Road to Kiev: la Roma va dallo Shakhtar (in guerra)
2 maggio 2014: lo Shakhtar Donetsk, campione d’Ucraina da quattro anni di fila, sta giocando alla Donbass Arena con i vicini di casa dell’Illichivets Mariupol, in una partita che potrebbe aumentare il distacco nei confronti del Dnipro e assegnare per la quinta volta lo scudetto ai “minatori”. Dopo un gol per parte nel primo tempo, lo Shakhtar conquista la vittoria nella ripresa con i gol di Luiz Adriano e Douglas Costa, sancendo il risultato sul 3-1.
Fuori dallo stadio, però, si respira un clima surreale. Da qualche settimana ormai vari manifestanti – molti dei quali armati – hanno preso il possesso delle principali sedi amministrative di Donetsk, Luhans’k e Mariupol, le tre principali città della regione mineraria del Donbass, nell’estremo est dell’Ucraina. L’obiettivo è quello di dichiarare l’indipendenza dall’Ucraina, che pochi mesi prima aveva attraversato una crisi politica segnata dalla fuga del presidente Viktor Yanukovich, accusato di corruzione e reo di aver sospeso le trattative di integrazione con l’Unione Europea a favore di nuovi accordi politici e commerciali con la Russia di Vladimir Putin.
La situazione è, giorno dopo giorno, sempre più tesa, specie dopo la decisione del governo ucraino di avviare la cosiddetta Operazione Anti Terroristica e ripristinare il controllo sul territorio del Donbass con la forza.
Quella del 2 maggio, infatti, è tutt’oggi l’ultima partita disputata nella bellissima Donbass Arena, che solo due anni prima era stata la sede della semifinale di EURO 2012 tra Spagna e Portogallo. Due settimane dopo, infatti, lo Shakhtar sarà costretto a festeggiare l’ennesimo campionato fuori dalle mura amiche, a Cherkassy.
Da quel momento, l’ambiente a Donetsk non è più favorevole per ospitare una partita di calcio. Sta per scoppiare la guerra tra Ucraina e Russia, anche se il presidente Vladimir Putin potrebbe non essere molto d’accordo su questo punto: meglio considerare i combattenti come separatisti delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Luhans’k, autogestiti, autofinanziati e casualmente possessori di materiale da guerra russo.
Tornando allo Shakhtar, per la squadra – allora allenata da Mircea Lucescu – inizia un lungo pellegrinaggio che la porterà a giocare prima a Kiev, poi a Lviv e infine a Kharkiv (passando per altri stadi di fortuna). Nonostante la perdita della propria casa, di gran parte delle risorse finanziarie e nonostante il terrore degli stessi calciatori, specialmente stranieri, per il clima circostante, lo Shakhtar è riuscito a confermare in questi anni la propria supremazia in Ucraina a danno della Dinamo Kiev (vincitrice comunque di due campionati nel 2015 e 2016) e il proprio blasone europeo, costruito negli anni Duemila con la vittoria dell’ultima edizione della Coppa UEFA nel 2009 e varie qualificazioni alla fase di play-off della Champions League.
Anche quest’anno, e i tifosi del Napoli lo sanno bene, gli ucraini sono riusciti a sorprendere, qualificandosi agli ottavi di Champions in un girone in cui partivano tutt’altro che favoriti. Il sorteggio di Nyon di lunedì scorso ha scelto di riproporre una nuova sfida italiana per i nero-arancioni: la Roma di Eusebio Di Francesco, anch’essa qualificatasi in un girone in cui partiva da outsider, per cui il sogno europeo verso la finale di Kiev continuerà a qualche centinaio di chilometri di distanza, a Kharkiv, nuova dimora dello Shakhtar.
I precedenti con la Roma: tre sconfitte su quattro per i capitolini
La prima partita disputata tra Roma e Shakhtar Donetsk, nel settembre del 2006 durante la fase a gironi di Champions League, è anche l’ultima vittoria dei giallorossi contro gli ucraini. La gara terminò con il punteggio di 4-0 grazie alle reti di Taddei, Totti, De Rossi e Pizzarro.
Al ritorno in Ucraina, con la Roma già qualificata, lo Shakhtar strappa l’1-0 grazie alla rete dell’attaccante rumeno Ciprian Marica.
I due precedenti più recenti, invece, sono proprio agli ottavi di Champions League 2010/2011. La Roma parte da seconda del girone alle spalle del Bayern Monaco, mentre lo Shakhtar ha vinto il gruppo davanti all’Arsenal e al Braga.
La squadra di Claudio Ranieri non arriva alla partita di andata nel migliore dei modi, dopo due sconfitte di fila con Inter (3-5) e Napoli (0-2). E infatti all’Olimpico, nonostante il vantaggio di Perrotta al 28′, la squadra di Donetsk riesce a pareggiare un minuto dopo con Jadson, trovando ancora prima dell’intervallo in contropiede le reti di Douglas Costa e Luiz Adriano. Nella ripresa Menez accorcia le distanze per il definitivo 2-3. La strada è in salita.
Dopo l’ennesima sconfitta la panchina di Ranieri è sempre più traballante e finisce per crollare tre giorni più tardi dopo la clamorosa sconfitta con il Genoa, dove i giallorossi, in vantaggio per 0-3 al 53′, riescono a perdere per 4-3 in una partita che rimarrà nei rimpianti di ogni tifoso romanista.
Alla gara di ritorno alla Donbass Arena la Roma arriva con un nuovo traghettatore, Vincenzo Montella, ancora speranzosa di poter ribaltare il risultato dell’andata. Tuttavia, la partita parte male da subito con il gol di Willian e il rigore sbagliato da Borriello. Dopo l’espulsione di Mexes a fine primo tempo, lo Shakhtar dilaga con un’altra marcatura di Willian e la rete di Eduardo che fissano il risultato sul 3-0, sancendo la prima e per ora unica qualificazione dello Shakhtar ai quarti di finale di Champions League.
La genesi, la colonia brasiliana e il trionfo europeo
I due fautori principali del successo dello Shakhtar Donetsk sono sicuramente il tenebroso oligarca Rinat Achmetov e l’allenatore rumeno, che molti ricorderanno per i trascorsi al Brescia e all’Inter, Mircea Lucescu.
Il primo è il finanziatore del progetto, potendo vantare il titolo di uomo più ricco di Ucraina secondo Forbes grazie a un patrimonio, fino al 2014, di 12 miliardi di dollari. Dopo lo scoppio della guerra nel Donbass, sede della SCM (l’industria metallurgica, sponsor dello Shakhtar, che ha fatto la fortuna di Achmetov), il suo patrimonio si è però praticamente dimezzato.
La storia di Achmetov è tipica degli oligarchi post-sovietici formatisi nei bui anni Novanta. Si distingue come amico e consigliere di Akhat Bragin, capo della criminalità organizzata di Donetsk e, all’epoca, presidente dello Shakhtar (che in realtà non viveva tempi felicissimi, guardando da lontano lo strapotere della Dinamo Kiev di Lobanovskij e Shevchenko). Nel 1995, durante una partita allo stadio, Bragin, chiamato anche “il Greco”, muore misteriosamente in seguito all’esplosione di una bomba nella tribuna VIP, e il suo braccio destro Achmetov poche settimane dopo prenderà il controllo dello Shakhtar e delle principali attività di Donetsk. Due anni dopo, nel 1997, riesce a far posizionare un uomo fidato, con precedenti penali e senza preparazione culturale, con difficoltà persino a parlare in russo e ucraino, a capo della Regione di Donetsk: è il futuro presidente, ora latitante, Viktor Yanukovich.
Potendosi permettere di spendere cifre fuori dalla norma per un campionato come quello ucraino, Achmetov chiama l’allenatore italiano Nevio Scala, ex di Parma e Borussia Dortmund, per vincere il suo primo “scudetto” nella stagione 2001/02.
La vera svolta arriva però nel maggio del 2004, quando dopo l’esonero del tedesco Bernd Schuster arriva a Donetsk Mircea Lucescu. Inizia qui l’ascesa dello Shakhtar non solo nel campionato ucraino, ma anche in campo europeo. Nel 2009 a Istanbul lo Shakhtar ha la meglio sul Werder Brema di Diego e Ozil, vincendo per 2-1 la finale di Coppa UEFA e arrendendosi solamente ai supplementari, pochi mesi dopo, al Barcellona di Pep Guardiola in Supercoppa Europea.
Il merito di Lucescu è stato sicuramente quello di costruire una squadra tecnica e veloce, con margini di miglioramento ogni anno sempre più alti, puntando soprattutto su una trequarti brasiliana, vivace e imprevedibile. Negli anni, lo Shakhtar si è appropriato della nomina di “Porto dell’Est Europa”, vendendo i suoi talenti a suon di milioni. A parte il difensore ucraino Chygrynskiy, venduto al Barcellona, e il trequartista armeno Mkhytaryan, ceduto al Borussia Dortmund, le principali stelle di Lucescu sono targate verde-oro. Solamente negli ultimi anni sono stati ceduti Fernandinho al Manchester City, Willian al Chelsea, Douglas Costa al Bayern, Luiz Adriano al Milan e Alex Teixeira in Cina, per un valore complessivo di circa 200 milioni di euro.
Un nuovo Shakhtar: tra vecchia guardia e giovani promesse
Come già accennato prima, in seguito allo scoppio della guerra nel 2014 la società di Donetsk (leggasi Rinat Achmetov, in Ucraina le società dipendono unicamente dalle scelte del loro presidente miliardario) ha deciso di ridurre il proprio budget, puntando più a conservare la rosa della stagione precedente e al massimo vendere un giocatore a stagione a grosse cifre, piuttosto che comprare nuovi giocatori da 15-20 milioni come fino a qualche anno prima. Per rendere l’idea, dopo le partenze di Mkhytaryan (27,5 milioni di euro), Willian (35 milioni) e Fernandinho (40 milioni) nel 2013 sono stati acquistati Bernard (25 milioni), Fernando (12 milioni), Fred (15 milioni), Taison (15 milioni), Wellington Nem (10 milioni). Dopo il 2014, invece, hanno lasciato la squadra Alex Teixeira (50 milioni), Douglas Costa (30 milioni), oltre al centravanti titolare Luiz Adriano passato al Milan per 9 milioni di euro. Alla voce acquisti, però, gli unici trasferimenti da segnare sono il ritorno di Eduardo a parametro zero, Marlos e Azevedo (rispettivamente 8 e 4 milioni dal Metalist nel frattempo fallito e ripartito dalla serie C), Petryak (2 milioni) e nei giorni scorsi il promettente diciannovenne brasiliano Dodò (2 milioni di euro al Coritiba).
Lo scheletro della squadra, con i brasiliani che vanno e vengono, è da anni formato da tre ucraini: il portiere Pyatov, il difensore Rakitskiy e il centrocampista Stepanenko. Menzione speciale merita il recente scandalo intorno allo storico capitano e vera colonna portante della squadra, il terzino croato Darijo Srna, che ha rifiutato negli anni persino le sirene di Juventus, Barcellona, Bayern Monaco e Chelsea pur di finire la sua carriera a Donetsk. Recentemente è fermo per un periodo di inattività in attesa della decisione disciplinare definitiva in seguito alla sua positività ai controlli anti-doping dopo la partita Shakhtar-Napoli il 22 settembre scorso.
Passando alla trequarti tutta brasiliana a supporto dell’unico attaccante, l’argentino Facundo Ferreyra (venti centri in ventotto presenze quest’anno), di nomi se ne possono fare tanti: Taison, altro ex Metalist, già nel giro nella nazionale brasiliana, l’oriundo Marlos, che di recente ha esordito сon la maglia della nazionale ucraina, l’ex promessa dell’Atletico Mineiro Bernard, accostato prima di venire a Donetsk a parecchi top club europei. Dietro i brasiliani, cerca di ritagliarsi il proprio spazio la giovane promessa del vivaio Viktor Kovalenko, già capocannoniere del Mondiale Under 20 nel 2015 e trascinatore nello stesso anno dello Shakhtar verso la finale di Youth League (persa con il Chelsea di Dominic Solanke).
Insomma, è difficile trovare una vera e propria stella nella squadra di Donetsk. Tuttavia non si può non parlare del regista della squadra, vero e proprio perno dopo l’arrivo di Paulo Fonseca, il ventiquattrenne ex International Fred. Arrivato nel 2013 per sostituire Fernandinho, accasatosi al City, il giovane brasiliano non è riuscito da subito a incidere negli schemi di Lucescu nonostante l’evidente talento. Come se non bastasse, in seguito alla Copa America disputata con il suo Brasile nel 2015, è arrivata una squalifica annuale a causa la sua positività all’idroclorotiazide. Primi anni in Ucraina non facili per Fred, quindi, che però è riuscito a rinascere all’inizio della scorsa stagione diventando un vero e proprio pilastro degli schemi di Fonseca. Il giocatore non ha mai tradito la fiducia dell’allenatore portoghese, divenendo il principale costruttore delle azioni offensive dello Shakhtar, letale soprattutto in contropiede e capace di tagliare mezza squadra avversaria con un solo passaggio. Una classica invenzione di Fred si è vista nella trasferta di Rotterdam contro il Feyenoord nell’ottobre scorso.
Un’autentica rivelazione è stato, invece, il terzino sinistro Ismaily. Arrivato in sordina nel 2013 dal Braga come riserva di Rat e Shevchuk, dopo le prime stagioni di ambientamento è riuscito a imporsi come uno dei terzini di spinta più completi in Europa. Caratteristica principale del gioco di Ismaily è quella di giocare in certi momenti della partita persino più avanzato dell’esterno offensivo Bernard, coperto dal mediano Stepanenko che retrocede a coprire la fascia sinistra durante il possesso di palla.
Se il Napoli sta ancora cercando un degno erede di Ghoulam a prezzo contenuto per la seconda parte di stagione, può tranquillamente guardare al difensore brasiliano che da agosto ha già realizzato due gol e sette assist. Da apprezzare il gol nell’ultima partita del girone di Champions contro il Manchester City, dove sfrutta un errore di Ederson sembrando più un attaccante esterno che un terzino.
https://youtu.be/tXk_x9axzXM
Cercando di dimenticare Lucescu: Fonseca, ci stai riuscendo bene
Nel maggio del 2016, dopo aver sfiorato la finale di Europa League contro l’immortale Siviglia di Unai Emery, Mircea Lucescu sceglie di chiudere il proprio ciclo dopo ventidue trofei in dodici anni per firmare con lo Zenit di San Pietroburgo.
Nonostante lo Shakhtar stia vivendo un periodo di riassestamento, soprattutto sul piano finanziario, l’arrivo dell’allenatore portoghese Paulo Fonseca dal Braga viene accolto con molto scetticismo. Solo pochi mesi prima il Braga era stato eliminato dallo Shakhtar di Lucescu ai quarti di Europa League con un punteggio complessivo di 8-1. L’unica avventura di Fonseca in un top club portoghese, nel 2013 con il Porto, era peraltro finita male con l’esonero arrivato a metà stagione.
Effettivamente, l’esperienza di Fonseca allo Shakhtar inizia che peggio non potrebbe, con l’eliminazione ai preliminari di Champions League da parte degli svizzeri dello Young Boys ai rigori, dopo che il dominio dei “minatori” nel doppio confronto era stato ribaltato nella rocambolesca partita di ritorno sul sintetico di Berna.
Lo Shakhtar riesce comunque ad accedere al girone di Europa League con Braga, Gent e Konyaspor, stravincendolo a punteggio pieno.
Nonostante la batosta iniziale dell’eliminazione dalla Champions League, Fonseca riesce comunque a imprimere presto alla squadra il suo schema di gioco dominante, basato sul possesso e sulla combinazione di tecnica, coesione e rapidità. L’apice dell’idea di calcio del portoghese si può ammirare nella vittoria esterna contro il Gent per 5-3, dove l’ultimo gol dello Shakhtar a opera di Fonseca viene realizzato dopo 29 passaggi consecutivi, coinvolgendo persino il portiere Pyatov.
Al primo tentativo, Fonseca riesce anche a vincere il campionato ucraino dopo due anni di dominio della Dinamo Kiev dei vari Lens, Veloso, Belhanda, Dragovic e Yarmolenko.
Peccato che il cammino in Europa League si interrompa precocemente e in modo anche un po’ assurdo ai sedicesimi di finale contro il Celta Vigo. Dopo la vittoria in Spagna all’andata per 0-1, lo Shakhtar sembra gestire la situazione al ritorno salvo poi auto-infliggersi un rigore al 93′. Iago Aspas realizza la rete che porta ai tempi supplementari, dove uno Shakhtar in evidente stato di shock subisce il secondo gol e viene eliminato dalla competizione.
Incredibile, ma nella campagna europea della scorsa stagione lo Shakhtar è riuscito a vincere 10 delle 12 partite giocate, perdendo solamente il ritorno dei preliminari di Champions con lo Young Boys e la partita casalinga con il Celta. Evidente quindi una mancanza di carattere nella gestione di Fonseca, che ha dominato in ogni confronto diretto ma è riuscito a perdere (anche in modo illogico e immeritato) le uniche due partite che non poteva permettersi di perdere.
All’esordio in Champions League di quest’anno, Fonseca aveva quindi molto da dimostrare nonostante la prima stagione sostanzialmente positiva. L’urna di Nyon riserva per gli ucraini un girone tutt’altro che facile, con due super-squadre come Manchester City e Napoli, oltre ai campioni d’Olanda del Feyenoord.
Il sorteggio, inizialmente sfortunato, giornata dopo giornata si è rivelato di buon auspicio per il portoghese, poiché si è potuto confrontare con due allenatori, Guardiola e Sarri, con cui Fonseca ha molte similitudini nell’impostazione del gioco. E lo Shakhtar non ha affatto sfigurato, neanche nelle sconfitte pesanti di Manchester (2-0) e Napoli (3-0).
Si può scrivere un intero articolo sull’efficacia del turn-over di Champions del tecnico napoletano o delle motivazioni del City (anche se una squadra che arriva da 19 vittorie consecutive tra Premier e Champions difficilmente non gioca per vincere), prima dell’ultima partita del girone, ma rimane un dato di fatto che Fonseca nelle partite casalinghe è riuscito a battere tatticamente sia Sarri (2-1) che Guardiola (2-1, dopo un primo tempo in cui lo Shakhtar ha avuto quattro o cinque chiare occasioni da gol).
Partendo come terza squadra del girone alla pari del Feyenoord, il portoghese ha guidato lo Shakhtar a vincere quattro partite su sei e qualificarsi più che meritatamente agli ottavi di Champions League. Un’impresa speciale a cui ha avuto seguito un festeggiamento altrettanto speciale, con Fonseca che ha mantenuto la sua promessa fatta settimane prima.
Sembra che, per un eventuale qualificazioni ai quarti di finale, l’allenatore abbia già pronto un nuovo travestimento. E a fine stagione, quando il contratto di Fonseca scadrà, si vocifera che si faranno vive le sirene di Bayern Monaco ed Everton.