WannaCry: un nome, una garanzia
I consigli sono sempre gli stessi da ormai oltre un decennio. Non aprire allegati da e-mail di mittenti sconosciuti e non eseguire file dalla provenienza dubbia, soprattutto quelli scaricati con i torrent o dai siti di streaming per film. Inoltre è sempre bene tenere aggiornato il computer. Insomma, alla lunga diventa frustrante continuare ad ascoltare certi consigli, al punto che si crede di essere al sicuro da tutto. D’altra parte c’è l’antivirus, che fa il suo lavoro in background e che dovrebbe proteggere il computer, tenendo lontano l’utente da eventuali preoccupazioni. Dovrebbe, perché nonostante tutto il ransomware WannaCry si è diffuso a macchia d’olio non solo nei computer dei privati, ma anche in quelli delle pubbliche amministrazioni, banche e imprese, con un impatto senza precedenti.
Per chi non si fosse mai imbattuto in un ransomware, non è altro che un malware che cripta i dati e che li sblocca solo dietro pagamento di un compenso; compenso che generalmente si attestava intorno ai 100 dollari, ma che in questo caso è salito a 300, pena la cancellazione di tutti i file nel giro di una settimana. Un malware simile si è diffuso, qualche tempo fa, tra i computer dei privati: era noto come il “Virus della Polizia Postale”, proprio perché faceva credere all’utente di essere stato colto in flagrante in atti illegali. Tale truffa, tuttavia, ha avuto raggio d’azione limitato (a differenza di quanto accaduto con WannaCry), in parte perché è rimasta circoscritta all’Italia e in parte perché colpiva falle già protette dall’antivirus (attivo automaticamente a partire da Windows 8) o dal sistema operativo stesso.
L’articolo completo è disponibile sul nostro magazine alle pagine 10-13.