Seul, Washington e Pyongyang: per un pugno di armi nucleari
I test di ottobre 2016 videro due fallimenti: sia il lancio di missili di teatro che di missili balistici intercontinentali si risolse con la distruzione degli stessi poco dopo il decollo. Il mese precedente Kim aveva affermato, attraverso i propri canali di stampa ufficiali, di aver fatto detonare un ordigno nucleare con una potenza pari a dieci chilotoni. Anche in tal caso, le provocazioni giunsero durante il “semestre bianco” di Obama, quindi nell’ultimissima parte della sua presidenza quando, come da consuetudine, il presidente evita di implementare grandi stravolgimenti in qualsiasi campo per lasciare mano libera alla presidenza successiva.
Il primo gennaio 2017 arrivarono nuovi annunci di test missilistici poi riconfermati a febbraio con il lancio del missile di teatro Pukkusong-2, che ammarò nel mar del Giappone. La primavera e l’estate furono due stagioni particolarmente calde: ben 15 test missilistici (alcuni dei quali costrinsero il governo giapponese ad allertare la popolazione attraverso il sistema d’emergenza) e un test nucleare vennnero compiuti tra marzo e settembre. Un ordigno venne fatto detonare presso il poligono militare di Punggye-ri, con Kim Jong Un che annunciò il buon esito degli esperimenti e l’inserimento della bomba a idrogeno nelle disponibilità dell’esercito nordcoreano. Il test provocò un terremoto pari a 6.3 gradi sulla scala Richter, il quale fu seguito da una seconda scossa di entità minore, probabilmente dovuta al crollo di alcune strutture sotterranee del poligono, fatto che fece temere per la possibile dispersione di radiazioni. Nelle settimane successive alcuni caccia giapponesi si avvicinarono alle coste nordcoreane all’altezza di Punggye-ri, ma senza rilevare particolari livelli di radiazione nell’aria.
Giunti a tal punto, la maggior parte dei commentatori internazionali era già convinta dell’eventualità che Pyongyang si fosse dotata sia di una bomba termonucleare miniaturizzabile e funzionante, sia di un vettore in grado di trasportarla. L’ultimo test del 2017 avvenne il 28 Novembre: un missile con specifiche sconosciute sorvolò ancora una volta il Giappone per poi rientrare nell’atmosfera e ammarare nell’Oceano Pacifico. Durante l’intero periodo tra gennaio e settembre, Trump e Kim rimasero impegnati in un carteggio di minacce e contro-risposte con cui un Washington paventava ritorsioni militari contro la Corea del Nord, mai attuate per evitare tensioni con la Cina (legate a Pyongyang da un patto di mutua difesa) e la Russia. Durante tale periodo di accelerazione tecnologica bellica anche i rapporti tra Kim e Xi Jinping si deteriorarono, fino ad arrivare all’epurazione dei generali nordcoreani vicini alla Cina per prevenire un possibile regime change.
Le minacce di Trump non sortirono alcun effetto sul progresso di Kim nel cammino per arrivare alla bomba. La fine del percorso fu segnata da una nuova apertura verso il sud che, mentre la Corea del Nord effettuava test su test irritando la comunità internazionale, attraversava uno dei maggiori scandali della sua storia: la presidente Park Geun Hye fu costretta alle dimissioni dopo essere stata accusata di corruzione in uno strano caso che coinvolgeva la sua confidente più stretta (la leader di un culto sciamanico, la “Chiesa dello spirito mondiale”). Dopo un periodo di incertezza, le elezioni consentirono a Moon Jae In, leader del Partito Democratico Unito, di diventare presidente della Corea del Sud. Il nuovo presidente, figlio di rifugiati nordcoreani, si contraddistinse da subito per la volontà di dialogare con il nord. Durante le maggiori crisi (che coincidevano con i test) non esitò a far alzare in volo gli elicotteri da combattimento per prevenire ulteriori manovre di Pyongyang, oltre a mantenere costantemente una stretta collaborazione con Washington.
Dopo l’inizio di dicembre, con un risultato (quello della bomba) già ottenuto e con un’assicurazione sulla vita data dalla deterrenza nucleare, Kim iniziò un’opera di progressiva distensione con i vicini del sud, processo fortemente favorito dall’atteggiamento di disponibilità del presidente Moon. Sulle prime il governo statunitense non reagì bene, interpretando tale apertura come un tentativo di far entrare in rotta di collisione Washington e Seul. Ad inizio 2018 vi fu uno scambio di battute tra Trump e Kim relative al bottone nucleare presente sul tavolo di entrambi e alle dimensioni e grado di funzionamento dello stesso che, per tenore e tono, lasciò perplessa la maggior parte dei commentatori internazionali.
Il 10 gennaio la Casa Bianca rilasciò una dichiarazione con la quale si mostrava una certa apertura alla possibilità di avviare dei colloqui con Pyongyang, Il cambio di rotta incredibilmente repentino fu, secondo molti, dovuto al superamento del ruolo delle rispettive diplomazie a beneficio dei servizi d’intelligence. Altri commentatori indicarono nel Comitato Olimpico Internazionale uno dei principali promotori della distensione dei rapporti, avendo saputo sfruttare l’interesse di Kim verso tale avvenimento. Durante le olimpiadi invernali di Pyeongchang la sorella di Kim assistette alla cerimonia seduta di fianco al presidente Moon e la nazionale di hockey femminile nordcoreana si fuse con quella sudcoreana per dar vita a una sola squadra che giocò sotto la bandiera della Corea unita. Più probabilmente, i meriti del miglioramento delle relazioni tra i due paesi andrebbero spartiti tra CIO e le intelligence di Seul, Washington e Pyongyang.
Il ruolo dei servizi d’intelligence nella gestione delle relazioni tra Stati Uniti e Nordcorea venne ribadito anche in occasione della settimana di Pasqua quando Mike Pompeo, ai tempi direttore della Central Intelligence Agency, volò a Pyongyang per incontrare Kim e iniziare a definire i termini del suo probabile incontro in Sud Corea con Trump. Per Mike Pompeo fu il banco di prova in seguito al quale venne scelto dalla Casa Bianca come sostituto di Rex Tillerson, giudicato dal presidente come troppo morbido nei confronti dell’Iran e degli altri “avversari” degli Stati Uniti. Aprile 2018 probabilmente rappresentò il momento più alto nelle relazioni tra Washington e Pyongyang nel corso dell’ultimo decennio.
La fine di aprile e l’inizio di maggio hanno portato delle nubi sulle prospettive di un futuro di pace principalmente dovute alle richieste minime di entrambi, in particolare quelle giunte da parte statunitense: Trump chiede lo smantellamento del programma nucleare nordcoreano e la distruzione degli ordigni già costruiti. Se per la leadership nordcoreana lo smantellamento delle centrifughe per l’arricchimento del materiale fissile e la chiusura degli impianti di produzione degli ordigni sono un’eventualità considerabile (e al cui evento di chiusura Kim ha invitato dei rappresentanti sudcoreani), la distruzione del proprio arsenale non lo è, in quanto il presidente perderebbe quella deterrenza nucleare che il suo popolo ha tanto faticato per ottenere e che per lui costituisce una vera rete di salvataggio. Tali tensioni hanno portato ad una rottura (definitiva per Kim, ancora sanabile per Trump) tra i due leader che ha portato alla cancellazione del meeting di Seul previsto per la metà di giugno.
Per la Corea del Nord Trump propone un accordo molto simile a quello che ha appena strappato con l’Iran e la situazione gli fornisce una leva diplomatica non indifferente nei confronti di Pyongyang. Lo stallo diplomatico dato dalle richieste della Casa Bianca è figlio dell’incapacità del presidente di porsi in modo autoritario sullo scenario internazionale in quel periodo compreso tra febbraio e novembre dello scorso anno in cui Kim ha compiuto il vero sprint verso il traguardo. Tale indecisione può decisamente costare cara e stravolgere l’aspetto del panorama internazionale, con un numero sempre crescente di stati decisi ad avviare un programma atomico.