Legge sulla cittadinanza: cos’è e come funziona

Manifestanti in piazza, 28 febbraio 2017
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La legge sulla cittadinanza

Rimandata a settembre – o, più probabile, a data da destinarsi – la legge sullo ius soli potrebbe essere uno snodo chiave per la tenuta del governo Gentiloni. A quanto sembra, le difficoltà interne alla maggioranza e alcune scadenze non rinviabili non hanno permesso al governo di andare avanti con la riforma sulla cittadinanza. Il premier Gentiloni ha quindi rimandato la discussione in Senato a dopo la pausa estiva. Si è evitato anche di porre la fiducia sul Ddl, come invece è stato fatto per il decreto “salva banche” e sui vaccini. Il primo ministro ha ribadito: «Si tratta comunque di una legge giusta. L’impegno mio personale e del governo per approvarla in autunno rimane».

La situazione politica

Le pressioni di Alternativa Popolare hanno dunque funzionato. L’ala della maggioranza che fa capo ad Angelino Alfano aveva chiesto una discussione più approfondita al Senato prima di approvare la legge. Nonostante il passo indietro del governo, alcuni elementi alfaniani della maggioranza hanno abbandonato il governo, primo tra tutti Erico Costa, (ex) ministro per gli affari regionali. Il parlamento è diviso tra l’insistenza del PD e delle forze di sinistra per far approvare il Ddl e il “No” deciso dei partiti di destra, capeggiati dalla Lega Nord. Le perplessità dell’area di centro della maggioranza e l’astensionismo annunciato dal Movimento 5 Stelle rischiano di far fallire il governo su una delle riforme più importanti per il paese.

Quello sul rinnovamento delle regole sul diritto di cittadinanza sarebbe dovuto essere una dei progetti irrinunciabili della legislatura; la precarietà della situazione politica italiana non permette alla maggioranza di muoversi come meglio crede. Lo dimostra il fatto che il Disegno di legge 2092, che prevede appunto uno ius soli temperato, è in una fase di stallo da un anno e mezzo. Dopo essere stato approvato dalla camera nel 2015, è rimasto bloccato alla commissione Affari costituzionali del Senato a causa degli innumerevoli emendamenti presentati dalla Lega Nord.

cittadinanza

Il ministro degli esteri Angelino Alfano e il premier Gentiloni.

Come si diventa cittadini italiani con la legge attuale

La nostra legislazione sul diritto di cittadinanza risale al 1992, ed è una delle più restrittive tra quelle dei paesi occidentali. La legge attuale prevede un’unica modalità di acquisizione della cittadinanza: lo ius sanguinis (diritto del sangue). Un bambino è italiano solo se almeno uno dei due genitori è italiano. I figli di persone straniere, anche se nati sul territorio nazionale, non hanno diritto automatico alla cittadinanza. Essi possono ottenerla al compimento dei diciotto anni, su richiesta, e solamente se il loro soggiorno in Italia risulta ininterrotto.

Cosa prevede la legge in discussione al senato

Il Disegno di legge 2092, rimandato a settembre, prevede altre due modalità di acquisizione della cittadinanza: ius soli (temperato) e ius culturae. Tramite uno ius soli puro (diritto legato al territorio) ogni bambino nato sul territorio nazionale otterrebbe automaticamente la cittadinanza. Nel Ddl italiano, invece, si parla di “ius soli temperato”: bambini con almeno uno dei genitori in possesso di un permesso di soggiorno permanente potrebbero – sotto richiesta – ottenere la cittadinanza italiana. Se i genitori non sono cittadini di un paese dell’Unione europea, inoltre, devono esserci altre tre condizioni per presentare richiesta:

  • reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale;
  • alloggio idoneo;
  • conoscenza della lingua italiana.

L’altra via per ottenere la cittadinanza diverrebbe lo ius culturae, il diritto legato all’istruzione.  I minori stranieri nati in Italia o arrivati prima dei 12 anni potranno ottenere la cittadinanza qualora abbiano abbiano regolarmente frequentato in Italia, per almeno cinque anni, un ciclo scolastico (elementari o medie), o qualora abbiano ottenuto una qualifica professionale (di tre o cinque anni).

Qualche numero

Senza dubbio, una legge del genere avrebbe un grande impatto sulle dinamiche interne al paese. I minori stranieri presenti in Italia sono circa un milione. Secondo i numeri forniti dalla Fondazione Leone Moressa, l’80% di essi otterrebbe direttamente la cittadinanza. 600.000 minori (nati dopo il 1998) grazie allo ius soli temperato, altri 166.000 grazie allo ius culturae, per un totale di 800.000 ragazzi coinvolti. Lo studio – basato su dati Istat – non si è fermato alla situazione attuale, ma ha provato ad analizzare anche il quadro che si presenterebbe una volta entrata a regime la legge: secondo la Fondazione, ci sarebbero circa 60.000 nuovi cittadini ogni anno.

Al di là dei dati, dietro i numeri ci sono migliaia di famiglie che attendono questo provvedimento da almeno due legislature. Parliamo di bambini e ragazzi che per legge non sono italiani, ma vivono da italiani: frequentano le stesse scuole dei nostri bambini, imparano la nostra lingua dalla nascita e si sentono parte di questo paese perché nati e cresciuti qui. Proprio perché coinvolge un così grande numero di persone, quello sul diritto di cittadinanza è un argomento molto spinoso. La discussione è stata accesa, in Senato e fuori dai palazzi della politica. Gli “italiani senza cittadinanza” sono scesi in piazza lo scorso 28 febbraio per difendere i loro diritti, mentre le manifestazioni nazionaliste si sono fatte sentire al grido di “invasione”. Associare, però, questo disegno di legge alle immagini degli sbarchi dei migranti è un errore. Non è previsto lo ius soli puro, bensì un processo più complesso. Non basta nascere nel territorio italiano per ottenere la cittadinanza, c’è bisogno che almeno uno dei due genitori si sia stabilito nel nostro paese da anni, o che il minore abbia frequentato e portato a termine un ciclo di studi. Per capire il senso di questa riforma non bisogna dunque guardare ai barconi carichi di migranti, ma al vicino di banco del proprio figlio.

Flavio Lo Scalzo / AGF

Manifestanti in piazza, 28 febbraio 2017.

L’integrazione non è facile da raggiungere, soprattutto quando il numero di stranieri è così importante, ma è un tema che va affrontato. Trattare queste persone da stranieri indesiderati, quando invece si sentono completamente italiani, aumenta solo le divisioni sociali. Questi “nuovi italiani” potrebbero, invece, fungere da ponte tra il nostro paese e le famiglie straniere. Sarebbero degli italiani a tutti gli effetti: nati, cresciuti e formatisi qui, culturalmente integrati, con la voglia di diventare cittadini italiani. Lo ius culturae prevede un’educazione ben precisa e un’adesione piena ai valori della Repubblica italiana, che si esplica con la richiesta del diritto di cittadinanza. Si scongiurano, così, forme di estremismo violento e di integrazione dannosa, come quelle che hanno portato problemi in altri paesi. L’integrazione senza distinzioni stile francese, dove tutti possono diventare cittadini dopo una formale adesione ai valori della République, sta mostrando i suoi lati negativi. Il multiculturalismo britannico ha permesso solo la creazione di varie comunità culturali chiuse, indipendenti e ostili tra loro.

La situazione negli altri paesi

Guardando al resto del mondo, l’Italia è l’unico paese europeo in cui ancora vige principalmente la regola dello ius sanguinis. Stati Uniti e Canada hanno un modello di ius soli puro, pur con i suoi difetti. In Europa ci sono diverse declinazione di uno ius soli temperato:

  • Germania: un bambino diventa cittadino tedesco se uno dei due genitori ha il permesso di soggiorno permanente da almeno 3 anni e risiede nel paese da almeno 8;
  • Francia: tutti i minori nati in Francia da genitori stranieri diventano cittadini francesi al compimento dei diciotto anni (se hanno vissuto per almeno 5 anni nel paese);
  • Regno Unito: il minore che ha almeno uno dei genitori con permesso di soggiorno permanente ottiene la cittadinanza;
  • Spagna: l’acquisizione della cittadinanza risulta abbastanza facile. I minori nati in Spagna da genitori stranieri diventano cittadini dopo appena un anno di residenza;
  • Danimarca: per ottenere la cittadinanza c’è bisogno di 9 anni di residenza e vari esami di lingua, storia, politica del paese;
  • Austria: come risultato di un’integrazione piena, la cittadinanza si ottiene dopo 10 anni di residenza;
  • Portogallo: ius soli automatico per la terza generazione di immigrati. Per la seconda, c’è bisogno di una richiesta;
  • Grecia: i minori stranieri ottengono la cittadinanza se i genitori risiedono nel paese da almeno 5 anni.

Il panorama è dunque molto variegato e difficile da gestire, specie se si tiene conto che tutti questi paesi (tranne il Regno Unito) fanno parte dell’Unione Europea. Lo stesso presidente della Commissione Europea, Antonio Tajani, entrando nel merito del dibattito italiano, ha affermato: «L’unica strada possibile è una norma UE sulla cittadinanza». Posizione sostenuta anche dal Movimento 5 stelle. Questa strada risulta lunga e, per ora, praticamente impossibile. Il diritto di cittadinanza non è una materia di competenza Europea, né di competenza concorrente; gli stati sono ben felici di mantenere il loro controllo su questa questione.

Ogni paese vuole imporre le proprie leggi e i propri paletti per regolare un diritto così importante per gli equilibri sociali. L’impatto che questo tipo di legislazione ha sull’Unione Europea non può però essere ignorato. Una persona, una volta acquisita la cittadinanza di un paese, diventa automaticamente cittadino dell’Unione, con tutti i doveri e i diritti che ne conseguono. Tutti i paesi membri, perciò, subiscono le conseguenze delle legislazioni altrui, senza poter fare nulla in proposito. Nessuno stato sembra comunque avere alcuna intenzione di rinunciare all’esclusività di competenza su tale materia. Per ora, l’Europa non può intervenire in nessun modo: raggiungere un accordo su una norma condivisa è quasi impossibile, seppur sarebbe auspicabile.

Come andrà a finire?

Ma torniamo al nostro paese: accantonata l’idea di una norma Europea, il governo deve fronteggiare la situazione interna. Il disegno di legge ha scatenato, e continuerà a scatenare, molte polemiche. I toni sono stati accesi e nessuna forza politica si è risparmiata. In una società sempre più multiculturale e globalizzata, questa riforma potrebbe essere un semplice passo verso la civiltà per l’Italia. Come abbiamo visto, le persone coinvolte dal provvedimento sarebbero moltissime. Si tratta di famiglie ormai integrate nel nostro tessuto sociale, bambini che parlano i nostri dialetti. Ottenere la cittadinanza per loro non vorrebbe dire semplicemente ricevere un’attestazione formale, sarebbe qualcosa di più profondo. Essere cittadini di un paese crea un sentimento di appartenenza ad una società e un senso di protezione verso di essa. Dietro al foglio di carta c’è la condivisione di determinate idee e valori che fanno di un paese una comunità, di un insieme di persone un popolo.

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Cecilia Valente

Nata a L’Aquila nel 1996, attualmente faccio avanti e indietro dalla mia città natale a Roma, dove vivo. Mi sto laureando in Scienze Politiche alla LUISS Guido Carli. Alla ricerca della laurea magistrale che faccia per me, spero di poter fare dei miei studi un lavoro. Divoratrice compulsiva di libri, ho un amore sconfinato per gli autori americani. Assidua frequentatrice di librerie e edicole, leggo a tempo pieno e scrivo a tempo perso. Aspirante giornalista, nutro un particolare interesse per le questioni riguardanti l’Unione Europea e la Politica Estera, di cui scrivo qui su The Wise.