Sememeotica, parte nona: il mematore come opinion leader
Gli articoli precedenti:
– Parte prima: la rivoluzione Internet
– Parte seconda: l’epidemia social
– Parte terza: il meme, linguaggio della Rete
– Parte quarta: il Meme Politico
– Parte quinta: l’Alt-Right e la politica online
– Parte sesta: il fenomeno Gamergate
– Parte settima: Pepe the Frog è morto, viva Pepe!
– Parte ottava: l’opinione pubblica online
Come Lazarsfeld, Berelson e la Gaudet insegnano, non esiste l’opinione pubblica moderna senza degli opinion leader. Questi aiutano i membri del loro gruppo sociale a formarsi idee e pensieri sulle grandi questioni di attualità che passano nei media.
Alcuni di essi possono svolgere delle particolari funzioni o assumere delle peculiarità loro proprie in base al tipo di opinione pubblica stessa. Ecco quindi che ci troviamo circondati da vignettisti satirici, editorialisti di pregio, pubblicitari particolarmente spiritosi, conduttori televisivi e blogger di successo.
Riprendendo la classificazione dei vari tipi di opinione pubblica fatta nell’articolo precedente, possiamo identificare in particolare dei tipi sociali a cui essi fanno riferimento e su cui si impernia la formazione delle idee nel rispettivo gruppo.
La normalità degli opinion leader dell’Opinione Pubblica di Massa
Nell’Opinione Pubblica di Massa, i membri preminenti sono blogger o influencers dediti alla condivisione di informazioni provenienti da fonti dubbie. Ecco quindi che la rete si riempie in poco tempo di articoli sulle scie chimiche, sull’omeopatia come vero metodo funzionante contro qualsiasi malattia e sull’«arcobanelismo dei diritti del libero consumatore desiderante e cosmopolita».
In quanto esponenti del “popolo della rete”, però, includono anche quelle persone solitamente categorizzate come normie. Questi sono utenti in grado di manipolare, del vasto codice memico, solo il format delle immagini macro; o, ancora, sono quei gestori di pagine talmente dediti a sfruttare il tormentone del momento da accelerarne la decadenza verso la fase di normieing. Tutto questo basandosi esclusivamente sulle informazioni passate esclusivamente attraverso i canali di riferimento, conferendo ad esse ulteriore veridicità grazie all’uso di un codice linguistico facilmente riconoscibile ed esclusivamente riferito al Web.
L’Opinione Pubblica di Divulgazione: i nostri opinion leader di sempre
Parlando invece dell’Opinione Pubblica di Divulgazione, ci riferiamo a quella vasta schiera di persone facenti parte della macchina informativa di un Paese, a membri eminenti dello star system o anche arguti conduttori di programmi televisivi, vignettisti satirici e opinionisti dalla penna bollente.
Questi ultimi tre esponenti dell’Élite Mainstream in particolare stimolano le corde della riflessione pubblica con un’ironia dalla narrativa standard ma che prende a oggetto fatti e informazioni passate attraverso qualsiasi canale comunicativo, toccando quindi il mondo a trecentosessanta gradi.
Il mematore, fulcro dell’Opinione Pubblica 2.0
Arrivando infine all’Opinione Pubblica 2.0, è chiaro che ogni meme deve avere una qualche sorta di autore che si occupi di selezionare le informazioni – provenienti da qualsiasi canale – e di decostruirle con l’ironia del codice memetico, destabilizzandone la struttura narrativa stessa con allegria e, a volte, un pizzico di cattiveria.
Raccontando così la questione, potrebbe sembrare che chiunque possa ricevere o autoattribuirsi l’etichetta di mematore semplicemente ritrattando i fatti in chiave ironica, ma il vero fine della decostruzione delle informaizoni è solo e unicamente legato alla produzione e propagazione di memini. L’informazione destabilizzata, infatti, entrerà poi a far parte del codice comunicativo usato tra il mematore e il suo gruppo di riferimento, per poi essere ulteriormente decostruita con le schiere di sub-memes create dagli utenti.
In ultima istanza, possiamo dire che la stima di cui il mematore gode è proporzionale alla fedeltà con cui egli si dedica alla preservazione e crescita del codice memetico, sostituendo gli eventuali memes morti o caduti nella rete dei normies con fenomeni freschi e dall’alto potenziale ironico. In una parola: dank.
Chi è il mematore?
Ma chi sono questi gatekeepers dell’Opinione Pubblica 2.0? Qual è il loro background psicologico, politico e culturale? Essi sono perlopiù giovani ragazzi attorno cui, tramite pagine Facebook, blog di Tumblr o thread nei vari chan, si radunano vasti numeri di utenti impegnati a suggerire, modificare e far propagare queste unità minime in nome dell’ironia e dei lulz.
Al giorno d’oggi essere memer è un vanto, un titolo da sfoggiare con orgoglio più delle araldiche della propria famiglia, un’attività tanto totalizzante da essere addirittura considerata un vero e proprio lavoro. Tanto che, ironicamente, si comincia in certe pagine a parlare di “reddito per i memers”, parafrasando il blasonato reddito di cittadinanza di fattura grillina.
L’attività tipo di un mematore
Nello spiegare quali siano le vere ragioni che animano un mematore a contribuire alla crescita del codice della rete, partiamo con il presupposto che non si sta parlando di un tipico giovinastro nullafacente e rincretinito dalla tecnologia. Per mandare avanti un codice comunicativo così ricco di references e inside jokes complessi ed articolati, servono persone capaci di capire quando una parte di tale codice rischia di morire e quali siano le nuove unità in grado di rimpiazzarla.
Pertanto, il mematore si unisce ad altre persone come lui in gruppi privatissimi di creators continuamente impegnati ad aggiornare il proprio database di meme e a tenersi informati sulle novità, a volte anche quelle più underground. Tracciano ogni nuova, singola unità entrante a far parte del codice e stabiliscono quale di esse sia degna di essere propagata tra di loro, prima di subire il processo di normieing e morire in pasto ai normaloni.
Alessandro Lolli descrive questo tipo di persone con una parola ben precisa e calzante, la quale, come meme, ha subìto una destabilizzazione tale da essere ormai veicolo di un universo ironico positivo: autistici.
L’autismo: base psicologica del mematore
autismo s. m. [dal ted. Autismus, der. del gr. αὐτός «stesso» (termine coniato dallo psichiatra svizz. E. Bleuler)]. – In psichiatria, la perdita del contatto con la realtà e la costruzione di una vita interiore propria, che alla realtà viene anteposta, come condizione propria della schizofrenia e di alcune manifestazioni psiconevrotiche.
A. infantile precoce, sindrome insorgente nei primi due anni di vita, che si manifesta con profondo distacco dall’ambiente (ma con intense reazioni emotive alle variazioni di questo), comportamenti motori ripetitivi e monotoni, indifferenza ai consueti vezzeggiamenti, linguaggio assente o comunque privo di valore comunicativo.
Da questa definizione preliminare, si capisce che i concetti chiave che fungono da collegamento tra l’autismo e la cultura del web siano “perdita di contatto con la realtà” e “comportamenti motori ripetitivi e monotoni”, ravvisabili nelle meccaniche caratteristiche dei meme. Una ripetizione tanto ossessiva e monotona di un fenomeno da far perdere a quest’ultimo quei pochi brandelli di associazioni logiche che lo tenevano legato alla sua controparte reale. Senza contare la sintomatologia degli autistici, i quali, pur manifestando concreti deficit relazionali e comunicativi, mostrano una memoria fuori dal comune e straordinarie capacità di calcolo.
È proprio per quest’ultimo motivo che il mematore più aficionado tende ad identificare la propria condizione intellettuale con l’autismo. Come dice Alessandro Lolli, i memers sono individui che si fissano sulle cose e non pensano ad altro. Sono gli unici che riescono a tenere conto dell’evoluzione dei meme, a rispondere adeguatamente con fenomeni più carichi di layers of irony e comprendere quanto il meme ha fatto il suo tempo, gettandolo in pasto ai normaloni e concentrandosi su fenomeni underground più ricchi di potenziale ironico.
La meccanica dei meme: una breve storia
Senza Internet non sarebbero potuti nascere i meme, ma senza Web 2.0 il mematore non avrebbe acquisito tutta l’importanza che community e media mainstream tendono ad attribuirgli.
Con il boom dei social media l’utente è diventato al contempo produttore e consumatore dei contenuti in Rete. Tale rivoluzione comunicativa e sociale accompagna la rivoluzione memetica della sottocultura online, trasformando il mematore da anonimo autore di immagini buffe a detentore di opere d’arte che arricchiscono il codice e ne ribadiscono la potenza. Ma il processo va raccontato con il giusto ordine.
I forum, culla del codice
In principio erano i forum, spazi fortemente gerarchici in cui gli utenti, rintracciabili attraverso un nickname, sottostavano alle rigide regole comportamentali stabilite dal Founder e dalla sua schiera di moderatori. Ogni thread aperto doveva rifarsi alle regole di partenza della board ospitante e caricare delle immagini al suo interno era un processo reso lento e complicato dai limiti della connessione a 56 kbps.
4chan: il meme nel mondo
Certo, ovviamente dobbiamo dare ai forum il giusto riconoscimento come prima e vera patria dei meme, ma il vero boom, interno alla sottocultura, di queste unità comunicative va sicuramente attribuito a 4chan, proprio in quanto image-board.
L’utente opener (detto OP) è obbligato, infatti, a caricare un’immagine nel forum per aprire un nuovo thread, rendendo questa il fulcro della conversazione. Viene accantonata quindi la logica dell’identità e la persona dell’utente viene decostruita attraverso una forma di anonimato radicale, come lo chiama Lolli, in cui nulla identifica la persona dietro lo schermo, a parte un codice temporaneo riferito alla connnessione.
Ciò rende, in ultima istanza, l’appropriazione autoriale del meme strutturalmente impossibile, facilitandone la diffusione capillare attraverso non solo l’imageboard ma anche altri siti e social media, contribuendo alla sua normificazione.
Facebook e 9gag, i normaloni al comando
Facebook, fino ai primi anni del 2010, veniva visto un po’ come l’aggregatore dei meme ormai caduti in fase di normieing, con alcune pagine dai titoli improbabili come Epic Fail & Epic Win che si occupavano esclusivamente di scaricare i meme più in voga al momento su 4chan e ricaricarli nelle loro pagine, dividendoli e categorizzandoli per album.
Insomma, tutto regolare finché si tratta solo di diffondere immagini. Ma quando certi aggregatori come il bistrattato 9gag.com cominciarono a fare business con la condivisione di memes, piazzando anche un watermark per rivendicarne la falsa paternità, cominciò a sorgere il concetto di stolen meme e di tracciabilità dell’opera, distruggendo il concetto di anonimato legato a queste unità. Per un mematore non c’è nulla di peggio che vedere un sito da normaloni rubare una propria creazione, decretandone la morte prima del tempo.
Quello che ferisce non è tanto il furto dell’idea: quella è astratta, è il Meme come attitudine, un filtro primario intangibile. È il furto del Meme come attuazione che colpisce il mematore nel profondo, la propria idea del meme concreto. È vedersi rubata una creazione da un sito o una pagina che, pur di non sforzarsi nell’arricchimento del codice, si limita a una sua propagazione in maniera distorta, rivelandosi un consumatore che si vuole spacciare come produttore.
Logo Comune e i memi d’autore
Ecco che, contro queste prassi scorrette, sono sorti dalla melma normie di Facebook dei “mematori d’autore”, ovvero degli arguti creatori capaci di rinnovare il codice inventando continuamente nuovi stili e trovando sempre nuove fonti per favorire il ricambio memetico.
Il chiaro esempio di questo è proprio Logo Comune, una pagina tutta italiana che ha saputo rinnovare il panorama memico con uno stile e una narrativa così peculiari da dare vita a un intero filone ormai diventato omonimo, a cui si sono rifatte pagine come Memecrazia Cristiana, Preposterous Prima Repubblica Memes o Socialisti Gaudenti.
E mentre ora le pagine più normie hanno intuito il potenziale di questo stile e ci si stanno buttando a capofitto, Logo Comune e i suoi affiliati stanno dando vita a nuove narrazioni memiche. Viene dimostrato ancora una volta quanto il paradosso di Zagrebelsky funzioni nel descrivere le meccaniche del sistema dei meme, il quale trova nel ricambio continuo la propria stabilità.
Ed ecco quindi che l’identificazione del mematore appare l’ultimo baluardo di difesa contro l’orda dei normie e contro la morte prematura del codice. Si ribadisce ancora una volta l’elitarismo intrinseco dei meme: solo in pochi ne conoscono le meccaniche, e solo in pochi possono manipolarle degnamente.
Per confermare quest’ultimo assunto, si riprenda l’intervista fatta ai memers di Facebook; in particolare, una domanda a proposito del fenomeno scatenato da Logo Comune, ovvero la “gentrificazione dei meme”.
Il meme, arte per pochi?
La rivista online Studio, a proposito di (e intervistando) Socialisti Gaudenti, Oznerol, Karbopapero eccetera, ha parlato di “gentrificazione dei meme”. Sta davvero diventando un’arte per pochi?
Andrea: «Onestamente non credo, il concetto stesso di “meme” è dato dalla diffusione dello stesso, e ho sempre ritenuto la distinzione tra “meme di nicchia” e non abbastanza inutile. Credo però che sia normale che un’ironia come quella di Oznerol non venga capita da chi magari su internet ci sta poco ed è abituato solo a memes top text/bottom text in Impact».
Raffaele: «Più che un’arte per pochi, col passare del tempo si stanno creando sempre più nicchie che richiedono prodotti sempre più elaborati e complessi. Noi come Socialisti Gaudenti proviamo un po’ a spaziare e provare diversi generi (o nicchie). Noi siamo abbastanza fortunati, perché la politica italiana e la sinistra in particolare ci permettono di non essere monotematici».
Lorenzo: «La mia tesi [di laurea magistrale, N.d.R.] è basata sul concetto che ormai per fare meme, pubblicità e quant’altro utilizziamo codici e riferimenti di altri immaginari. Tutto il gioco con il pubblico è capire il riferimento di cui si sta parlando, e poterne ridere/pensare. E ritornando al discorso della gentrificazione, in realtà è solo trovare il proprio gruppo di riferimento. Quello che facciamo noi sono collage, nient’altro. Wittgenstein e Di Maio, Virginia Raggi e Final Fantasy… sta tutto nel trovare il giusto collegamento. Più questa linea di confine tra i due contenuti è ben definita, più il lavoro è riuscito».
Tecnocrazia: «Non sta diventando un’arte per pochi. Lo è sempre stata. È un’arte di pochi fruibile a tutti nel contesto di internet dove la proprietà intellettuale (giustamente) è una chimera. Il meme solo in un momento può essere “per tanti”, quando è già morto o non fa più ridere chi l’ha creato. E allora perde tutta la sua magia. L’elitismo c’è, ma è anche giusto che chi sia bravo si “atteggi”. Noi ad esempio siamo scarsi. Puntiamo più sulla battuta scritta che sul meme».
Kekberb: «Questo fa parte un po’ del mio ultimo post sulla pagina prima della mia vacanza dal termine indefinito. Dal mio punto di vista c’è uno sbandieramento del meccanismo in sé che sta un po’ denigrando il concetto di meme geniale o artistico, come quelli delle pagine sopra citate. Non parlo delle campagne pubblicitarie che usano meme per attirare il pubblico, ma di pagine ben più “facilotte”, se mi concedi il termine, che semplicemente richiamano like e condivisioni perché hanno messo Boldi e qualche personaggio di Tekken o Super Mario assieme; non c’è un pensiero reale dietro, non vi è un tentativo di esporre delle caratteristiche di Boldi o di un determinato elemento della pop culture, ma solo il dire: “Ahaha che ridere se li metti insieme”. Questo svilisce un po’ il tutto, specialmente per coloro che cercano attivamente un’idea stimolante da proporre ai loro seguaci. Per questo io ho parlato di bisogno di evolversi: il meme deve rimanere necessariamente strumento e arte di tutti, nessuno escluso, ma non deve essere scevro di pensiero o di sorpresa, perché altrimenti si finisce solo a generare costanti foto che fanno sghignazzare e poi rimangono lì. Non dovrebbe essere un’arte per pochi, ma questa diluizione generale è alquanto pericolosa. Si perde la sensibilità generale di vedere un meme non come opportunità ironica di riflessione, ma solo come robina carina da mettere sulla propria bacheca. Che per carità può anche essere così, ma a me non interessa».
Nicolò: «Non credo stia diventando un’arte per pochi, penso che come qualsiasi forma espressiva possa avere varie sfumature. Justin Bieber e la lirica convivono, forse non si incontrano mai, ma convivono».
Memi in borghese
Le risposte degli esperti, per quanto, al solito, possano apparire divergenti, in sé nascondono una confluenza nella distinzione tra vari tipi di ironia, nell’intento e nella padronanza che il mematore ha del codice stesso. Per capire davvero di fronte a quale fenomeno ci stiamo trovando, definiamo cosa voglia dire la parola “gentrificazione”, grazie al dizionario integrato nella ricerca Google:
gentrificazione /gen·tri·fi·ca·zió·ne/ – sostantivo femminile
Trasformazione di un quartiere popolare in zona abitativa di pregio, con conseguente cambiamento della composizione sociale e dei prezzi delle abitazioni.
Origine
Dall’ingl. gentrification, der. di (to) gentrify ‘rendere signorile’, der. di gentry ‘piccola nobiltà’ •1982.
In apparenza, quello che sta accadendo ai memi, grazie all’instancabile lavoro dei mematori, è una radicale trasformazione da espressione meramente popolare ad arte riservata a pochi eletti, ricca di alti riferimenti culturali misti a ironia sopraffina.
Ma se torniamo a soffermarci sull’origine stessa dei meme, capiamo che la manipolazione di tale codice è sempre stata un’arte riservata a pochi, prima appannaggio esclusivo di community chiuse e poi motore delle discussioni nelle imageboards. Al giorno d’oggi il meme, essendosi riversato su delle piattaforme popolari, necessita di ribadire anche di fronte ai normie dell’Opinione Pubblica di Massa e alla cultura mainstream dell’Opinione Pubblica di Divulgazione la sua natura di codice linguistico e di veicolo informativo.