C’è ancora bellezza. O meglio: c’è sempre stata
L’Ajax, Sarri, Guardiola: nel calcio c’è ancora bellezza, ma alcuni non sanno coglierla (o non vogliono)
La vittoria dell’Ajax sulla Juventus è, in fondo, la rappresentazione di una legge non scritta del calcio: senza un gioco propositivo, fluido, atto a creare trame e spettacolo e non solo a distruggere la manovra avversaria, difficilmente nelle competizioni più importanti si può sperare di andare avanti, se non addirittura di vincere. Le qualità degli olandesi, già palesate in altre squadre, rappresentano una sorta di kryptonite non solo per la Juventus ma anche per i tanti club che cercano di andare avanti puntando soprattutto su assetti di rottura. In questo sport, fatte le dovute eccezioni (a molti verrà in mente l’incredibile cavalcata del Chelsea di Di Matteo, che arrivò a vincere la Champions League in maniera grintosa ma anche fortunosa), difficilmente chi gioca peggio si prende la gloria. E, infatti, il trionfo dei Lancieri rappresenta l’ennesima vittoria dello spettacolo sulla voglia di antiestetico pragmatismo, del bel gioco sulla presunta efficacia delle tattiche difensive a oltranza. Ma, soprattutto, di una sorta di potere delle idee contro quello economico. L’esempio lampante lo si trova in un’infografica, divenuta piuttosto indicativa e famosa sui social network, che si affretta a spiegare come l’intera formazione titolare dell’Ajax valesse decisamente meno del fuoriclasse Cristiano Ronaldo (cinquanta milioni circa i primi, più di cento milioni il secondo). La vittoria dell’Ajax è il prevalere della poesia sullo scarabocchio, della luce sull’oscurità. E, giustamente, l’impresa dei giovani irresistibili sta ottenendo grande risalto mediatico, con titoloni evidenti e monumentali riflessioni sul movimento anche nel Bel Paese. Che, però, alla bellezza ha dato uno schiaffo pesante negli scorsi mesi, dopo aver ammiccato di continuo sperando che prevalesse sulle solite dinamiche.
Per anni, infatti, il Napoli di Sarri – uno degli esempi più lampanti, in tal senso – dopo esser stato amato, ammirato e lodato ha ricevuto quasi un declassamento minatorio e denigratorio dalla stampa nostrana. Perché (come ci è stato erroneamente “insegnato”) vincere, nella nostra mentalità, ormai è diventato – parafrasando – “l’unica cosa che conta”. Quando invece, in verità, il calcio dovrebbe proporre (e sentirsi rappresentato da, in aggiunta) compagini e ideali che facciano divertire, empatizzare, sognare. Compagini come il Napoli di Sarri. O come la bellissima prima Roma di Spalletti, il Barcellona di Guardiola e il Manchester City dello stesso allenatore catalano. Come – anche se in maniera più pragmatica – il Liverpool e il Borussia Dortmund di Klopp o la Spagna di Aragones e Del Bosque, se non il Milan di Ancelotti. Nessuno dice che “l’altra maniera” di vincere o giocare sia illegittima, anzi. Andrebbero, però, trattate alla stessa maniera. E pazienza se, magari, qualcuna di queste squadre ha avuto il difetto di vincere poco o nulla (anche se poi, in realtà, molte di queste non solo si sono rivelate plurivincenti ma hanno anche mischiato e cambiate la carte in regola). Perché il bel gioco, adesso improvvisamente riscoperto e riportato all’altare, può regalare ciò che veramente muove ancora la passione dei tifosi: l’emozione.
Indipendentemente dal destino di questa stagione, i giovani ragazzi dell’Ajax hanno ormai scoperchiato il vaso di Pandora, mettendo a nudo ogni tentativo di difesa di metodi anacronistici che solo Paesi vecchi e antiquati come il nostro possono ancora essere apprezzati, aggrappandovisi (a volte) senza dignità. Non è un caso, a pensarci, che in Champions League siano rimaste le quattro squadre che hanno proposto il calcio migliore. Potremmo trovarci di nuovo dinanzi all’epoca del calcio totale, o forse anche no. L’importante, però, è che la bellezza del pallone non sia morta. Anche se qualcuno, che oggi sale sul carro, ha fatto e fa ancora di tutto per ucciderla.