Pechino sta vincendo la sua battaglia contro la democrazia
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Pechino contro la diversità di Hong Kong
Il pacchetto normativo e le sue dirette applicazioni
Cosa sancisce nel dettaglio questa contestata legge? Si tratta di una norma volta a prevedere ed eventualmente punire i reati di secessione, sovversione, organizzazione e perpetrazione di attività terroristiche. L’intento di Pechino è chiaramente quello di debilitare le forze del movimento pro-democrazia che ha ancora oggi molta forza a Hong Kong. Il messaggio del governo cinese è anche rivolto all’esterno, dato che anche la sospetta collaborazione con potenze o enti esterni alla Cina rientrano nelle “minacce alla sicurezza nazionale”. L’elemento più forte di questo nuovo quadro normativo è quella che appare un’importante limitazione al diritto di espressione della propria idea. Difatti qualsiasi slogan, canto o esibizioni di bandiere che incitino alla secessione saranno considerate crimini.
Chi giudica caso per caso l’applicazione di queste nuove normative? La “clegge diommissione per la tutela della sicurezza nazionale“. Questa struttura giuridica è diretta dal capo del governo locale, ma ha al suo interno un emissario direttamente scelto da Pechino. Le forze di polizia locali saranno in diretto contatto con la commissione, che monitorerà tutte le investigazioni che rientrino in questo specifico quadro. Il controllo di Pechino è poi esemplificato dall’articolo 48: la creazione di un ufficio per la tutela della sicurezza nazionale. Questo organo sarà sottoposto alla direzione del governo centrale, e i suoi componenti saranno scelti dal Partito stesso. Quest’ultimo sarà poi in costante contatto con la commissione appena creata e con le forze di polizia della regione di HKSAR.
Possibili effetti geopolitici interni alla Cina
Sicuramente l’effetto endogeno più evidente è la minaccia al quadro politico “un Paese, due sistemi”. Questa particolare definizione descrive la dimensione autonoma che ha sempre contraddistinto Hong Kong. Lo status di regione a statuto speciale gli viene garantita dalla costituzione sottoscritta al momento della fine del protettorato inglese. Questo però non è il primo tentativo di Pechino di penetrare nella regione speciale. Nel 2014 vi fu il tentativo di riforma elettorale, con una proposta di suffragio universale, che ebbe come conseguenza la rivoluzione degli ombrelli. Altro esempio, recentissimo, fu il tentativo lo scorso anno di emendare la legge sull’estradizione, fallito anche questo e trascinatosi dietro mesi di scontri nella città di Hong Kong.
Anche nel caso attuale, le proteste nella città non si sono fatte attendere. Nella giornata del 1 luglio, giorno stesso dell’entrata in vigore della legge, la polizia ha fermato almeno trecento dimostranti, arrivando alla sera con 370 arresti stimati. Lo stesso giorno era in programma l’annuale marcia del 1 luglio, in rimostranza al governo di Pechino, che però è stata puntualmente annullata dalla polizia locale. Un elemento che preoccupa i giuristi di Hong Kong sono proprio i nuovi ed estesi poteri messi nelle mani della polizia. Un maggiore controllo sulla popolazione e una severità massima sugli arresti, e le conseguenti pene, potrebbero portare a un caos che minaccerebbe il benessere economico della città.
Una “sicurezza nazionale” usata come pretesto
L’altro elemento di preoccupazione è strettamente collegato all’economia. Originariamente il piano di Pechino prevedeva di mantenere Hong Kong indipendente fino al 2047. In questa data vi sarebbe stata il riassorbimento della città nel sistema cinese, che nel frattempo avrebbe continuato a godere dell’appeal economico mondiale di cui gode la regione di HKSAR. Come mai questa inversione di rotta improvvisa? Appare evidente che, leggendo tra le righe di questa legge, si possa intravedere un chiaro intento di controllo del Partito sul movimento pro-democrazia. Già dietro il tentativo di emendamento, nel 2019, vi era l’obiettivo di impedire che i dissidenti politici si rifugiassero ad Hong Kong, dove appunto non vigeva l’obbligo di estradizione nella Cina continentale. Tutt’oggi questa legge approvata da un colpo forte all’opposizione politica, con l’immediato effetto dello scioglimento di Demosistō. Successivamente all’approvazione della legge, il più noto movimento pro-democrazia ha annunciato il suo scioglimento, date le dimissioni dei quattro fondatori.
Effetti esterni: le tensioni con USA, Regno Unito e Taiwan
Chiaramente anche al di fuori della dimensione cinese la legge non è passata in osservata. La prima a reagire è stata l’Inghilterra, per la storia coloniale con Hong Kong. Londra ha difatti affermato che aiuterà a partire tutti i cittadini di Hong Kong, in possesso di status di “britannico oltremare”, agevolando la politica dei visti. Pechino non ha appreso di buon grado questa scelta, annunciando che prenderà “misure adeguate” nei confronti di Londra qualora andasse avanti con questa sua politica.
Immancabile la reazione di Washington, che ha prontamente annunciato future sanzioni nei confronti di qualsiasi istituto finanziario in futuro porti avanti affari economici con Pechino, in riferimento alla legge sulla sicurezza nazionale. Sono inoltre arrivate parole di disappunto direttamente da un esponente dell’amministrazione Trump, il Segretario di Stato Mike Pompeo:
Oggi è un giorno triste per Hong Kong e per le persone che amano la libertà in tutta la Cina. Hong Kong ha dimostrato al mondo cosa potrebbe ottenere il popolo cinese libero, divenendo una delle economie e delle società più vitali al mondo. Ma la paranoia di Pechino e la sua paura delle aspirazioni del suo stesso popolo, l’ha portata a distruggere le fondamenta stesse del successo del territorio, trasformando “un Paese, due sistemi” in “un Paese, un sistema”.
Geograficamente più prossima alla Cina, anche Taiwan ha manifestato il suo disappunto. Essendo anche Taipei sotto legislazione speciale, ha offerto solidarietà a Hong Kong, promettendo asilo politico a chiunque fugga dalla città colpita da questa legge. Dure ed esplicite le “minacce” di Pechino nei confronti dell’isola speciale, a sottolineare la linea di ferro che vuole mantenere il Partito.
Il mondo testimone di un atto anti-democratico
Quale sarà il destino di Hong Kong? Sicuramente la regione da sola non potrà difendere la sua anima democratica, ma l’intero globo è testimone di una minaccia alla democrazia stessa. Proprio riguardo questo, è arrivato il tweet di Joshua Wong, uno dei leader del movimento pro-democrazia di Hong Kong:
6/ What we strive to work on now is that if our voice cannot be heard soon, we still hope that the world could speak louder and to defend democracy with more concrete and forceful efforts.
— Joshua Wong 黃之鋒 😷 (@joshuawongcf) July 2, 2020
Le stesse speranze vengono nutrite da Nathan Law, leader della rivoluzione del 2014, il quale ha lasciato Hong Kong immediatamente. La scelta è stata consequenziale all’inizio di arresti e denunce a tappeto sugli attivisti della città, tra cui una ragazza di 15 anni che rischia l’ergastolo. L’Occidente è dunque a un bivio: essere complice silente di Pechino o intervenire con fervore su quella che è una violazione dei diritti umani di milioni di persone. Se la storia di George Floyd ha veramente scosso le coscienze del globo intero, allora sarà impossibile non animarsi a combattere un altro esempio di “non umanità”.