Solo: A Star Wars Story
L’attesa è finalmente finita, dal 23 maggio scorso Solo: A Star Wars Story è nelle sale. Si tratta del secondo capitolo della saga parallela dedicata agli spin off, che questa volta vede protagonista Han Solo. Dopo il grande successo di Rogue One, elevato tra le pellicole migliori della saga, le aspettative del pubblico erano molto alte, soprattutto visti i risultati non del tutto soddisfacenti degli ultimi due capitoli della storyline principale.
Solo – la recensione
La genesi di questo film non è stata per niente facile. La regia, affidata in un primo momento a Phil Lord e Chris Miller, i due geniali artefici di The Lego Movie, è passata poi a Ron Howard. La produzione ha deciso questo cambio in corsa, ufficialmente per “divergenze creative’’, praticamente perché i due registi non stavano rispettando la sceneggiatura di Lawrence Kasdam (sceneggiatore della saga originale) allontanandosi troppo dallo spirito delle origini. Per correre ai ripari quindi la produzione ha chiamato uno dei pochi registi che ama il lavoro di Lucas più di Lucas stesso: Ron Howard. Il Ricky Chunningam di Happy Days, una garanzia dal punto di vista registico, riesce a completare il film senza trovate particolarmente brillanti, ma ottenendo un prodotto decente, cosa miracolosa viste tutte le difficoltà produttive.
La storia è divisa in due linee temporali: una prima parte con Han diciottenne, bloccato sul suo pianeta natale Corellia come schiavo imperiale costretto a guadagnarsi da vivere come può, e una seconda parte che lo vede espulso da poco dalla scuola per piloti imperiali e mandato per punizione sul campo di battaglia. Si tratta di un ibrido tra un bel western d’annata, con una memorabile scena di assalto al treno, e una gangster story con elementi noir.
Il film ha un cast pazzesco, e forse questo è un altro dei punti che hanno permesso la buona riuscita del progetto nonostante tutto. Troviamo Alden Herenreich nel ruolo di Han, molto discusso dalla critica (ma approfondiremo più avanti questo aspetto), Emilia Clarke nel ruolo di Qui’ra, primo amore del nostro Solo, Woody Harrleson nel ruoto di Beckett, mentore di Han, e infine Donald Glover nel ruolo di Lando, in un’interpretazione all’altezza di Billy Dee Williams, suo predecessore nel ruolo del ladro gentiluomo della saga. È proprio Glover il vero punto di forza del cast, che centrando in pieno il personaggio cattura l’attenzione dello spettatore. Ma arriviamo al tema caldo: molti hanno parlato di un Herenreich non completamente nella parte, a tratti molto simile al Solo di Ford ma ancora abbastanza acerbo. Guardando il film però è molto chiara la volontà di proseguire questa storia (sempre ammesso che gli incassi lo rendano possibile) ed è quindi ipotizzabile che il personaggio sia stato costruito intenzionalmente ancora acerbo rispetto all’originale, per dargli modo di crescere nei capitoli successivi, crescita che comunque è molto netta dall’inizio alla fine del film.
E qui arriviamo al secondo punto fondamentale di questo film. Ormai è sempre più chiaro che la Disney vuole trasformare Star Wars nel nuovo MCU (Marvel Cinematic Universe), macinando più di un film all’anno, raccontando e approfondendo tutte le storyline a disposizione. E qui iniziano i problemi, perché alla Disney sfugge un fatto fondamentale. Star Wars è un saga di film imperfetti, che però riescono ad appassionare il pubblico e a farlo andare in visibilio ogni volta che c’è una pellicola in uscita. Il segreto? Le storie non raccontate. La saga ha sempre inserito molti elementi non approfonditi nei film, che però hanno acceso la fantasia del pubblico: non è un caso infatti che Star Wars sia tra le saghe che maggiormente hanno ispirato autori e fan nel realizzare nuove storie, contenute nel così detto universo espanso, ormai spazzato via dalle ultime pellicole. Alcune storie è giusto che rimangano nel mito, per stimolare la fantasia degli spettatori, perché raccontando tutto si rischia a volte di scadere nel banale. E purtroppo in alcuni punti di questo film è proprio quello che capita.
Fortunatamente però non accade in tutto il film e ad esempio la scena dell’incontro tra Han e Chewbecca è stata gestita molto bene, così come la famigerata rotta di Kessel, che finalmente ci viene mostrata. Il film è pieno di easter egg e citazioni delle vecchie e della nuova saga, che riescono a tenere lo spettatore incollato allo schermo e che lo fanno saltare sulla poltrona in più di un occasione. Sicuramente, rispetto a Rogue One, questo film strizza l’occhio a un pubblico più giovane, d’altro canto la gran parte delle citazioni posso essere comprese solo da fan di vecchia data. C’è anche qualche colpo di scena, soprattutto verso la fine, che non approfondiremo troppo per non fare spoiler, che rafforzano la tesi di un qualche tipo di seguito per questa pellicola o forse con un forte collegamento con il prossimo episodio spin-off che ormai sembra sempre più certo che verrà dedicato ad Obi Wan Kenobi, forse nel periodo in cui quest’ultimo era eremita su Tatooine, in modo da mettere i due film su piani temporali consecutivi. Ma per il momento si tratta solo di ipotesi ovviamente.
Spaccare il pubblico
In conclusione, Solo: A Star Wars Story non è un film perfetto: è sicuramente superiore agli ultimi due capitoli della saga ambientata nell’universo lontano lontano, ma non a Rogue One, da cui si differenzia molto a livello di offerta editoriale. Capace di spaccare il pubblico come solo Star Wars sa fare, rimane comunque una visione necessaria per i veri fan della saga, in quanto approfondisce il percorso che ha portato uno dei personaggi più amati della serie a diventare quello che abbiamo apprezzato nella trilogia originale, ovvero non solo un personaggio che rimane nel cuore, ma un’icona pop a tutti gli effetti.