Khan a Pechino: la relazione tra Cina e Pakistan
Le comunità viventi nella valle dell’Indo e in quella dello Yang Tze intrattengono rapporti con diversi gradi di intensità sin dal III millennio a.C. nonostante la barriera dell’Hymalaya posta tra le due regioni. Oggi Cina e Pakistan hanno i propri core territories in quelle zone e proseguono questo tipo di relazione in primo luogo a livello economico, poi concentrandosi anche su altri aspetti come quello della cooperazione militare. Il motivo ultimo della nuova alleanza sancita tra Islamabad e Pechino è per i primi la ricerca di un appoggio per scongiurare un conflitto (nucleare) con l’India, mentre per i secondi il Pakistan è funzionale al mantenimento delle rotte commerciali sia terrestri che marittime, oltre che alla marginalizzazione territoriale ed economica della stessa India.
Notizia di poche settimane fa è la decisione di non considerare più il dollaro come valuta di scambio nelle contrattazioni tra Cina e Pakistan ma lo yuan: la scelta è dovuta al voler ridurre il peso del dollaro negli scambi in Asia e, con esso, ridurre l’influenza statunitense nel continente. La scelta è arrivata a seguito della visita di Imran Khan, da poco presidente del Pakistan, in Cina ed è legata alla delicata situazione finanziaria in cui versa Islamabad, con un debito pubblico non particolarmente elevato (circa il 60% del Pil) ma che è faticoso da rifinanziare a causa delle continue spese infrastrutturali. Il debito estero risulta essere molto elevato, lasciando così il paese in balia dei flussi monetari e di flusso all’interno del paese di capitali esteri (in particolare, quelli cinesi).
Una delle cause del debito è la costruzione di un imponente asse viario denominato CPEC (China Pakistan Economic Corridor). Il corridoio è composto da una serie di infrastrutture (alcune delle quali già ultimate) che dovrebbero connettere il ventre produttivo della Cina con la costa del Pakistan e il cui costo è lievitato nel corso del tempo passando dai 46 miliardi di dollari dell’annuncio nel 2015 ai 62 milioni di dollari attuali. Tra i progetti più importanti si annovera la Karakoram Highway che connette Peshawar al confine cinese attraverso un percorso lungo più di 1000 km, i gasdotti che dovrebbero portare il gas iraniano nel Balucistan, vari campi eolici e solari e una strada che connetta Gwadar e Karachi.
L’impatto del progetto sul Pakistan è stato paragonato a quello del Piano Marshall in Europa dopo il secondo conflitto mondiale. Il governo pakistano prevede 2,3 milioni nuovi posti di lavoro creati tra il 2015 e il 2030 e un incremento del PIL tra il 2 e il 2,5%. Il valore totale iniziale dei progetti è pari al 17% del PIL creato in Pakistan lo scorso anno e i progetti energetici dovrebbero aiutare il paese a uscire dalla crisi energetica cronica in cui si trova il paese, favorendo l’economia e i consumi. Ma per la Cina questo è solo il primo asse portante per un progetto ben più ampio e destinato a cambiare il volto delle principali rotte commerciali mondiali.
La One Belt One Road è l’asse viario multimodale (quindi comprenderà un’autostrada, una ferrovia e via dicendo) di cui la CPEC costituisce il primo tratto. Nei progetti del governo cinese la One Belt One Road (in occidente anche conosciuta come Nuova via della seta) dovrebbe connettere Cina ed Europa via terra. Un progetto sicuramente ambizioso che serve a favorire l’interscambio di merci tra un continente e l’altro, obiettivo ultimo di Pechino. Negli ultimi tempi la fondazione OBOR sta riconsiderando l’idea di dotare l’asse viario di un sistema di trasporto passeggeri.
OBOR non è solo strade: è anche la via cinese alla cooperazione allo sviluppo. I fondi erogati dalla fondazione confluiscono anche in progetti infrastrutturali situati in paesi africani che sono geograficamente lontani dalla nuova via della seta come Sudan, Etiopia e Kenia. L’Italia rappresenta uno snodo cruciale nel progetto considerando che in questo paese si troverà l’ultimo porto prima del Nord Europa e i cinesi hanno già mostrato un certo interesse nei porti di Trieste, Venezia e Genova, mentre la COSCO (controllata di Pechino per gli investimenti esteri in materia di import-export) ha già acquistato il 40% del porto di Vado Ligure, primo porto italiano per i petroli e derivati. Oltre al porto ligure la COSCO ha già acquistato quote di partecipazione nei porti del Pireo, Bilbao e Zeebrugge.
Tale strategia, che in un certo senso è possibile definire aggressiva, solleva delle domande sugli scopi collaterali che Pechino ha quando si parla di determinati progetti. Nei paesi di destinazione molto spesso questo tipo di progetti infrastrutturali sono realizzati con soldi presi a debito proprio dalla Cina. Ora, nel caso in esame (ovvero quello del Pakistan), ci si trova ad avere a che fare con un paese già in crisi di debito per conto proprio. La situazione è simile a quella della Malesia dell’anno scorso: con un enorme debito e la certezza di doverne fare dell’altro.
Le opzioni per Islamabad sono essenzialmente due: la scelta “Sri Lanka” e la scelta “Malesia”. Nel primo caso i progetti portuali dello Sri Lanka stavano costando decisamente troppo per le finanze del governo di Colombo. La scelta alla fine fu quella di riconvertire i debiti necessari alla costruzione delle infrastrutture cedendo le azioni della società creata per costruire il porto, consegnandone così il controllo a Pechino. In questo modo lo Sri Lanka ha i posti di lavoro, ma anche un’infrastruttura vitale come un porto per uno stato isolano in mano a una potenza straniera.
L’altro corso d’azione operato in un contesto simile riguarda la Malesia. Qui i costi dei progetti infrastrutturali sono aumentati di diverse volte rispetto all’impatto previsto inizialmente, diventando sin troppo onerosi anche per un paese tradizionalmente piuttosto ricco come la federazione di monarchie situata a cavallo dello stretto di Malacca. Kuala Lumpur ha deciso di sospendere la costruzione delle infrastrutture operando una scelta completamente opposta a quella di Colombo: la società che costruiva le autostrade e i porti è stata chiusa e un indennizzo è stato versato a Pechino. In questo caso è subentrata anche la tradizionale diffidenza nei confronti di Pechino, promossa anche dalle tensioni nel Mar Cinese Meridionale. La Malesia ha quindi deciso di evitare un ulteriore indebitamento con Pechino e soprattutto l’ingerenza cinese nella gestione delle nuove infrastrutture.
Arrivati a questo punto a Imran Khan si presenta una scelta piuttosto difficile da compiere: se consegnare la spina dorsale del proprio sistema viario alla Cina in cambio di un netto miglioramento dell’economia e di una probabile riduzione dei debiti nel medio-lungo termine, o se abbandonare il progetto e danneggiare la propria vitale relazione con Pechino mantenendo il completo controllo del proprio territorio. La scelta affidata all’ex campione mondiale di cricket influirà non solo sui destini del proprio paese ma su quelli dell’intera Asia.