Chernobyl, la breve storia dello Stroitel Pripyat

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Da poco più di una settimana è stata messa in onda l’ultima puntata della miniserie Chernobyl sulle reti italiane. Show targato HBO, ha conquistato il primo posto del rating su IMDB, superando programmi come Breaking Bad e Band of Brothers, con un voto complessivo di 9,5/10. Lo sceneggiato racconta quella notte del 26 aprile 1986, più quello che è stato il seguito del terribile evento. Molti aspetti vengono toccati all’interno di questo show, raccontando diverse storie – in maniera romanzata, ma comunque molto attendibile – di quelli che sono stati gli effetti di tale disastro. La storia dei coniugi Ignatenko, le vicende dei protagonisti Valerij Legasov e Boris Shcherbina, che decidono di andare contro l’istituzione portando alla luce i limiti dei reattori RBMK. Non solo i protagonisti però trovano spazio: viene celebrato il sacrificio di soldati e volontari al lavoro per rimuovere i detriti causati dall’esplosione del reattore 4, così come l’opera dei minatori per prevenire un’altra esplosione che avrebbe avuto un risvolto catastrofico. C’è però un aspetto minore legato al disastro di Chernobyl che nello sceneggiato HBO non viene raccontato. Racconteremo infatti una storia sportiva abbastanza curiosa, legata sia all’esplosione del reattore 4, sia alla città di Pripyat. Stiamo parlando della squadra dello Stroitel Pripyat.

Team calcistico locale che usava proprio il pallone come veicolo per legare gli abitanti a una città che era stata creata meno di un decennio prima. Pripyat infatti venne costruita nel 1970 per ospitare lavoratori e impiegati di quella che era la centrale di Chernobyl. Inizialmente il progetto prevedeva che l’impianto venisse costruito in una locazione diversa, a circa 25 km da Kiev. Numerosi scienziati dell’accademia delle scienze ucraina fecero notare che l’impianto sarebbe comunque stato troppo vicino alla capitale della Repubblica Ucraina, pertanto si procedette con la costruzione della città sulle rive del fiume Pripyat, da cui poi prese il nome. Dalla fondazione il 4 febbraio 1970, Pripyat diventerà una città all’avanguardia: attrazioni, ospedali attrezzati, e una centrale nucleare in costruzione che avrebbe dato lavoro a tantissime persone. Un fiore all’occhiello per l’Unione Sovietica, che aveva assoldato gli architetti più promettenti del proprio paese per dare un’identità progressista ai suoi edifici. Per dare un senso di appartenenza a quella che è una città fondata ad hoc, ci fu proprio la creazione di una squadra di calcio: lo Stroitel Pripyat. Letteralmente, i costruttori di Pripyat. Il club venne fondato nella metà degli anni ’70 ed era la squadra dei lavoratori della centrale nucleare. L’inizio di una storia simile dei club calcistici è molto comune: basti pensare alla Lokomotiv Mosca, che radunò i migliori lavoratori sulle proprie linee ferroviarie e li mise a giocare a calcio, oppure pensiamo all’Arsenal, fondato dai lavoratori dell’arsenale di Londra. Ai costruttori di Pripyat si unirono i giocatori della vicina cittadina Chistohalivka, che vantava una forte squadra di calcio a livello locale. La breve storia dello Stroitel Pripyat inizia formalmente nel 1981, quando la squadra inizia seriamente a investire nel calcio: in panchina arriva Anatolij Shepel, ex-attaccante della Dinamo Mosca e della Dinamo Kiev. L’ingaggio di un simile profilo come tecnico faceva pensare a una forte volontà di scalare le gerarchie fino a diventare una realtà affermata del calcio nazionale, e chissà, europeo. Lo Stroitel Pripyat infatti debutta nel 1981 vincendo il campionato dell’Oblast’ di Kiev – competizione a livello amatoriale – e ribadendo il successo nei due anni successivi.

Lo Stroitel' Pripyat' durante una partita di calcio. Una delle poche foto reperibili riguardanti la squadra della città Ucraina. Foto: discover-chernobyl.com chernobyl

Lo Stroitel Pripyat durante una partita di calcio. Una delle poche foto reperibili riguardanti la squadra della città Ucraina. Foto: discover-chernobyl.com

Partecipò anche alle competizioni ufficiali della federazione calcistica della Repubblica Sovietica Ucraina, giocando nelle serie minori. Il culmine massimo della squadra è nel 1985, quando arriva a un passo dalla partecipazione alla fase finale del campionato. Le prime classificate di ogni girone “preliminare” si sarebbero sfidate l’una contro l’altra in cinque partite. La vincitrice di questo girone sarebbe stata promossa in Serie B ucraina. Nonostante la sconfitta però, la squadra continua a costruire quello che è destinato a essere un progetto duraturo. Nel corso degli anni l’interesse nei confronti della squadra da parte della città di Pripyat aumenta sempre di più, convincendo i vertici a costruire uno stadio, che passerà alla storia come lo Stadion Avanhard. Una struttura che inizialmente avrebbe ospitato circa cinquemila spettatori, ma che con il corso degli anni sarebbe cresciuta sempre di più fino a diventare ogromnyj, ovvero enorme. Lo stadio sarebbe dovuto sorgere nel cuore della città, non lontano da quella ruota panoramica che è diventata il simbolo dell’abbandono repentino di Pripyat. Poi si arriva a quel 26 aprile del 1986, ore 1:23, in cui esplode il reattore 4 della centrale termonucleare intitolata a Lenin. Lo stadio sarebbe stato inaugurato – apparentemente – il 27 aprile, ospitando una partita di Coppa regionale contro il Mashinostroitel Borodyanka, che non verrà mai giocata. La storia vuole che l’esercito sovietico arrivò sul campo di allenamento del Borodyanka per fermare la squadra in trasferta, vietandogli di lasciare la città in direzione Pripyat. Lo Stroitel, ovviamente dovette rinunciare al campionato ucraino quell’anno. Diversi giocatori della squadra, oltre a essere stati degli impiegati della centrale nucleare, si dedicarono ad aiutare nella rimozione dei detriti causati dall’esplosione del reattore. Si annoverano infatti molti dei componenti dello Stroitel Pripyat nel gruppo dei cosiddetti “liquidatori”, un gruppo composto da soldati dell’esercito e da volontari creato per limitare i danni del disastro a breve e lungo termine. Soprattutto, uno dei gruppi a essere stato più esposto alle radiazioni. Con l’abbandono della città di Pripyat il governo centrale sovietico accolse gli sfollati nella città di Slavutych, costruita appositamente per quello scopo. Lo Stroitel venne rifondato, ma cessò di esistere nel 1988, dopo due stagioni anonime. Si chiude così la breve storia calcistica di una città che sognava di essere all’avanguardia, proprio come il suo stadio. Impianto che doveva essere inaugurato – come detto in precedenza – il 27 aprile 1986, il giorno dopo quella che ancora nessuno poteva sapere sarebbe stata la data dell’esplosione del reattore 4 della centrale di Chernobyl, uno degli eventi nucleari più disastrosi della storia assieme all’incidente di Fukushima del 2011. Lo Stadion Avanhard, così come la ruota panoramica del parco divertimenti, e il famoso Hotel Polissja sono tutti edifici che sono ancora lì, abbandonati. Dello stadio sono rimaste solo le tribune, che si distinguono in una fitta vegetazione, che si è praticamente “mangiata” il resto della struttura. Non si nota più quella che era la pista di atletica e quello che sarebbe diventato il campo da gioco. Lo stadio che doveva essere l’avanguardia, diventa inevitabilmente il terreno di gioco meno accessibile della Terra, ed è l’unico simbolo rimasto di quello che era – e che poteva essere – il calcio a Pripyat. Una storia che meno appariscente ma non per questo meno importante, di quelle legate a uno degli eventi più tragici della storia.

Chernobyl Ciò che resta dello Stadion Avanhard, casa dello Stroitel' Pripyat', mai inaugurata, a causa del disastro di Chernobyl. Foto: Shutterstock /Oriole Gin.

Ciò che resta dello Stadion Avanhard, casa dello Stroitel Pripyat mai inaugurata a causa del disastro di Chernobyl. Foto: Shutterstock /Oriole Gin.

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Arnaldo Figoni

Sono nato a Olbia il 30 giugno 1989, ma da sempre vivo a La Maddalena. Coinvolto fin da piccolo negli sport - calcio, basket, ma anche rugby - ho sviluppato una passione per la disciplina sportiva in generale, nel conoscere e poter raccontare delle storie, coltivando il sogno nel cassetto di poter esercitare proprio la professione di giornalista.