Referendum Catalogna: Barcellona contro tutti
Anche se con lo sport ha ben poco a che fare, sicuramente il weekend di inizio ottobre verrà ricordato come uno dei fine settimana più strani della storia della Spagna. Quella del referendum d’indipendenza catalana è una vicenda che ha spaccato in due l’opinione pubblica, che ha reso ancora più aspri i rapporti tra l’autonomia centrale di Madrid e la regione in questione. Da una parte, da Barcellona il presidente della Catalogna Carles Puidgemont che annunciava la legittimità del voto in sé, rimarcando il fatto che il popolo catalano si meriti l’indipendenza, dall’altra invece il presidente del Governo spagnolo Mariano Rajoy ha definito il tutto una messa in scena.
Il referendum in Catalogna, dalla parte di Barcellona
In tutto ciò, i catalani hanno espresso il loro pensiero riguardo la volontà di diventare una repubblica indipendente, con una preferenza di circa il 90% di voti. Una sessione di voto che però, oltre a non essere riconosciuta dall’automonia centrale di Madrid, ha portato a una serie di scontri tra Guardia Civil ed elettori che volevano semplicemente esprimere la propria volontà, con più 800 feriti a seguito delle cariche delle forze dell’ordine. Infatti, non ha tardato ad arrivare una risposta dall’Unione Europea, che ha rimarcato l’illegittimità del voto d’indipendenza, ma allo stesso tempo ha invitato le due parti a trovare un comune accordo tramite il dialogo. Inevitabilmente, questa vicenda ha coinvolto direttamente anche il Barcellona, che dal canto suo ha rilasciato un comunicato, prendendo una sua posizione sulla questione che ha generato non poche controversie.
— FC Barcelona (@FCBarcelona) September 20, 2017
Storicamente i colori blaugrana e quelli della Catalogna sono legati da un filo indissolubile: oltre a rappresentare l’identità catalana, sono stati un vero e proprio simbolo di anti-franchismo durante gli anni della dittatura in Spagna. Considerando che dopo la guerra civile le lingue e le bandiere al di fuori di quella spagnola erano proibite, il simbolo del Barcellona è automaticamente diventato l’unico modo di esprimere la propria appartenenza alla regione della Catalogna. Anche dopo la caduta della dittatura questo legame è rimasto e rimane tuttora intatto: i profeti dell’indipendentismo catalano esistono tuttora e vestono – o hanno vestito – la maglia blaugrana. Uno di questi è Josep “Pep” Guardiola, ex allenatore del Barça, che dalla lontana Manchester si è sentito in dovere di intervenire sulla vicenda. Dopo aver vinto lo scontro al vertice in Premier League contro il Chelsea di Antonio Conte, Pep Guardiola ha dichiarato come il quesito elettorale fosse assolutamente legale, ma ha rimarcato il fatto che il voto è per la “voglia di democrazia”, dichiarando: «È un giorno per la democrazia. Non chiediamo l’indipendenza, ma il permesso di votare. Il referendum è legale». Lo stesso Guardiola infatti, si era impegnato direttamente nel giugno scorso, schierandosi a favore della votazione, leggendo il manifesto del referendum che si sarebbe poi tenuto il 1 ottobre, giustificando come la Catalogna sia – secondo il suo punto di vista – vittima di una persecuzione politica indegna.
Oltre al tecnico del Manchester City, un’altra figura amata e odiata all’interno dei confini Iberici ha detto la sua riguardo il quesito referendario: Gerard Piquè infatti, oltre a essere un idolo della squadra di Barcellona, è un forte sostenitore dell’indipendentismo catalano. Questo suo schieramento a favore di una Catalogna indipendente lo ha reso bersaglio delle critiche della stampa spagnola, più per poca appartenenza ai colori della nazionale che non per prestazioni sul campo di gioco. Durante la partita giocata in casa dalle furie rosse contro l’Italia di Ventura, il centrale blaugrana è stato bersagliato dai fischi che provenivano dagli spalti del Santiago Bernabeu. Ovviamente, vista la sua posizione riguardo le questioni politiche della sua tanto amata Catalogna, Gerard Piqué non poteva mancare al voto per l’indipendenza. Arrivato in sede di voto ha dichiarato: «Le immagini parlano da sole. Oggi passerò la giornata meditando e domani saranno prese le decisioni opportune […] Quello che si è visto in tv è tutto una vergogna». Subito dopo aver espresso la sua volontà in merito, ha twittato una foto sua al seggio mentre votava per il referendum. Questione sentitissima da parte di Piqué che dopo la partita che il suo Barcellona ha giocato a porte chiuse contro il Las Palmas, si è sfogato con la stampa: «Sono e mi sento catalano. Sono orgoglioso dei catalani e del modo meraviglioso in cui si sono comportati durante il referendum, come del resto hanno fatto per tutti questi anni dove non c’è stato nessun atto di violenza. È dovuta intervenire la guardia civile per fare quello che ha fatto. Quando si vota si può votare sì, no o scheda bianca, ma l’importante e votare. In questo paese per molti anni c’è stato il franchismo e la gente non poteva votare: questo è un diritto che si deve difendere». Gerard Piquè inoltre ha dichiarato: «Credo di poter continuare a giocare nella nazionale spagnola, anche perché penso che molta gente in Spagna sia contraria a quello che sta succedendo in Catalogna e creda nella democrazia. Però se l’allenatore o qualcuno della federazione crede che sia un problema o dia fastidio non ho nessuna difficoltà a fare un passo indietro e lasciare la nazionale prima del 2018».
Ja he votat. Junts som imparables defensant la democràcia. pic.twitter.com/mGXf7Qj1TM
— Gerard Piqué (@3gerardpique) October 1, 2017
Barcellona – Real Madrid: una rivalità che non può finire mai
Il primo di ottobre è stato sì un giorno che verrà ricordato nella storia della Spagna e della Catalogna, però, come molte domeniche dell’anno, è stato anche una giornata di campionato di calcio: mentre la Catalogna esprimeva il proprio volere ai seggi, al Camp Nou si giocava la partita tra Barcellona e Las Palmas. Un match che peraltro ha rischiato di essere rinviato per via degli scontri fuori dai seggi, per il semplice fatto che i Mossos d’esquadra – polizia regionale catalana – potevano non garantire la sicurezza per far giocare una partita di calcio nel mezzo di una situazione così delicata. A rimarcare quanto la situazione fosse già tesa di suo, il tifo organizzato del Barcellona aveva invitato tutti i supporters catalani a invadere il campo in maniera pacifica. La pericolosità di questa situazione ha portato così alla decisione che la partita si giocasse a porte chiuse, in un Camp Nou desolato quasi funereo. Oltre a questo, le altre testate riportano come il Las Palmas abbia preparato una maglia speciale per questo match in cui vi era stampata la bandiera Spagnola, facendo valere i propri valori di anti-indipendentismo con un comunicato nei confronti di Barcellona e della Catalogna intera.
Se da una parte il Barça ha fatto in modo che la sua partita di campionato fosse giocata a porte chiuse, dall’altra parte il Real Madrid ha colto l’occasione per riempire il proprio stadio di bandiere spagnole. Merengues che peraltro giocavano contro i rivali cittadini del Barça, l’Espanyol, squadra che qualora l’indipendenza catalana venisse raggiunta, non farebbe più parte della Liga spagnola. Solo nella Primera Divisiòn infatti ci sono tre formazioni provenienti da quella regione – Barcellona, Espanyol e Girona – senza andare a contare altre squadre catalane che militano in serie inferiori. Una soluzione stile Monaco o squadre gallesi che militano nella FA inglese suona alquanto impensabile, oltre al fatto che i dirigenti della Liga stessa non lo permetterebbero. I motivi per cui la RFEF – federcalcio spagnola – non può permettersi di perdere il Barcellona come squadra, oltre che di perdere i blaugrana come protagonisti di una delle rivalità più affascinanti del calcio mondiale, ma soprattutto di una macchina da ascolti e quindi soldi. Parlandoci chiaro, una rivalità sportiva per vivere ha bisogno di due interpreti: senza El Clàsico tra Barcellona e Real, la Liga non avrebbe più lo stesso appeal.