Storia del pensiero filosofico: Parmenide e la scuola di Elea

Parmenide
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Fin qui – dove con qui si intende più o meno il VI secolo a.C. – si è visto come, de facto, la riflessione filosofica si sia sempre concentrata sullo scoprire quale fosse la sostanza fondamentale e permanente dell’universo. Si è sempre ricercata la legge che regolasse questo divenire che è il cosmo, ma la domanda più naturale è: siamo sicuri che le cose siano già così scontate? E se quest’essere che tanto si cerca non fosse affatto soggetto al divenire? E se, anzi, non fossimo neanche sicuri che questo essere ci sia davvero?

Per Parmenide, fondatore della scuola di Elea (l’attuale Velia, in Campania), è fondamentale innanzitutto fare un distinguo tra opinione (dòxa) e verità (epistème). Questo ci viene detto nel solo lavoro che Parmenide compose in vita: un poema epico tradizionale scritto in esametri. Per il filosofo, dunque, la verità si esprime nel distico: «L’essere esiste e non può non esistere; il non essere non esiste e non può esistere». Questa potrà sembrare una banalità; ecco, niente di più sbagliato. Si tratta, infatti, della sintesi di un processo di speculazione senza precedenti, talmente rigoroso da intimidire persino Platone, il quale definì Parmenide un «padre venerando e terribile». La sua posizione filosofica, infatti, è stata generalmente vista sì come estremamente paradossale, ma tuttavia essenziale per l’evoluzione della filosofia antica. Parmenide ha commentato così aspramente le teorie cosmologiche di chi lo ha preceduto da far sì che i suoi principali successori tra i presocratici sviluppassero teorie fisiche ben più sofisticate in risposta alle sue argomentazioni.

La dòxa si attiene a quel che si vede e si sente, si basa sull’esperienza. Proprio nell’esperienza la realtà pare essere costituita di molteplici esseri particolari (questo o quel cuoco, questo o quel ristorante, questa o quella cotoletta, o ragù o lasagne o risotto), di esseri che nascono, diventano adolescenti, finiscono sotto sei piedi di terra, in continua trasformazione e movimento, in quel divenire che Eraclito esaltava come il vero essere. L’uomo, afferma però Parmenide, non è limitato all’esperire: egli è riflessione critica, è pensiero. All’uomo, il mondo dell’esperienza risulta un mondo assurdo, perché implica questa suprema contraddizione: che il non-essere esiste.

L’articolo completo è disponibile sul nostro magazine alle pagine 19-21.

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Raffaele Lauretti

Il succo della storia fin qui: qualche tempo fa nacqui e, bisogna ammetterlo, questo fatto ha sconcertato non poche persone ed è stato considerato dai più come una cattiva mossa. Subito, infatti, conosco l'inevitabile angoscia del dover vivere una vita breve in un mondo assurdo: la palude bonificata dal fascismo. Ho conseguito la maturità al Liceo Scientifico G. B. Grassi di Latina; proprio in quegli anni scopro di avere, per una rarissima coincidenza, lo stesso sex appeal di una contusione. Decido quindi di abbandonare le scoline e trasferirmi a Bologna, dove studio filosofia per cercare di sfuggire alle logiche stringenti degli algoritmi del Capitale. Sono un ministro della Chiesa Dudeista (sì, quella del Grande Lebowski) e, nel tempo, credo di essermi fatto prendere la mano dall'epistemologia. Quando non sono a prendere una laurea triennale, ascolto musica da neri e scrivo di rap per un paio di siti (Rockit, La Casa del Rap), rifuggo l'INPS, mi rintano nelle carni altrui, preparo ottime carbonare. Dopo aver diretto la sezione di musica de Il Meglio di Internet per qualche mese, sono approdato su theWise dove, visti e considerati i miei studi di cui sopra, curo una rubrica in cui cerco di approfondire i pensatori che maggiormente hanno influenzato il pensiero occidentale. Nonostante io mi consideri un asociale con brio, posso dire di divertirmi abbastanza. Ah, una volta Guè Pequeno mi ha insultato e non so bene cosa pensarne.