando la genetica di civiltà aliene.
Un narratore esterno e onnisciente guida il lettore lungo le vicende di uomini in grado di percepire realtà estranee alla patria terrestre. Inizialmente un famoso stilista, un giornalista in disgrazia e un esperto di videogame sembrano non avere nulla in comune con un professore genetista. Ma tutto cambia quando una nave proveniente dal pianeta [Rhet] raggiunge l’orbita terrestre.
La trama acquisisce un’accelerazione nel momento in cui l’EASA scopre la possibilità di studiare la biologia aliena e di sfruttarla a vantaggio dell’umanità.
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I due autori hanno alle loro spalle formazioni completamente differenti e quindi trovano in Elbrus la possibilità di confrontarsi e creare un romanzo sci-fi che prenda le mosse da basi scientifiche reali.
Giuseppe Di Clemente, laureato in Economia e appassionato di astronomia, è già autore del romanzo di fantascienza Oltre il domani, mentre Marco Capocasa è antropologo molecolare e ha pubblicato testi di divulgazione scientifica quali Intervista impossibile al DNA. Storie di scienza e umanità e Italiani. Come il DNA ci aiuta a capire chi siamo.
Elbrus rappresenta il suo esordio come romanziere.
Abbiamo intervistato dunque il dottor Capocasa per approfondire la trama e i temi che fungono da substrato per lo sviluppo della narrazione.
Cosa ha ispirato la nascita del romanzo Elbrus?
«Tutto è nato dopo l’esperienza del precedente romanzo di Giuseppe, Oltre il domani. Abbiamo avuto modo di confrontarci sia in merito al suo progetto, sia in merito alle nostre idee sull’attualità. Discutendo tra noi è nata la possibilità di creare insieme qualcosa di nuovo e così è iniziata la nostra collaborazione per realizzare un racconto breve sci-fi.
Questo era il nostro progetto iniziale: basarci su studi e dati prettamente scientifici per costruire un racconto completamente fantascientifico, senza alcuna pretesa di dare predizioni sul futuro della Terra.
Tuttavia man mano che l’intreccio andava delineandosi ci siamo resi conto che un racconto breve non sarebbe stato in grado di contenere tutto quello che avremmo voluto costruire. Dalla bozza era evidente che dovevamo volgerci al genere del romanzo per poter dare spazio a tutti i personaggi».
Come siete riusciti a conciliare l’anima di ricercatore e lo spirito del narratore?
«Da ricercatore e divulgatore scientifico ho scelto di mettere a servizio del romanzo il mio bagaglio culturale in materia. Così la scienza è diventata un pretesto per costruire una verosimile trama fantascientifica. Dall’altro lato Giuseppe è un narratore e dunque non è stato difficile conciliare i nostri punti di vista.
Ci confrontavamo continuamente e siamo giunti ad adottare un vero e proprio sistema per sovrapporre e amalgamare uniformemente i nostri stili. L’obiettivo, chiaramente, era quello di far emergere un’unica voce, alimentata dalle nostre esperienze. Dunque il testo ha visto un rimodellamento continuo, fino alla stesura finale».
Che rapporto sussiste tra la narrazione e i rischi del riscaldamento globale?
«Per quanto il riscaldamento globale sia un tema di fondo presente in tutto il romanzo, la trama non si lega a questa tematica. Piuttosto abbiamo analizzato diversi studi di climatologia, pubblicati da riviste scientifiche internazionali, per estrapolare lo scenario più pericoloso e rappresentare in Elbrus un futuro apocalittico.
La letteratura scientifica arriva a predire un aumento della temperatura del globo terrestre fino 1,5 °C nel 2050, ma certamente questa non rappresenta l’opzione più probabile. Anzi, essendo uno degli scenari peggiori, mi auguro possa non avverarsi.
Inoltre vorrei sottolineare che il saggio è per Elbrus solo una fonte di ispirazione, ma null’altro deve a questo genere. Il nostro è un lavoro puramente narrativo e di fantasia».
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Può parlarci dell’ideazione del pianeta [Rhet] e dei suoi abitanti?
«Sentir pronunciare il nome del pianeta alieno da qualcuno che non ha preso parte alla genesi del romanzo fa sempre un certo effetto, come se fosse reale.
Mi fa pensare al lungo processo che ha richiesto lo studio e la realizzazione di un sistema altro da quello terrestre. I [Driihh] [una popolazione del pianeta alieno [Rhet], N. d. R.] sono stati pensati come una società autentica e completa, con un loro codice di comportamento, ma soprattutto con un loro linguaggio e un modo particolare di comunicare tra loro. Abbiamo ideato anche un alfabeto alieno e alcune parole costituiscono una piccola guida, consultabile all’inizio del libro.
La lingua è espressione fondamentale di un popolo. Dunque creando un vocabolario del tutto nuovo, basato su simboli diversi dalle lettere, abbiamo voluto evidenziare la distanza tra l’uomo e la civiltà aliena. Volevamo che il lettore potesse percepire gli individui di [Rhet] come parte di una comunità altra rispetto alla propria. Inizialmente non erano state neanche inserite le pronunce di nomi ed espressioni aliene, poi sono state aggiunte per poter dare una codifica dei termini.
Un altro aspetto che abbiamo curato con attenzione è stata la comunicazione tra gli alieni. I [Driihh] hanno la possibilità di parlare tra loro percependosi l’un l’altro attraverso l’entità di [Frehm], un pensiero comunitario che ha a che fare tanto con l’empatia quanto con la telepatia. Non è umanamente possibile spiegare di cosa si tratti esattamente. Ma il fatto che non abbia spiegazione non vuol dire che non possa essere raccontato».
È possibile attribuire alle figure femminili un ruolo chiave?
«Questo è stato un elemento cardine in tutta la genesi del romanzo. I personaggi femminili, con la loro presenza e il loro intervento, definiscono le fasi stesse della narrazione. Le loro azioni si ritrovano nei momenti di svolta e fungono da cardine per lo svolgimento della trama e la risoluzione dell’intreccio.
In particolare abbiamo voluto dare forte espressione al ruolo della madre; si evince maggiormente nella storia dello stilista Andrus, così come nel rapporto empatico dei [Driihh].
La presenza femminile apre e chiude il cerchio del romanzo, guidando i protagonisti nelle loro vicende».
A chi è rivolto Elbrus? A quale futuro è destinato il romanzo?
«Verrebbe naturale pensare che il romanzo sia destinato agli appassionati del genere. Ma non è mai stato così, fin dall’ideazione del soggetto. Sia io che Giuseppe speriamo che il nostro progetto possa accogliere un pubblico molto più vasto, grazie all’unione di elementi fantascientifici e del substrato scientifico. Il nostro intento è proprio coinvolgere anche tipologie di lettore diverse dal fan del settore sci-fi.
Al momento stiamo lavorando a un nuovo romanzo, che orbita nella stessa ambientazione di Elbrus, tuttavia il progetto è ancora in nuce e non posso rivelare altro».
Ringraziamo Valentina Calissano e la redazione del Wise Magazine per l’intervista e per lo spazio dedicato al nostro Elbrus. Per chi fosse interessato a scambiare opinioni con noi sul romanzo, possiamo farlo qui oppure sulle pagine Fb, Goodreads e Medium che abbiamo dedicato al libro.