Terzo Impero: i primi passi della Francia di Macron
Dall’elezione di Macron a Presidente della Repubblica francese sono ormai passati tre mesi, e già è possibile tratteggiare alcune caratteristiche importanti dell’azione governativa del leader di “En Marche!”, che si è rivelato un assoluto decisionista in politica interna e in politica economica, mentre in politica estera si è dedicato ad una politica realista – senza però rinunciare all’azione diplomatica da un lato e al dialogo con l’Europa dall’altro, forte anche della comunanza di vedute sotto molti aspetti con Angela Merkel. Altro notevole punto di forza dell’ex ministro delle finanze è quello di avere una larga maggioranza in parlamento, costruita insieme agli alleati di MoDem (Mouvement Democrate), che garantisce al presidente ampia libertà di manovra in parlamento (350 seggi conquistati su un totale di 577).
Sul piano interno Macron ha fatto segnare diverse iniziative di rilievo, a partire dal lato economico (e in fondo, dati i suoi trascorsi come Ministro delle Finanze, non potrebbe essere stato altrimenti). Il primo segnale impartito denota la volontà di ricostruire un’economia forte dopo gli anni del governo socialista che hanno portato alla stagnazione economica. Macron intende far ripartire la Francia, e intende farla ripartire dall’industria: durante la scorsa settimana ,il presidente francese ha visitato i cantieri navali STX situati presso Saint-Nazare, a breve distanza da Nantes e recentemente passati sotto il controllo di Fincantieri.
Durante la visita, Macron ha criticato gli accordi prodotti tra Fincantieri e il precedente governo Cazeneuve, chiedendo al proprio ministro dell’economia Bruno Le Marie di rivedere l’accordo sottoscritto dal precedente esecutivo. Le parole successive del ministro lasciavano intravedere l’ipotesi della nazionalizzazione dei cantieri, in quanto Fincantieri-Leonardo non sarebbe una società sufficientemente affidabile. Il portavoce del governo Castaner ha poi ridimensionato la natura dell’intervento, annunciando dei negoziati con il governo italiano e affermando che i partner italiani sono fondamentali, ma, per il know-how e per i posti di lavoro che generano, i cantieri STX di Saint-Nazaire sono centrali per l’economia francese. Martedì scorso è iniziato il primo round di colloqui tra Le Marie e i due ministri italiani Calenda e Padoan, che con ogni probabilità proseguiranno nei prossimi mesi.
Macron ha poi gettato le basi per la Francia del 2022 annunciando una serie di provvedimenti da attuare nei prossimi mesi: misure per il contenimento della disoccupazione e la ripresa economica hanno indotto il Fondo Monetario Internazionale ad elaborare delle stime alquanto rosee per i transalpini. Le previsioni vedono una crescita costante dell’1,5% annuo a salire nei prossimi cinque anni e un abbassamento graduale della disoccupazione dal 9,2% attuale al 7,6% nel 2022. Tuttavia, non è tutto oro quel che luccica: sulla base del programma enunciato nei primi mesi di governo, l’organizzazione con sede a Parigi prevede anche un aumento delle diseguaglianze, con i ricchi che diventeranno più ricchi e i poveri che – anche se magari non diventeranno più poveri – non vedranno certo crescere il proprio reddito allo stesso ritmo dei cittadini più agiati.
Il nuovo presidente francese ha inoltre già definito un’agenda piuttosto serrata di riforme sociali da implementare nei primi 18 mesi del suo mandato. Macron intende riformare le leggi sul lavoro in senso più favorevole alle imprese, ma soprattutto riformare i sussidi di disoccupazione e le pensioni, il cui metodo di calcolo verrà unificato per le varie categorie professionali. Il primo ministro Philippe ha già tracciato la rotta sottolineando l’urgenza sociale di queste riforme, necessarie per prevenire l’ulteriore sfaldamento del tessuto sociale nazionale, messo a dura prova da diversi anni di crisi e stagnazione economica.
Sul piano prettamente politico Macron si sta dimostrando sempre più accentratore, riprendendo un’idea di paese della Francia come nazione raccolta intorno ad un unico polo (che sia Parigi o il suo governo), e con uno scarso decentramento delle responsabilità sia a livello politico che amministrativo. In tal senso rientra il progetto di riforma del parlamento, che prevede la volontà di ridurre il numero dei membri e di introdurre una quota di proporzionale, andando così a delegittimare in parte i collegi uninominali ora vigenti e che rappresentano de facto la volontà delle autonomie locali.
Per quanto concerne la politica estera, Macron ha cominciato sin da subito a muoversi su più tavoli, in maniera anche ingombrante per le altre potenze europee, sfruttando i legami forti che la Francia possiede con le ex colonie. Così come l’Italia, infatti, nel dopoguerra anche la Francia si è mossa essenzialmente su due assi: quello della politica europea (dove però ha condotto un ruolo diverso rispetto a quello italiano, maggiormente portato alla mediazione rispetto a quello transalpino, che invece si è più concentrato sulle rivendicazioni di Parigi) e quello dell’azione nell’area MENA (Middle East and North Africa), non sempre giudicata come appropriata. Per tale motivo Italia e Francia sono spesso entrate in rotta di collisione su tematiche di politica estera.
La più importante azione al di fuori dei confini nazionali di Macron è stata quella di mediazione. Una delle occasioni principali ha riguardato il conflitto libico, dove l’Eliseo ha tentato la mediazione tra le due fazioni principali (da un lato il governo legittimato dalle Nazioni Unite di Al Sarraj, dall’altro il governo di Tobruk del generale Haftar, erede del primo governo post-Gheddafi). Alla fine di luglio i due leader si sono incontrati nuovamente dopo i negoziati falliti a Doha e quelli che li propiziarono a Roma a marzo.
L’esito dei negoziati non è stato decisivo, ma ha visto i due leader scambiarsi promesse in vista di una probabile tregua. I termini della stessa sono ancora molto fumosi, ma rappresentano una bozza di accordo tra due fazioni che si stanno combattendo da diverso tempo. Nella stessa circostanza, Macron ha anche annunciato di voler aprire degli hotspot per l’identificazione e la disamina delle richieste d’asilo direttamente su suolo libico. L’iniziativa va a cozzare con le precedenti iniziative italiane, ma da Roma si sono levati toni conciliatori. Il ministro degli Esteri Alfano ha rimarcato il rapporto fraterno con i francesi, ma ha anche sottolineato come in Libia, al momento, vi siano troppi tentativi di mediazione e troppe azioni singole, le quali sarebbero solo foriere di ulteriore confusione e andrebbero riunite sotto un’unica sola autorità, magari europea. Dopo una telefonata con Gentiloni, infatti, Macron avrebbe compiuto una mezza inversione di marcia, annunciando che la creazione degli stessi hotspot verrà rinviata alla fine dell’estate dopo uno studio di fattibilità.
Altra iniziativa del presidente francese è stata quella di mediare nella crisi del golfo, tutt’ora in atto: la Francia si è rivelata come uno dei pochissimi attori in campo a riuscire a dialogare più o meno efficacemente con tutti, sebbene sino a questo momento la situazione non si sia ancora raffreddata, considerate le nuove sanzioni che verranno imposte al Qatar, reo – secondo Arabia Saudita e alleati – di sostenere il terrorismo attraverso i legami con i Fratelli Musulmani. Il contatto tra qatarini e francesi prima e con gli arabi in un secondo momento è avvenuto grazie ai contatti dell’industria petrolifera francese in loco, che ha reso possibile l’apertura dei canali di comunicazione con i vari centri di potere coinvolti nel golfo persico.
In politica europea Macron si è dimostrato un convinto europeista, ma pronto a tutelare gli interessi francesi: ha dimostrato una buona intesa con la cancelliera tedesca Angela Merkel che ne aveva auspicato l’elezione. Al consiglio europeo del 22 giugno ha cercato di proporre un controllo europeo sugli investimenti provenienti da fuori, ma questa proposta è stata rifiutata in primis dalla Germania, dal momento che i cinesi sono i loro maggiori partner commerciali. La seconda proposta, invece, concerne la costituzione di un’Europa della difesa, fino ad un anno fa considerata un tabù. In mezzo si è avuta l’elezione di Trump, nonché l’inasprimento della crisi ucraina e del caos medio orientale, che hanno ridotto molti governi a più miti consigli; Macron è risultato essere uno dei fautori della manovra, con il capitale di relazioni che ne consegue.
Il nuovo presidente francese dà l’impressione di voler partire forte, per far vedere che è riuscito a tenersi in linea con il proprio programma elettorale e che è un presidente che agisce, al contrario del precedente governo socialista, considerato lassista e per tale motivo ai minimi storici negli indici di gradimento del popolo francese. Macron, al contrario, dopo l’elezione del parlamento che gli è risultata particolarmente favorevole, possiede un notevole capitale politico da non sprecare per nessun motivo, ma allo stesso tempo estremamente fragile: la Francia e l’Europa hanno gli occhi fissi su di lui.