Marocco e Fronte Polisario: la fine è ancora lontana
Sulla cartina c’è scritto Marocco, in realtà, nella sua parte meridionale vi è uno dei casi di territori contesi, dei quali si parla raramente, ma che le recenti vicende fanno sì che vi sia qualche notizia sparsa qua e là sui giornali. Questo territorio è quello del Sahara Occidentale, una regione di circa 266 chilometri quadrati, che confina con la Mauritania e, per una piccola parte, con l’Algeria, contesa dal 1975 dal Marocco e dal Fronte Polisario. Spesso presentata come l’ultima decolonizzazione ancora da completare o la Timor Est africana, è da trenta anni una ferita aperta, risultato anche dell’incapacità del sistema internazionale di trovare soluzioni fattibili e porre fine a questa crisi.
Un rapporto irrisolto, dal 1975
Tutto cominciò nel 1975, alla vigilia del ritiro della Spagna dalla sua colonia del Sahara Spagnolo, quando sia il Marocco che i sahrawi, la popolazione locale, reclamarono la sovranità sul territorio. Anche la Mauritania pretendeva il controllo su una piccola parte del territorio. La richiesta del regno del Marocco si basava sul fatto che i territori della colonia spagnola fossero stati parte del regno del Marocco prima di essere colonizzati dal Paese europeo. Questa giustificazione non fu ritenuta sufficiente dalla Corte Internazionale di Giustizia e mentre l’Assemblea Generale dell’ONU recepiva questa decisione, riconoscendo il diritto all’autodeterminazione della popolazione sahrawi, in un accordo segreto il governo di Madrid dava al Marocco e alla Mauritania il diritto di succedergli nel controllo e nell’amministrazione della zona. Di conseguenza, nel 1975, in Marocco si svolse la marcia verde, dove circa trecentocinquanta mila marocchini sfilarono per riprendersi i territori. Quest’ultimi furono così spartiti tra la Mauritania e il governo di Rabat. Queste annessioni furono però vissute come una nuova invasione e colonizzazione da parte della popolazione locale. In particolar modo, da parte del Fronte Polisario, abbreviazione di Frente Popular de Liberación de Saguía el Hamra y Río de Oro, movimento fondato il 10 maggio del 1973, con l’intento di ottenere l’indipendenza del territorio del Sahara Occidentale, che decise di continuare a combattere per quel dirititto all’autodeterminazione già riconosciuto dall’ONU. In particolar modo, il 27 febbraio 1976 fu creata la Repubblica araba sahrawi democratica (Rasd) a Bir Lahlou, vicino il confine con l’Argeria. Quest’ultima infatti appoggiava il Fronte, offrendogli anche alcuni territori, in particolare l’area attorno a Tinduf, la città più vicina al confine algerino.
La guerra civile
L’ostilità è ben presto sfociata in una guerra civile, durata dal 1975 al 1991, dove il Fronte Polisario ha combattuto sia contro la Mauritania, ritiratasi poi quattro anni dopo in seguito a un accordo, che contro il Marocco. Nel 1991 ci fu un accordo tra il governo di Hassan II e il Fronte Popolare per il cessate il fuoco, dove il primo promise un referendum per l’indipendenza, poi in realtà mai avvenuto. La conseguenza principale è stata il Sahara Occidentale diviso in due parti: la prima, che comprende circa i due terzi del territorio, è controllata dal Marocco, mentre l’altra è amministrata dal Fronte Polisario. La parte amministrata di quest’ultimo è quella più interna e povera di risorse, che confina con la Mauritania, mentre quella marocchina è ricca di petrolio e di depositi di fosfati, oltre al fatto che, essendo lungo la costa, può fare affidamento sull’attività della pesca. Al livello internazionale, la Repubblica dei Sahrawi è stata riconosciuta da quasi cento stati, per la maggior parte africani e sudamericani, anche se alcuni di loro hanno poi successivamente tolto il riconoscimento o sospeso. Al momento infatti sono scesi a 46 gli stati che la riconoscono. Inoltre, la Repubblica dei Sahrawi è divenuta membro dell’Unione Africana nel 1984, fatto che comportò l’uscita invece del Marocco – anche se poi vi è rientrato a inizio del 2017, pur non cambiando la sua posizione sul Sahara Occidentale. Non è diventata però membro dell’ONU, che l’ha invece inclusa nella lista dei territori non autonomi. A partire dal 1982, inoltre, il governo marocchino ha iniziato a costruire il “muro del Sahara Occidentale”, noto anche con il nome di Berm, lungo 2700 chilometri, altamente militarizzato, è pressoché un confine invalicabile. Nei successivi cinque anni è stato continuamente ampliato ed è caratterizzato da appositi bunker, fossati, reticolati di filo spinato e campi minati, dove ci sono migliaia di mine anti-uomo. La sua costruzione, giustificata dal governo in virtù ragione strategico-difensiva, ha effettivamente isolato il popolo sahrawi attraverso quello che è stato definito come il “muro della vergogna”.
I fatti recenti
Nonostante la presenza anche della missione delle nazioni unite, MINURSO, il cessate il fuoco del 1991 non è mai stato del tutto effettivo. In particolar modo, lo scorso 29 aprile, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU aveva adottato all’unanimità la risoluzione 2351 per prolungale la durata del mandato della missione sul territorio. In particolar modo, luogo di instabilità è Guergarat, piccolo paese nella zona del Subsahara Occidentale a pochi chilometri dalla Mauritania. Le tensioni sono riprese in seguito alla nomina del nuovo capo della Minurso, il canadese Coline Steward, giunto a Laayoune, la città più grande del territorio conteso, il 28 dicembre scorso. In questa zona a partire dai primi giorni di gennaio il Fronte Polisario ha iniziato a stabilire checkpoint illegali, dal momento che non sono forze legittimate e che vanno contro l’accordo del cessate il fuoco firmato nel 1991, soprattutto nella striscia di confine tra il Marocco e la Mauritania. In particolare, le azioni, quali fermare i camionisti di passaggio nella zona per controllarli, si sono intensificate pochi giorni prima dell’8 gennaio, giorno in cui era stato stabilito il passaggio dei partecipanti dell’African Race Rally, diretti verso la Mauritania, poi avvenuto senza troppi problemi. Infatti, il Marocco ha chiesto subito al Consiglio dell’ONU di intervenire e la reazione da un punto di vista militare è stata molto forte, dal momento che sono state dispiegate un numero maggiore di truppe nella zona che hanno poi placato gli uomini del Polisario. Durante l’incontro tra il Ministro dell’Interno Abdelouafi Laftit e il capo della missione Minurso Steward, l’autorità marocchina ha ribadito la posizione del Paese sottolineando la necessità di avere un supporto internazionale. La risposta dell’ONU sul piano concreto per ora si è limitata è un interessamento della faccenda e a sottolineare l’urgenza di portare avanti un dialogo affinché la stabilità cercata con gli accordi del 1991 diventi effettiva.
Se da un lato l’ONU ha riconosciuto la zona del Sahara Occidentale solamente come un territorio non autonomo, un passo a favore della Repubblica Araba Democratica dei Sahrawi è arrivato pochi giorni fa, con la sentenza della Corte Europea sull’accordo di associazione del 1996 tra l’UE e il Marocco e il successivo accordo di partenariato sulla pesca, che prevede la liberalizzazione dei prodotti agricoli, agricoli trasformati, pesce e altri prodotti di pesca. Il Fronte Polisario ha fatto ricorso contro l’Unione Europea, e la Corte di giustizia, senza avere però il parere della Corte Europea, con la sentenza del 21 dicembre del 2016, ha dichiarato che questi accordi non sono applicabili alla zona del Sahara occidentale. Inoltre, il protocollo dell’accordo di pesca è stato contestato da parte del Fronte Polisario davanti al Tribunale dell’Unione Europea che ha sospeso la causa finché la Corte non si fosse pronunciata nella causa Western Sahara Campaign (che trovate spiegata qui). Le conclusioni sono alla fine arrivate, e l’avvocato generale Melchior Wathelet, afferma che l’UE ha violato l’obbligo di rispettare il diritto all’autodeterminazione del popolo del Sahara Occidentale e non ha predisposto le garanzie necessarie per assicurare uno sfruttamento delle risorse naturali a vantaggio della popolazione locale.