Lo Stato Islamico si riaffaccia in Mali

Malian women who have come to Niger as refugees, attend a meeting in Tiguizefane, Abala district, Niger, held by CRS to ask about refugee and host community needs and to explain what's going to be done. Catholic Relief Services and our partners are mobilizing emergency water, hygiene and sanitation facilities to meet the urgent needs of thousands of Malian refugees who have fled to safety in neighboring Niger since January 2012. Fighting in Northern Mali between the army and a rebel Touareg group (the National Movement for the Liberation of Azwad, MNLA) has forced more than a hundred thousand people to flee their homes. Around half have stayed in Mali, with the others crossing borders to seek refuge in neighboring countries. According to the UN, as of the end of Febuary 2012, around 25,000 people have crossed into Niger Ð two thirds of them Malian refugees and a third Nigeriens trying to get home. ItÕs estimated that another 500 people are arriving every day. Most of the refugees are living in the open air, in makeshift shelters made of blankets stretched over sticks. Their host communities have already been weakened by a looming food crisis which is affecting the Sahel region, after poor rains and a bad harvest last year. Water, hygiene and sanitation are urgent needs for the refugees and local communities and so CRS will drill boreholes, improve wells and water points. Fuel will be provided to keep water pumps working. Tanks brought in so people can store water. Latrines, showers and washing stations will be built, giving refugees their privacy back. A garbage disposal plan is being put in place and educational materials on sanitation will be given out. CRS will also be distributing around 2,000 hygiene kits to families Ð including buckets, soap and storage jugs.
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Lunedì 18 novembre un attacco, poi rivendicato dallo Stato Islamico, ha ucciso trenta soldati di pattuglia presso la regione di Gao, in Mali. Il convoglio è stato attaccato sulla strada che da Ménaka porta ad Ansongo, all’altezza di In-Delimane. Il gruppo che ha materialmente portato avanti l’attacco è l’ISGS, Islamic State in the Greater Sahara, guidato tra gli altri da Adnan Abu Walid al-Sahrawi, un estremista che, come suggerisce il nome, ha avuto un trascorso anche con il Fronte Polisario. Nel 2015 al-Sahrawi giurò fedeltà a Abu Bakr al-Baghdadi, entrando a far parte della filiale subsahariana dello Stato Islamico e scalandone rapidamente le gerarchie anche grazie alla sua lunga esperienza.

Il Mali, un Paese difficile

Il Mali è un Paese di quasi diciannove milioni di abitanti, esteso su un territorio grande due volte il Texas e con un esercito che difficilmente arriva ai diecimila effettivi, includendo anche la riserva. Va da sé che con numeri di questo tipo il controllo del territorio è difficile, se non impossibile, e la situazione peggiora notevolmente quando si considera lo stato degli armamenti (buona parte delle armi proviene o da dismissioni europee o da Paesi del secondo mondo prima della caduta del Muro di Berlino). A questo si aggiunge una struttura ancora in fase di consolidamento dopo l’integrazione dei tuareg, protagonisti di una guerra civile (la guerra di liberazione dell’Azawad) a scopo secessionista, che nel trattato di pace hanno accettato di conferire alcuni effettivi all’esercito nazionale.

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Soldati ciadiani delle forze di pace. Foto: BBC.

Per sopperire agli eventuali problemi che un Mali instabile potrebbe causare, nel Paese sono presenti militarmente diverse potenze africane sotto l’ombrello dell’AFISMA (African-led International Support Mission to Mali): Ciad (che apporta oltre duemila uomini), Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Niger, Nigeria, Guinea-Bissau, Liberia, Senegal, Sierra Leone e Togo. Nel Paese è presente anche una missione a guida Nazioni Unite, la MINUSMA (Mission multidimensionelle intégrée des Nations unies pour la stabilisation au Mali) che conta oltre cinquanta Paesi, e due dell’Unione Europea (EUCAP e EUTM Mali).

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Nonostante tutti gli aiuti dall’estero, il Mali rimane un Paese tendenzialmente instabile. Oltre alla già citata guerra di liberazione dell’Azawad, il golpe del 2012 e la ribellione islamista hanno contribuito a tormentare il Paese subsahariano. Quest’ultima ha visto una recrudescenza dopo la fine del regime di Gheddafi, quando i mercenari maliani assoldati dall’allora governo di Tripoli fecero ritorno a casa dopo la sconfitta. Gran parte di questi sono rientrati nei ranghi dell’ISGS e in altre formazioni islamiste affini. Più che sugli attacchi, lo Stato Islamico in questa parte del mondo punta forte sulla destabilizzazione etnica: con attacchi mirati verso le comunità di etnia dogon, hausa e fulani gli islamisti puntano a metterle l’una contro l’altra e, successivamente, a offrire loro protezione cercando di sostituirsi allo Stato.

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Un villaggio dogon. Foto: Reuters.


Uno contro l’altro

Il Mali ha destinato a protezione delle comunità hausa, dogon e fulani circa un terzo delle proprie forze armate ma, dal momento che il territorio occupato da queste etnie oltrepassa i confini nazionali, ecco che l’instabilità si propaga con enorme facilità anche in altri Paesi come il Burkina Faso e la Costa d’Avorio. Anche questi Stati, nonostante la situazione sia notevolmente migliore rispetto a quella di Bamako, rischiano di subire un’opera di destabilizzazione. Il ruolo della Libia è quella di testa di ponte verso l’Africa occidentale, dove riparano parte dei fuggitivi dalla Siria e dall’Iraq.

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Un eventuale aumento della conflittualità nell’area andrebbe a ingrossare i flussi migratori verso l’Europa, con una lunga serie di effetti a catena. I leader dell’Africa occidentale hanno allocato in totale circa un miliardo di dollari per la lotta al terrorismo, ma lo sforzo necessario non è esclusivamente militare: tutti gli Stati dovranno necessariamente ricomporre i rapporti con la componente musulmana della popolazione per evitare che vadano a ingrossare le file degli estremisti e scatenino così una guerra civile africana che genererebbe, come un sasso in uno stagno, una lunga serie di ripercussioni a livello regionale, continentale e mondiale.

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Carlo Paganessi

Sono nato in una notte afosa del luglio 1988 in Friuli Venezia Giulia sul confine con il Veneto, ma i primi diciannove anni della mia vita li ho vissuti in Veneto sul confine con il Friuli Venezia Giulia. Sono diplomato in Ragioneria. Nove anni dopo aver lasciato la galassia della pedemontana trevigiana non mi sono ancora fermato: il mio stile di vita, ormai diventato nomade, mi ha portato a Gorizia per frequentare il corso di laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche, a Moedling per lavorare all'Accademia Internazionale Anti Corruzione di Laxenburg, poi sono seguite Trieste per il lavoro con Genertel, Milano con l'Esposizione Universale e ora (al momento) Bratislava per lavorare con Amazon. Mi piace leggere, ascoltare musica e, ovviamente, scrivere. Per theWise scriverò principalmente di Politica Estera e Geopolitica: nel periodo trascorso a Gorizia ho cominciato a vedere il mondo come un orologio composto da sette miliardi di ingranaggi. Assieme a voi cercherò di capirne il funzionamento e di comprendere come gli avvenimenti nel mondo possano condizionare la vita delle persone. Tematica collegata che mi sta particolarmente a cuore è quella relativa alla Sicurezza Internazionale, settore del quale mi sono occupato sin dai tempi delle superiori e su cui ho gestito un gruppo di studi specializzato per oltre quattro anni. Credo che il terrorismo si sconfigga anche attraverso una corretta gestione dell'informazione ed è per questo che scrivo per theWise. Scrivo anche in un blog personale dove, tempo permettendo, cerco di portare qualche notizia di attualità (https://tractatusdesphaera.wordpress.com) oltre che per IMDI – Il Meglio Di Internet (http://ilmegliodiinternet.it/author/carlo_paganessi/).