Make Kalmarunionen Great Again: l’integrazione scandinava
Gli anni ’50 furono un periodo molto particolare per le relazioni internazionali e data la Guerra Mondiale che era finita nel decennio precedente, non poteva essere altrimenti. La comunità internazionale era divisa tra una volontà di associazione e la paura della terza guerra mondiale tra i due blocchi frapposti, con il terzo a far da spettatore, ma continuamente martoriato da una lotta sotterranea tra due diverse visioni del mondo. La volontà di integrazione era da ricondursi al desiderio di pace per il proprio tempo, da ottenersi attraverso un collegamento fortissimo delle risorse e, pertanto, anche dei destini comuni dei popoli.
L’esempio più eclatante di tale tendenza è senza dubbio rappresentato dalle tre comunità europee che saranno il punto di partenza per l’Unione Europea: la CEE (Comunità Economica Europea), la CECA (Comunità Europea per il Carbone e l’Acciaio) e l’Euratom, con competenze legate allo sviluppo dell’energia atomica per scopi civili. Le radici delle tre comunità affondano direttamente nell’epoca buia della Seconda Guerra Mondiale, dato che l’idea della loro costituzione è ravvisabile nel Manifesto di Ventotene redatto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Ursula Hirschmann, e in diversi scritti provenienti dalle varie parti del vecchio continente redatti nel momento in cui questo si trovava sotto il tallone delle potenze dell’Asse.
L’integrazione europea non è l’unico esempio di questa tendenza postbellica: nel nord del continente, Islanda, Norvegia, Svezia e Danimarca accolsero il progetto del primo ministro danese Hedtoft della creazione di un’assemblea parlamentare con compiti consultivi. Tale parlamento, detto Nordic Council, vide la luce nel 1952 mentre solo due anni dopo nacque anche il Mercato del Lavoro unificato tra i tre paesi, con delle misure minime di protezione dei lavoratori e la standardizzazione delle procedure standard per l’assunzione e il licenziamento volte a permettere una più alta mobilità interna della forza lavoro. Un quadro più ampio sul welfare e sulla protezione sociale, tuttavia, verrà approvato e posto in vigore solo nel 1955, con delle previsioni molto più dettagliate in merito ai rapporti tra paesi e a come le reciproche agenzie di welfare dovessero interagire tra loro.
Per potersi muovere davvero con facilità, tuttavia, gli scandinavi dovranno aspettare altri tre anni quando nasce la Nordic Passport Union, una sorta di Schengen ante litteram che consentiva ai cittadini dei paesi del Consiglio Nordico di potersi muovere e lavorare negli altri paesi liberamente, senza necessità di portare con sé altri documenti che non fossero quello d’identità. I piani per il mercato unico procedettero con una certa velocità e convinzione da parte di tutte le parti (e di altre che entrarono, come ad esempio la Finlandia che entrò solo nel 1955 dopo la distensione dei rapporti con la Russia dovuta alla morte di Stalin) fino al 1961, quando Danimarca e Norvegia formalizzarono la loro richiesta di ingresso nella Comunità Economica Europea e l’idea di un mercato comune venne svuotata di senso. Stessa sorte subì l’idea di un’unione militare di questi paesi quando Svezia e Finlandia rifiutarono (al contrario della Danimarca e della Norvegia) di entrare nella NATO: la prima per mantenere la neutralità, la seconda a causa del trattato di pace fatto con la Russia dopo la Guerra d’Inverno.
Tale mossa verso l’European Free Trade Association prima, e la Comunità Europea in seguito, richiese anche una migliore e più puntuale definizione dei patti tra i consociati del Consiglio Nordico: il trattato di Helsinki entrò in vigore nel 1962 e definì le modalità di cooperazione tra i paesi dell’area, aprendo a molte altre iniziative di diverso respiro. Il resto degli anni ’60 fu un autentico florilegio di iniziative per l’integrazione Scandinava: nel giro di pochi anni nacquero la Scuola Nordica della Sanità Pubblica, la Casa Nordica a Rejkyavik che funge da sorta di ambasciata culturale dei paesi scandinavi in Islanda, il Nordic Cultural Fund sempre nella capitale Islandese, e via dicendo.
Tra queste iniziative la più importante non giunse mai a termine: il Nordøk (Norvegese e Danese per Nordisk Økonomie) proponeva una piena integrazione e cooperazione a livello economico del mondo scandinavo sui livelli dell’Unione Europea attuale: a guastare i piani dell’allora primo ministro danese Hilmar Baunsgaard giunsero i timori finlandesi dovuti al trattato di pace esistente con Mosca e la Comunità Europea che “assorbì” la Danimarca. La Norvegia, nonostante il successo della propria richiesta di adesione, rifiutò l’ingresso in seguito a un referendum, e stipulò nel corso degli anni una serie di accordi quadro con Bruxelles.
Nel 1971 venne inaugurato anche il Consiglio Nordico dei Ministri e nel gruppo entrarono anche rappresentanti specificatamente provenienti dalle aree autonome delle Isole Far Oer e delle Åland (rispettivamente parte della Danimarca e della Svezia). Nel corso del tempo, data la rinuncia della Norvegia, la Danimarca si trasformò in un ponte tra Scandinavia ed Europa, assumendo un ruolo rilevante nella mediazione degli accordi quadro tra Bruxelles e Oslo e nella definizione dell’Acquis Communautaire con Stoccolma ed Helsinki.
Negli anni ’70, oltre al Consiglio dei Ministri, vennero introdotti il Fondo Industriale Nordico e la Banca d’Investimenti Nordica, volti ad una maggior cooperazione tra i paesi e timido rimpiazzo del Nordøk. Contemporaneamente, attraverso alcuni emendamenti al Trattato di Helsinki, tra i compiti del Consiglio sorse anche quello di difendere l’ambiente e l’ecosistema scandinavo, con la creazione di un network unificato per l’erogazione dell’energia che va vista in quest’ottica. Nel 1983 il Consiglio tutelò la fondazione di un centro di ricerca sulle Scienze Politiche dedito alla ricerca delle politiche pubbliche e allo sviluppo del sistema politico scandinavo.
Con il termine della guerra fredda, le attività del Consiglio Nordico si spostarono da dentro alla propria area di competenza a fuori: grazie al collasso dell’Unione Sovietica, il consiglio si aprì alle interazioni con le tre repubbliche baltiche, nonché alle proprie attività di influenza nell’artico, con Danimarca e Norvegia a fare la parte del leone. Oltre alle immediate vicinanze, l’influenza del Consiglio Nordico si è espressa anche sotto forma di cooperazione internazionale e aiuti per lo sviluppo nei confronti del terzo mondo.
Ad oggi, con la crescita dei poteri dell’Unione Europea, molte delle funzioni del Consiglio sono entrate in una sorta di stasi in quanto sono già svolte grazie ai rapporti con Bruxelles. L’integrazione a livello di funzioni ha lasciato il posto a nuove idee, sintetizzate dallo storico Gunnar Wetterberg nel suo libro The United Nordic Federation nel quale propone, in maniera abbastanza suggestiva, la creazione di uno stato federale dove gli aspetti della politica interna verrebbero gestiti dai singoli stati mentre aspetti come la difesa, la politica estera e la ricerca sarebbero gestiti dal superstato federale.
Anche secondo Wetterberg un’eventualità del genere sembra essere abbastanza remota, ma non completamente da scartare: un attore di questo tipo sarebbe sicuramente in grado di pesare molto più dell’attuale somma dei suoi componenti, e l’integrazione sarebbe notevolmente facilitata dal comune passato e dalla comune cultura di larga parte dei quattro paesi che entrerebbero a farne parte (Norvegia, Danimarca, Finlandia e Svezia). Il nuovo stato federale conterebbe oltre 26 milioni di cittadini, con un PIL complessivo (sommato) di oltre 1.500 miliardi di dollari, molto vicino a quello italiano (1.800 miliardi di dollari), pur avendo la metà degli abitanti.
La capacità di proiezione di questo nuovo soggetto si protenderebbe a tutto l’Artico, con serie conseguenze per la Russia, al momento impegnata in un conflitto latente combattuto in punto di diritto internazionale e spedizioni sottomarine con la Norvegia e la Danimarca per il dominio sulla regione artica, ricca di risorse minerarie e possibile rotta commerciale in caso di scioglimento della calotta artica. Altra direzione è quella della cooperazione con l’Europa meridionale che può avvenire su molti temi a livello energetico, economico e politico. Terzo asse, quello con l’Africa, dove attraverso diverse fondazioni i paesi scandinavi sono singolarmente impegnati dal secondo dopoguerra nella cooperazione allo sviluppo del continente.
A livello militare la nuova potenza dovrebbe poter contare sull’expertise più che sui vasti numeri, implementando quindi una forza multinazionale basata più sulla qualità che sulla quantità: la marina norvegese, l’aeronautica svedese e la fanteria danese rappresentano tre fattori d’eccellenza riconosciuti a livello internazionale, ma che andrebbero adattati per comprendere le esigenze dei vari paesi coinvolti. La standardizzazione delle procedure e la non adesione della Svezia alla Nato rappresentano delle incognite non da poco nell’immaginare un futuro esercito scandinavo.
La Scandinava riunita al momento rappresenta più un esercizio concettuale che una realtà, ma segnali di volontà d’integrazione multilivello ci sono già stati. Al momento la possibilità che la Norvegia rinunci alla propria indipendenza dopo appena 112 anni dal distacco da Stoccolma, specie considerando lo sviluppo dell’industria petrolifera, è alquanto lontana, così come la possibilità che Copenaghen rinunci al suo status di ponte tra il mondo scandinavo e il resto d’Europa e che la Svezia si privi del suo status di regina del Baltico. Nell’ultimo millennio, però, la Scandinavia ci ha fatto stupire più di una volta e indubbiamente continuerà a farlo anche nel prossimo.