Svegliarsi dentro lo smartphone
E sono sempre più le persone a rendersi conto di come spesso lo smartphone sia il primo pensiero appena svegli, prima ancora di prendere completa coscienza di sé.
Fra tutte le statistiche disponibili sull’utilizzo degli smartphone, non sono ancora disponibili quelle che quantificano l’uso del telefono a letto dopo il suono della sveglia, né le sensazioni e conseguenze di cui ogni soggetto risente durante la giornata. Basta però chiedere – se non vedere coi nostri occhi – al proprio partner, ai nostri amici e familiari come l’accesso a internet molte volte sia un riflesso incondizionato e percepito come negativo (ma inevitabile) dell’inizio delle nostre giornate. Non si posseggono nemmeno dati su quanti utilizzino la sveglia del proprio telefonino per alzarsi la mattina, ma è facile osservare come siano la maggioranza delle persone, specialmente più giovani. E proprio per questo sono sempre di più coloro (compreso chi scrive quest’articolo) che cercano di evitare o minimizzare l’uso del telefono a letto, magari spegnendo Wi-Fi e connessione dati, oppure tornando alle vecchie sveglie analogiche, oppure ancora usando come sveglia cellulari di vecchia generazione che non consentono l’accesso a internet.
Soprattutto per chi lavora il risveglio digitale diventa fonte di stress, specie se una delle prime azioni su internet diventa quella di controllare la posta elettronica per eventuali mail, provocando una separazione sempre meno netta tra vita privata e vita lavorativa, sin dai primi attimi della quotidianità (per una riflessione più elaborata e dettagliata su come la tecnologia abbia cambiato la percezione soggettiva dei lavoratori e del tempo libero rimando al libro Cronofagia di Davide Mazzocco).
Per chi invece non lavora o semplicemente è di riposo, l’utilizzo dello smartphone a letto diventa un motivo di procrastinazione e indolenza dal completo risveglio: secondo l’ultimo rapporto di IDC Research il tempo di connessione medio a internet tramite smartphone è di 87 minuti dal Lunedì al Giovedì, contro i 160 dal Venerdì alla Domenica (a riprova di come utilizziamo ancor di più il nostro telefono nel nostro teorico tempo libero).
Senza scomodare il fenomeno sempre più attuale degli hikikomori, cominciare il proprio giorno con il telefono a letto, spesso per scrollare il feed dei social network, chattare o giocare online (con le app per smartphone che, pur non sfiorando le prestazioni di gaming delle console, stanno conquistando un mercato sempre più ampi) sono una barriera spesso insormontabile per chi già in maniera pregressa soffre di depressione o di disturbi dell’umore, che già pregiudicano e ostacolano la volontà di mettere i piede fuori dal letto. E molte volte è proprio la realtà virtuale a influenzare ed accentuare il manifestarsi di stati depressivi e di ansia.
Il 26% degli intervistati utilizza lo smartphone per più di 7 ore al giorni, per 4-5 ore nel 29% dei casi (Counterpoint Research)
Secondo un sondaggio condotto nel 2008 dall’ente di ricerca britannico YouGov per conto di Post Office Telecom, su un campione di 2.163 persone, più di sei ragazzi su dieci tra i 18 e i 29 anni vanno a letto in compagnia del telefono e oltre la metà degli utenti di telefonia mobile (quasi il 53%) tende a manifestare stati d’ansia quando rimane a corto di batteria o di credito, o senza copertura di rete oppure senza il cellulare.
Il 21% degli intervistati si sveglia assiduamente durante la notte per controllare nuovi messaggi o notizie dai media. Proprio la ricerca di YouGov ha dato un nome alla sindrome di dipendenza da cellulare, la nomofobia (composto dal prefisso anglosassone abbreviato no-mobile e dal suffisso fobia e si riferisce alla paura di rimanere fuori dal contatto di rete mobile); in chi ne soffre molte volte si instaura la sensazione di perdersi qualche cosa se non si controlla costantemente il cellulare e il rischio è che si inneschi un meccanismo di dipendenza, del tutto analogo a una tossicodipendenza.
In Italia due studiosi dell’Università di Genova, Del Puente e Bragazzi, avevano proposto di inserire la nomofobia nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-V), recentemente revisionato. Essa sarebbe caratterizzata da ansia, disagio, nervosismo e angoscia causati da essere fuori dal contatto con un telefono cellulare o un computer e verrebbe utilizzata come un guscio protettivo o uno scudo e come mezzo per evitare la comunicazione sociale.
Secondo un’indagine del Samsung Trend Radar il 68% degli intervistati pensa di essere vittima del fenomeno del FOMO (Fear of Missing Out), la paura di essere tagliati fuori perché non connessi al telefonino), mentre quando viene chiesto loro se condividono la filosofia del JOMO (Joy of Missing Out), il trend che promuove il disconnettersi da tutto e da tutti per un breve periodo di tempo) il 55% manifesta di non essere d’accordo con questa filosofia e afferma di non staccarsi mai dal proprio dispositivo.
In una ricerca di Recovery Data su 16 paesi europei l’Italia è ultima per percentuale di persone che accedono a internet tramite uno smartphone, ma prima per il tempo di utilizzo medio (2 ore), mentre la Finlandia che è prima per diffusione di cellulari con connessione internet ha la popolazione che in media che vi accede per meno tempo (1 ora e 15 minuti al giorno).
La nomofobia è un fenomeno recente e ancora poco studiato. La demonizzazione di internet e dei dispositivi elettronici non aiuterà a capirne le soluzioni, quanto invece la consapevolezza delle nostre abitudini e del perché scegliamo di passare una fetta sempre più ampia del nostro tempo fuori dal mondo reale
Un utilizzo intelligente dei nostri smartphone può assolvere a diverse funzioni che sicuramente migliorano la nostra vita rispetto al passato: la possibilità di comunicare a distanza, di gestire la nostra solitudine, di accedere a quantità di informazioni senza precedenti. Dipingerlo come la causa di tutti mali oltre a essere sbagliato, non aiuta a capire la radice dei problemi che derivano da un suo uso eccessivo.
Bisogna però comprendere che esso può essere pericoloso nei già citati casi di preesistenti disagi relazionali e in tutti noi quando cerchiamo di canalizzare nello smartphone la nostra attenzione in periodi difficili, affettivi o lavorativi che siano. L’abuso tipico della nomofobia, è lo stesso meccanismo per il quale molti si rifugiano nell’alcol, nelle droghe o nel gioco d’azzardo, chiudendosi in se stessi e proiettando tutte le proprie energie verso mezzi che ci fanno perdere di vista l’eterogeneità e la varietà della nostra vita.
Piuttosto che decidere di punto in bianco di abbondare lo smartphone, dobbiamo cercare di imparare ad avere un rapporto più equilibrato con esso, soprattutto per noi stessi e per il nostro benessere. Quasi nessuno prova piacere a perdere due ore della propria mattinata – specie se questa diventa un’abitudine – a riaggiornare compulsivamente i social network o siti d’informazione, nella speranza (che noi stessi consciamente sappiamo infondata in partenza) che arrivi all’improvviso quell’evento che ci spinga a cominciare la nostra giornata.
Non crocifiggiamoci se ci capita ogni tanto di procrastinare e stare pigramente col telefono sul letto, ma se questo comincia a pesarci cerchiamo di trovare i motivi per cui smettere; abbiamo tante cose meravigliose a cui pensare al risveglio al posto del nostro iPhone o Huawei. E se non le troviamo, creaimole.