Dialogo con Giuseppe Civati: sinistra, lavoro e umanità
Giuseppe Civati, per gli amici Pippo, è – al di là di ogni pregiudizio ideologico – il prototipo del politico tanto osannato e ricercato da (quasi) tutte le fazioni politiche italiane: giovane, laureato (con dottorato di ricerca in Filosofia e Scienze Umane), preparato, coerente e senza precedenti penali. Inattaccabile anche quando dal Giornale , dopo un servizio provocatorio delle Iene, era stato l’unico politico intervistato ad accettare di far vivere un rifugiato nella sua abitazione: «Un giovane ragazzo del Gambia che ho ospitato per diversi mesi, fin quando non ha raggiunto degli amici in Germania (dove ha trovato lavoro) e con cui tutt’ora sono in contatto».
TheWise Magazine lo ha incontrato per un’intervista riguardo il recente passato del centrosinistra, l’attualità e soprattutto le prospettive della sinistra in quest’epoca storica.
Civati, le diamo il benvenuto su theWise Magazine. La prima domanda che le poniamo riguarda proprio il ruolo e il futuro dell’informazione in questo momento storico. Si può parlare secondo lei – con l’avvento dei social network – di disinformazione di massa? Quali colpe hanno avuto i giornali tradizionali per favorire questo fenomeno?
«Più che di disinformazione di massa parlerei di una precisa strategia della menzogna, la cui strumentalità è evidente per quanto riguarda l’attuale maggioranza e il suo leader, Matteo Salvini. Salvini offre all’opinione pubblica una fake news al giorno, che con “Antivirus” Possibile documenta e invita tutti a contrastare. Non è che Salvini e il suo staff si sbaglino, lo fanno apposta. Diffondono informazioni imprecise, sempre orientate, amplificando piccoli episodi, confondendo rispetto a numeri e dati. Su questo si basa buona parte del suo consenso».
Un esempio lampante è la grande arma di distrazione della politica italiana: il tema immigrazione. La luna di miele di Conte con gli italiani sembra essere terminata in seguito alle dichiarazioni su Sea Watch e Sea Eye. L’opinione pubblica sembra sempre più schierata con la linea dura di Salvini. Come si può recuperare il terreno perduto ed evitare la strumentalizzazione sul tema?
Creare problemi sempre più grandi sembra essere il compito che si è dato il Ministro dell’Interno. Speriamo che non sia troppo doloroso per il nostro paese accorgersene».
Contro la sua volontà, una domanda sul futuro della sinistra in Italia: le primarie del Pd (con i conseguenti risultati) possono riaprire un dibattito all’interno della sinistra delusa dagli anni di Renzi, o c’è bisogno di un soggetto politico completamente nuovo? E da dove deve partire?
«Lo schema di questi anni ha distrutto il centrosinistra, facendo del male a tutti, al centro moderato e alla sinistra più radicale. Lo pensavo e lo dicevo anche prima delle elezioni. Il pessimo Rosatellum ha fatto il resto, premiando tutti gli altri, sulla base di un sistema elettorale truffaldino che solo una maggioranza di idioti poteva votare. Ora il compito è di ricostruire e di offrire una prospettiva che sia molto lontana da ciò che abbiamo visto negli ultimi cinque anni. Ci vorrà tempo, non esistono scorciatoie».
La cosiddetta fine delle ideologie negli anni Novanta, il «there is no alternative», ha secondo lei portato a un suicidio della sinistra, costretta ad inseguire la destra su molti temi (come negli ultimi anni in Italia) e quindi perdente in partenza?
Il filosofo francese Michéa ha parlato di spaccatura della dicotomia destra-sinistra, nel momento in cui quest’ultima ha cominciato a interessarsi maggiormente ai diritti civili rispetto a quelli sociali. È secondo lei quello che è avvenuto? Si possono percorrere entrambe le strade?
Il saggista inglese Mark Fisher in Realismo capitalista parla della chiusura mentale del mondo occidentale nel trovare una via d’uscita, o comunque trovare un pensiero diverso (oggi) dal neo-liberismo. Come può fare la sinistra moderna a togliersi l’etichetta di “sistema” e di “establishment”? E in ogni caso, è secondo lei fondamentale farlo?
«Beh, siamo in una trappola tutti quanti. Non si riesce a immaginare una società diversa e chi lo fa è preso per matto o velleitario. Ma anche dentro lo schema richiamato ci sarebbero molte cose da fare. Gliene dico due: il valore del lavoro (la giusta paga, per capirci) e la progressività fiscale. Per iniziare a rompere quello schema del falso realismo, che ci consegna una realtà ingiusta e per alcuni terribile, può essere un buon inizio».
Il reddito di cittadinanza proposto dai Cinque Stelle è un tema a cui la sinistra deve guardare, per iniziare una seria redistribuzione della ricchezza? Oppure è l’ennesimo progetto d’ispirazione lavorista in stile anglosassone?
«Il reddito minimo lo discuto e sostengo da prima che arrivasse Grillo, diciamo così. Il punto che non è una panacea, una formuletta magica, sta insieme alle altre due cose che le dicevo un momento fa».
Cosa direbbe a chi si sente di sinistra oggi?
«Di muoversi, di organizzarsi, di prendere l’iniziativa. Per troppo tempo anche a sinistra si è delegato a leader salvifici che poi ci hanno puntualmente condannato. E invece il lavoro da fare è collettivo, culturale, politico. È una questione umana».