theWise incontra: Finis Terrae
«Finis Terrae è un progetto finalizzato all’alfabetizzazione musicale delle nuove generazioni. Nasce dalla collaborazione tra giovani artisti e neolaureati uniti insieme nell’organizzazione di eventi culturali»
Così vi descrivete sulla vostra pagina di Facebook. Prima di tutto vi chiederei di presentarvi, per chi ancora non vi conoscesse: chi c’è dietro a Finis Terrae?
Allora, innanzitutto noi siamo Tomaso Scazzieri, Matteo Petroncini e Marco Capacci, tre studenti bolognesi: di Economia il primo, di Medicina gli altri due. Siamo tre dei principali fondatori di questa iniziativa. Come hai spiegato nell’introduzione, due anni fa ci è venuta questa idea per cercare di riempire uno spazio, nel mondo dell’intrattenimento, che oggi è lasciato completamente vuoto. Come mai non è possibile – ci siamo chiesti – organizzare un certo tipo di esperienza e attrarre pubblico in quantità, proprio come fanno le discoteche, con la differenza che la proposta è quella di andare a vedere un concerto di musica classica? Questo quando, tra l’altro, il contenuto può essere molto più elevato e profondo, dunque interessante, per i ragazzi.
Finis Terrae: cosa significa questo nome, e perché lo avete scelto?
Dunque, per cominciare Finis Terrae è un’espressione latina che significa “il confine del mondo”, e che – fra le altre cose – si è cristallizzata nel toponimo di Cabo Fisterra: questo promontorio si trova in Galizia ed è considerato [erroneamente, N.d.R.] il punto più occidentale della Spagna. Vi si trova uno dei fari più importanti per i naviganti, fondamentale per giungere nella penisola iberica dalla Francia. Il faro, che abbiamo scelto anche come immagine che ci rappresentasse, porta la luce: è un punto di riferimento nelle acque altrimenti pericolose, ma al contempo segna un confine tra due aspetti – la cultura giovanile e quella classica – che secondo noi non sono poi così irrimediabilmente distanti. Noi, forse con un po’ di presunzione, ci siamo sobbarcati il problema di portare la musica colta verso i giovani, e quindi sia l’idea del faro che quella del confine tra terra nota e oceano ignoto ci sono parse adatte come scelta. Da qui Finis Terrae, insomma.
In che modo vi siete posti dinanzi a questo problema? Come è iniziato tutto?
Abbiamo deciso di provare a fare alcune serate, all’inizio molto piccole, nelle quali unire l’aspetto mondano e l’aspetto culturale. Poi ci siamo allargati, affittando una sala offerta dal comune [la Sala Silentium di Vicolo Bolognetti 2, sede del Quartiere Santo Stefano, N.d.R.] e sfruttando le nostre conoscenze a livello di musicisti giovani che hanno frequentato il conservatorio, sia di Bologna sia di Modena. L’obiettivo è quello di organizzare delle serate per ragazzi, pensate con un formato di un certo tipo, sfruttando le competenze che alcuni di noi possiedono, rispettivamente nell’organizzazione di eventi [uno dei membri lavora come PR, N.d.R.] e nel contatto con giovani artisti. Il nostro è un esperimento quasi sociale, per vedere se è vero che la musica classica – o comunque colta – ha ancora un pubblico, se è vero che può ancora parlare ai giovani. Per adesso abbiamo ricevuto buoni feedback, e per questo possiamo dire di essere cautamente ottimisti.
Come gestite Finis Terrae, dal punto di vista finanziario?
Non è l’aspetto che ci interessa, il guadagno, almeno per ora: quello che facciamo è un passatempo che ci diverte, e questo basta. Per adesso – chiedendo una cifra simbolica a coloro che partecipano alle serate – riusciamo ad andare in pari, il che ci fa già molto piacere: se fossimo andati in perdita, dopo uno o due tentativi ci saremmo probabilmente stufati, e non avremmo avuto modo di portare avanti questo esperimento. Nel raro caso in cui dovesse avanzare qualcosa, comunque, lo reinvestiremmo per la serata successiva.
Per quanto riguarda, invece, l’organizzazione della serata, come fate a risultare interessanti per i giovani, che sono abituati alle serate in discoteca e agli aperitivi?
Diciamo che noi cerchiamo di coniugare due momenti, uno prettamente culturale e uno maggiormente incentrato sul divertimento. Matteo si occupa della parte strettamente culturale: sceglie la musica e invita giovani che hanno voglia di mettersi in gioco attraverso questo progetto. Poi, terminato il concerto, offriamo qualcosa da bere e da mangiare a chi è venuto ad ascoltare: è un punto di incontro tra gli ospiti, nonché – probabilmente – la parte più divertente: di certo la più simile a quella che può essere una normale serata, passata con gli amici al pub o in discoteca.
E che genere di contenuti proponete, dal punto di vista strettamente musicale?
Per quello che riguarda il contenuto abbiamo immaginato queste serate come un cammino ideale che ripercorresse le diverse epoche, con fine quasi didattico. La maggior parte dei giovani musicisti ha già pronti i programmi per gli esami, e questi programmi spaziano attraverso tutto l’universo musicale. Il nome che abbiamo scelto per le nostre serate è quello di “Vincolo della Forma”. Il primo passo per apprezzare un brano, infatti, è secondo noi conoscerne il linguaggio. Abbiamo usato il termine “vincolo” con una certa dose di ironia, perché negli anni di studio ci siamo accorti di come ogni compositore tenda a scherzare col pubblico: quando propone una forma molto rigida, infatti, finisce spesso per rompere tutte le regole; quando ha a che fare con delle forme libere, viceversa, tende a legarsi le mani con canoni che lui stesso si impone.
In che modo perseguite questo fine, definito «quasi didattico»?
Facendo una breve introduzione al concerto, banalmente, si riesce ad aumentare l’attenzione del pubblico, che di conseguenza cercherà dei riscontri in quello che ascolterà. La musica, come ogni mezzo di comunicazione, necessita innanzitutto dell’attenzione dell’interlocutore, tanto più se il messaggio è complicato. La musica leggera, come suggerisce il nome stesso, sfrutta la sua semplicità per rendersi fruibile a un pubblico che può essere anche disattento, e che magari la ascolta in macchina o in uno spot pubblicitario. Questo fa sì che convenga lucrare su questo tipo di musica, anche solo per una pura questione di numeri. Se però, in un modo o nell’altro, si riesce a catalizzare l’attenzione del pubblico, allora anche la musica colta diventa accessibile. Con questo non si vuole sostenere che sia sufficiente un po’ di concentrazione per far sì che tutti i pezzi musicali diventino dei capolavori: ovviamente è necessario, anche una volta superato il gap del linguaggio artistico, che il brano abbia qualcosa da dire.
Come vi rapportate alla concorrenza? Non temete che i giovani continuino a preferire dei generi di intrattenimento, per così dire, più popolari?
Siamo convinti che il mercato della movida sia ormai saturo: troppi sono i locali che organizzano serate, aperitivi e feste, e non tutti ne sono soddisfatti. Noi vogliamo andare a prenderci quella fetta di giovani che non si accontenta di tutto questo, o che per lo meno è disposta – per una volta – a provare qualcosa di diverso. Un tempo, questo tipo di intrattenimento era ben radicato nella società, oggi non più: riportarlo in auge è uno dei nostri principali scopi.
A questo proposito, sembra che il pubblico ultimamente si sia allontanato dalla musica classica, e dall’arte in generale. Cosa ne pensate della situazione?
Ai tempi di Mozart, in realtà, non c’era la possibilità di assistere ai concerti – o meglio, c’era ma era riservata solamente a un gruppo ristretto della società. Oggi, invece, proprio quando questa possibilità si è teoricamente allargata a una fetta molto più consistente della popolazione, sembra che si sia perso il legame tra musica e pubblico, un legame che invece è fondamentale. Se manca l’attenzione del pubblico, la musica – soprattutto quella colta – si ripiega su se stessa e avvizzisce. Noi abbiamo pensato di sfruttare un certo modo di organizzare eventi, con tanto di aperitivo finale, proprio col fine di attirare i giovani, come una sorta di esca.
Come mai il pubblico sceglie la musica commerciale? Come si può portarlo a interessarsi (anche) alla musica colta?
Esiste a tutt’oggi, in realtà, un’enorme produzione musicale colta, erede dei grandi compositori del passato. Questo genere ha però subito una segregazione – a volte autoimposta – che ha portato a un circolo vizioso: meno pubblico porta a meno esibizioni, e così via. Viceversa, esistono falsi profeti che si attribuiscono una parentela con la musica classica, ma sono in realtà molto più vicini alla musica commerciale. Il povero ascoltatore quindi si trova a non saper scegliere chi stare ad ascoltare. L’unica soluzione, crediamo, è consegnare le chiavi di lettura direttamente al pubblico, consentendo agli spettatori di conoscere più musica possibile, e dando loro la capacità di giudicare autonomamente a quale genere formale appartenga un determinato musicista. Per quello che riguarda la qualità musicale, invece, c’è un unico grande giudice: il tempo.
Concludiamo con una breve anticipazione: avete già scelto la prossima data? Potete rivelare ai lettori quale sarà il prossimo programma di Finis Terrae?
Dunque, sicuramente ci sarà della musica più contemporanea, sia colta che più commerciale, anche se per ora non mi voglio sbilanciare con ulteriori dettagli. Sarebbe bello, in futuro, anche proporre della musica composta da ragazzi, visto che abbiamo diversi studenti, a Bologna, che compongono musica per pianoforte: sarebbe importante dare loro questa possibilità.