Gli ultimi, esausti, anni di Macron
La popolarità di Macron diminuisce da anni e tocca oggi i minimi storici, come dimostrato dalle elezioni comunali del 28 giugno. La République En Marche vince in una sola città tra le più grandi, ovvero Le Havre. Vittoria che però è riconducibile al candidato sindaco Édouard Philippe, che fino alla scorsa settimana ha mantenuto il ruolo di primo ministro, prima di dimettersi. La crescita sbalorditiva del partito dei Verdi, le proteste frequenti, le accuse di aver nominato un primo ministro fantoccio: Emmanuel Macron sta vivendo l’apice della crisi della sua presidenza, ancora lontano dalla fine del mandato nel 2022.
La grande campagna elettorale
La campagna elettorale di Macron nel 2017 è stata oggetto di studio e considerata un degno erede dell’iconica campagna Obama del 2008. Le tappe dei comizi, i temi sociali più caldi e perfino il lato estetico del movimento di En Marche sono stati concepiti con una mentalità tipica del mondo del marketing, ma reindirizzata sulla sfera politica. La campagna di Emmanuel Macron si focalizzò sull’analisi delle richieste e dei problemi dei francesi per trasformare il candidato di un partito nuovo, apparentemente insignificante, nel candidato perfetto per la Francia.
Un elemento fondamentale dell’identità di Macron è la sua presenza innovativa, distinta dai partiti tradizionali francesi, come i sempre meno popolari conservatori e socialisti. Emmanuel Macron si è sempre detto diverso dall’establishment e quindi un vero rappresentante dei francesi, non un politico come gli altri. Un uomo nuovo, giovane, carismatico, che sa parlare e ascoltare i francesi: così En Marche ha puntato agli insoddisfatti e ai disinteressati, ma non solo. Il partito ha assorbito ogni classe sociale, grazie a un sistema basato su volontari e messaggi specifici indirizzati a determinati elettori. Tutti i francesi erano chiamati a marciare, ma pochi sono rimasti oltre i risultati delle presidenziali.
«Ça va, Manu?»
Emmanuel Macron si è presto reso conto che la sua vittoria alle presidenziali e le sue promesse durante la campagna elettorale non gli avrebbero garantito il supporto incondizionato dei francesi. Al contrario, il presidente ha presto realizzato che per garantirsi il supporto di tutti i francesi si sarebbe dovuto impegnare per mantenere quell’immagine di alternativa alla politica francese tradizionale. Ciò non è accaduto. I francesi hanno presto imparato a detestare il loro giovane presidente e a dare per scontato che sarebbe stato un presidente da un solo termine, esattamente come fu per François Hollande (a causa dello scandalo sulla sua relazione sentimentale segreta).
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L’impopolarità di Macron ha due prospettive: quella che verte sull’immagine del presidente e quella sulle sue scelte politiche. Innanzitutto Emmanuel Macron è apparso, fin dalla sua campagna elettorale, come un uomo sicuro di sé ma al punto d’apparire arrogante. Un video che lo riprendeva tra la folla durante le celebrazioni del 18 giugno nel 2018 è diventato virale perché si sentiva il presidente rimproverare duramente un giovane che lo aveva chiamato con il nomignolo “Manu”. «Rivolgiti a me come signor presidente, oppure signore», ha detto Macron al ragazzo, e: «Tu sei a una cerimonia ufficiale e ti devi comportare come si deve. Puoi fare l’imbecille, ma oggi è la giornata de La Marsigliese, del canto dei partigiani».
Le origini e l’istruzione di Emmanuel Macron sono spesso associate al carattere e all’ego del presidente. Di famiglia benestante, ha frequentato alcune tra le scuole più elitarie e facoltose della Francia: il liceo Henry IV, l’Istituto di studi politici di Parigi e l’École Nationale d’Administration (ENA). Ha poi lavorato presso la banca Rothschild & Co prima di avvicinarsi alle istituzioni francesi. È quindi cambiata radicalmente l’opinione che la Francia aveva sul proprio nuovo presidente. Da quel che poteva essere il viso del cambiamento alla solita élite politica ma con una verniciatura fresca.
Il presidente dei ricchi
Il presidente Macron è stato ribattezzato come “il presidente dei ricchi” a causa di alcune proposte di legge, molto discusse e che hanno talvolta riversato la popolazione nelle piazze. Nonostante i dati dell’economia francese siano risultati promettenti e in crescita fino all’avvento del Covid-19, le proposte di Emmanuel Macron hanno ricevuto moltissime critiche per l’effetto sulle classi meno abbienti. Un esempio iconico è quello della tassa sulla benzina. Nonostante l’ecotassa di Macron sembrerebbe su carta una proposta apprezzabile dai francesi, gli stessi che hanno fatto stravincere i Verdi alle ultime elezioni comunali, si parla della stessa imposta che ha scatenato le proteste dei gilet jaunes, i gilet gialli.
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Le manifestazioni di dissenso sono state numerose e hanno portato il presidente francese a interrompere la proposta della carbon tax. Una situazione simile, se non identica, è stata quella che ha portato i francesi a protestare la nuova riforma delle pensioni, che ha portato al più lungo sciopero degli ultimi cinquant’anni in Francia. I motivi complessi dell’opposizione alle riforme del presidente possono essere spiegati semplicemente. Sia la riforma delle pensioni che la tassa sulla benzina non hanno tenuto conto delle conseguenze che avrebbero subito nell’immediato le classi più povere. Chi abita nella periferia parigina e guida ogni giorno per andare a lavoro soffre molto di più la carbon tax rispetto a coloro che possono permettersi di vivere ovunque. Ai francesi sembra quasi che le politiche di Macron ignorino i francesi stessi.
Elezioni comunali 2020: Verdi trionfano, En Marche sprofonda
Il 28 giugno in Francia migliaia di comuni sono stati richiamati al voto per il secondo turno delle comunali. Il palese vincitore di questa tornata elettorale è il partito EELV (Europe Écologie Les Verts), ovvero il partita ecologista-europeista francese, che ha vinto nella maggior parte delle grandi città come Marsiglia, Lione e Strasburgo. Parigi ha rieletto la propria sindaca, Anne Hidalgo, dei socialisti. En Marche ha vinto solo Le Havre tra le grandi città; questo grazie al primo ministro e già sindaco di Le Havre, Edouard Philippe. Philippe si è inoltre dimesso dalla carica di primo ministro, cosa che ha portato a un rimpasto di governo molto criticato.
Innanzitutto Macron ha sostituito Philippe con un nuovo primo ministro sconosciuto ai più: Jean Castex. Castex non ha mai effettivamente “fatto politica” a livello nazionale (è appena stato eletto in un comune di seimila abitanti nel sud della Francia) ed è stato finora solamente un funzionario amministrativo di alto livello per il governo francese. Édouard Philippe aveva saputo dimostrarsi un contrappeso legittimo alla figura del presidente. La sua sostituzione con un personaggio così anonimo potrebbe significare il desiderio di Macron di non voler avere problemi con il governo per questi ultimi due anni. Desiderio ulteriormente provato dal rimpasto di governo che è seguito.
In totale i nuovi ministri sono undici su sedici totali. Tra i ministri rimasti dalla scorsa composizione di governo troviamo anche la figura controversa di Gérald Darmanin. Darmanin è accusato di stupro e la Corte d’Appello di Parigi ha recentemente riaperto le indagini. Il rimpasto di governo sarebbe potuto essere l’occasione per liberarsi di un ministro così scomodo alla figura dell’esecutivo. Evidentemente però Macron non la pensa in questo modo e si è limitato a riposizionare Darmanin dal Ministero dei Conti Pubblici a quello dell’Interno.
Una guerra per non essere dimenticati
Molti giornali e opinionisti pensano che l’immagine di Macron non si risolleverà prima delle prossime presidenziali francesi. Altrettanti pensano che, se non fosse stato per i numerosi scandali dei partiti tradizionali francesi e il desiderio di contenere l’ex Front National di Marine Le Pen, probabilmente Emmanuel Macron non sarebbe mai stato in grado di diventare presidente, o almeno non così presto. Eppure questa vittoria così prematura potrebbe aver condizionato per sempre la carriera politica di Macron.
È improbabile, o perlomeno difficile, che Emmanuel Macron scompaia dalla politica francese. Eppure, non è certo di quanto tempo o di quale mossa ci sia bisogno prima che possa tornare a coprire l’incarico di presidente. Questi ultimi due anni di presidenza sono fondamentali, perché determineranno i ricordi più freschi nella mente dei francesi di questi cinque anni in carica. Se Macron gestirà il prossimo futuro con la stessa foga confusionaria con cui si è rivolto alla nazione lo scorso aprile, quando il Covid-19 ormai era un’emergenza in Francia, allora non è probabile rivederlo all’Eliseo. «È una guerra! È una guerra!», un discorso che non ha impressionato i francesi e che di certo non lo aiuterà a essere ricordato.